Il Bidet, una storia di classismo, moralismo e pregiudizio
Storia e paradossi del bidet: nato tra le élite francesi, stigmatizzato come strumento di piacere e moralismo, fino a diventare un'icona tutta italiana.
Nella mia vita ho viaggiato abbastanza. Non moltissimo, ma sufficientemente da esplorare le abitudini igieniche sia dell’occidente che dell’oriente. Ebbene, nessun viaggio mi ha lasciato più turbato e dubbioso dell’ultimo in Francia. Dodici giorni lunghissimi soprattutto per un particolare che mi ha messo davvero a disagio, perché attinente a quel comfort personale a cui tutti dovremmo aver diritto.
Mi sto riferendo, forse con troppi giri di parole, al bidet. Un tema che, lo ammetto, rischia di sembrare banale o da luogo comune quando si parla di Francia. Ho esitato a lungo prima di scrivere questa Insalata Mista: temevo di cadere nella battuta da bar o nello sberleffo facile. E invece no, perché il punto non riguarda solo il bidet in sé, ma più in generale il modo di vivere la toilette.
Tutto ha preso corpo quando ho cominciato a fare i miei consueti giri su internet, scoprendo che il bidet ha una storia antica — nata in Francia, peraltro — affascinante e intrecciata con aspetti sociali rilevanti. Tra questi, l’antica repulsione maschile e maschilista verso il piacere femminile e, più in generale, verso la sessualità.
La storia del bidet è intrisa di bigottismo, di pregiudizi nei confronti delle donne, di classismo e persino di tentativi di moralizzare ciò che di morale non dovrebbe avere nulla: l’igiene personale. Nel tempo, il bidet è stato oggetto d’arredo, privilegio nobiliare, strumento (fallace) anticoncezionale, accessorio associato alla lussuria e, infine, perfino un obbligo di legge. Incredibile, no?
Sull’argomento esistono pochi libri. Tra questi, un testo italiano di Luciano Spadanuda, “Storia del bidet: un grande contenitore ideologico”, che purtroppo non sono ancora riuscito a reperire se non in pochi stralci su Google Libri. Proprio da lì è partita la mia ricerca: ciò che sembrava uno sfottò si è rivelato invece un tema ricco di risvolti sociologici e storici di grande interesse.
È interessante osservare come a diverse latitudini corrispondano soluzioni diverse allo stesso problema. In Europa il bidet ha una diffusione a macchia di leopardo: in Italia è addirittura obbligatorio per legge, in Portogallo è molto diffuso, mentre in Spagna e Grecia lo è un po’ meno. In Francia lo era, ma la percentuale è in calo (oggi intorno al 42%). In America Latina è comune in Paesi come Argentina e Uruguay, grazie all’immigrazione italiana. In Asia, soprattutto in Giappone, Corea del Sud, Taiwan e in alcune zone della Cina, domina il washlet, il water elettronico con getto di acqua calda. Dove invece il bidet resta quasi introvabile è nel Nord Europa, nel Regno Unito, in Germania, negli Stati Uniti e in gran parte del resto del mondo.
Negli Stati Uniti, però, l’interesse per il bidet è in crescita. Secondo CNN, il mercato è aumentato da due a tre volte nel solo 2020. L’azienda Tushy, che produce accessori da applicare al sedile del water, ha dichiarato di aver fatturato 40 milioni di dollari nel 2020 contro gli 8 milioni dell’anno precedente, come ha raccontato alla rete il fondatore Miki Agrawal.
In ogni caso, dopo aver raccolto questi dati, posso dirlo con ancora più convinzione: viva l’Italia, che in questo caso si scopre esportatrice di civiltà.
Il paradosso francese: da inventori a detrattori
Lo accennavo prima, ed è una domanda che in molti si pongono: perché i francesi hanno inventato un oggetto così fondamentale per l’igiene personale e poi hanno finito per non utilizzarlo?
Devo aprire una piccola parentesi personale, che forse avrei dovuto relegare ai Pensieri Franchi. I francesi — in questo senso li sento molto vicini a noi italiani — sono stati grandi inventori e esperti assoluti di molte cose, che spesso però non hanno saputo esprimere fino in fondo. Hanno praticamente inventato la cucina raffinata, ma se si escludono i ristoranti di pregio, l’esperienza quotidiana della ristorazione “abbordabile” non è così varia né sorprendente come ci si aspetterebbe da un Paese con una simile tradizione culinaria. In Italia, invece, basta spostarsi di città in città per trovare piatti tipici e una qualità media che rimane quantomeno dignitosa.
Voglio dire: a Roma troverai quasi ovunque una carbonara o una cacio e pepe, a Firenze la pappa al pomodoro o le pappardelle al cinghiale, a Bologna i tortellini in brodo, e così via. Ti sposti da una città all’altra e hai la possibilità di provare ovunque tipicità locali, in qualsiasi genere di locale. Anche uno straniero, che finisse malauguratamente in un ristorante turistico, difficilmente mangerebbe qualcosa di davvero indecente: magari non la versione migliore, ma non così distante dalla tradizione. Poi esistono le eccezioni, è chiaro. Però io, in questo breve viaggio, non posso dire di aver avuto la stessa esperienza in Francia, pur avendola girata un po’. Questa è ovviamente la mia esperienza, mi aspetto di essere contraddetto (con piacere) nei commenti.
Comunque, per non mischiare due fasi troppo distanti dello stesso processo digestivo, torniamo al bidet e lasciamo stare le opinioni personali. Nato in Francia tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, era un mobile raffinato destinato alle camere da letto dell’aristocrazia, una sorta di piccola “seggiolina per la pulizia locale”. Il nome deriva dal francese bidet, che significa “pony”, per via della posizione a cavalcioni che ricorda quella del cavaliere. Secondo un racconto riportato in alcune fonti divulgative, Christophe Des Rosiers avrebbe realizzato il primo bidet per Madame de Prie, moglie (o amante, secondo altre versioni) del Primo Ministro francese. È un aneddoto suggestivo ma non confermato da fonti storiche accademiche. Resta però indicativo del legame precoce tra questo oggetto d’arredo e una certa dimensione licenziosa legata al sesso.

Dalla Francia arrivò presto in Italia, alla Reggia di Caserta, dove nel 1726 Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, regina di Napoli, ne volle uno installato, nonostante fosse già bollato come «strumento di ristoro da meretricio». Insomma, il bidet era nato sotto una cattiva luce.
Pur essendo stato inizialmente un oggetto di lusso riservato ai reali, con il tempo il bidet divenne un paradosso culturale: nato tra i nobili, finì per essere stigmatizzato anche in patria. L’associazione con l’igiene pre o post atto sessuale lo rese presto tipico dei bordelli e dei luoghi di piacere, caricandolo di una connotazione negativa, da oggetto relegato a posti non rispettabili.
Eppure, nel Novecento, il bidet conobbe una discreta diffusione anche in Francia. La parte sorprendente è che la sua presenza nelle abitazioni crollò a partire dagli anni Settanta, proprio mentre in Italia diventava obbligatorio per legge. In Francia, la diffusione passò dal 95 % delle case nel 1970 al 42 % nel 1993. Le ragioni? Mancanza di spazio, motivi economici e la crescente percezione del bidet come ingombrante o superfluo nelle abitazioni moderne.
Meglio l’acqua o la carta?
Se la storia del bidet affonda le sue radici tra aneddoti di corte e curiosità di costume, la medicina moderna ne conferma il valore per l’igiene personale. Rispetto alla carta igienica, l’acqua è semplicemente più efficace: rimuove i residui, riduce la carica batterica e limita le irritazioni. Cleveland Clinic sottolinea come il bidet consenta una pulizia più accurata, mentre uno studio citato dal Washington Post ha rilevato che chi lo utilizza presenta fino a dieci volte meno batteri sulle mani rispetto a chi si affida soltanto alla carta.
Non è un dettaglio marginale: dermatologi e specialisti ricordano che strofinare la pelle con la carta equivale a “lavarsi le mani con un asciugamano asciutto”, un gesto che lascia comunque sporco e germi. Non a caso, un articolo su PubMed Central ne raccomanda l’uso nei pazienti con patologie perianali o cutanee, dove la delicatezza diventa parte integrante della cura.
Naturalmente esistono anche delle controindicazioni. Se indirizzata nel modo sbagliato, l’acqua può paradossalmente favorire infezioni urinarie o vaginali: ecco perché i medici raccomandano la regola del “fronte-retro”. Non serve entrare nei dettagli: è sufficiente ricordare che le due zone non vanno mai mescolate.
Un’altra cosa importante è la pulizia dell’oggetto stesso. I modelli elettronici, tanto diffusi in Giappone, richiedono manutenzione scrupolosa: le bocchette possono diventare un ricettacolo di batteri, come documentano Healthline e alcune ricerche pubblicate dall’NCBI.
Alcuni studi hanno persino ipotizzato un’alterazione della flora vaginale in caso di uso eccessivo. Ma in definitiva, la medicina considera il bidet più igienico, più delicato e persino più sostenibile della carta igienica. Tuttavia, invita a trattarlo non come un feticcio della pulizia, bensì come un alleato quotidiano che funziona davvero solo se usato e mantenuto con consapevolezza.
Per completezza, va ricordato anche l’altro uso dell’acqua in assenza del bidet. È ciò che spesso facciamo noi italiani quando ci troviamo in Paesi dove non è presente: ricorriamo alla doccia per ottenere lo stesso risultato, con qualche disagio pratico in più dovuto alla maggiore complicazione dell’operazione. Il risultato, però, resta sostanzialmente lo stesso.
Dall’oggetto lussurioso all’anticoncezionale, ecco perché nella storia è stato ostracizzato
Ora, se il bidet è un oggetto comodo, pratico e persino consigliato dalla medicina, perché non si è diffuso in tutto il mondo? La risposta va cercata nel carico di preconcetti negativi che la storia gli ha attribuito, e non solo.
Il bidet è sempre stato associato all’igiene, in particolare femminile. Ma il bigottismo e il moralismo — soprattutto di matrice religiosa — hanno a lungo relegato il corpo femminile a qualcosa di desiderabile e, al tempo stesso, da ripudiare. Un atteggiamento che attraversa culture e fedi diverse, e che rivela un grande problema storico (ancora attuale): la difficoltà ad accettare il piacere femminile.
Un articolo di Discover Magazine sottolinea questa dimensione intima e controversa: il bidet nacque infatti come dispositivo rivolto soprattutto alle donne, pensato per l’igiene intima ma utilizzato anche — seppur in modo inefficace — come metodo contraccettivo post-coitale.
La storica Julia Csergo (Université du Québec à Montréal) lo ha definito il “compagno dell’impudicizia” e il “confidente delle dame”, evidenziandone la doppia natura: strumento di pulizia, ma anche simbolo di tabù e libertà femminile. Questa connotazione spiega in parte perché negli Stati Uniti il bidet non sia mai stato accettato: i soldati americani lo incontrarono nei bordelli francesi durante la Seconda Guerra Mondiale e da allora lo associarono a un universo sessuale stigmatizzato, rendendone difficile la diffusione oltreoceano.
E così il bidet finì per essere circondato da un’aura negativa, fatta di prostituzione e moralismo, mentre la sua funzione igienica passava in secondo piano. A questo si aggiunse un’ulteriore resistenza culturale: l’associazione con la femminilità e la sessualità lo rese oggetto di sospetto e disapprovazione.
Come ricorda ancora Discover Magazine, il sociologo Harvey Molotch (New York University) descrive un vero e proprio movimento contro il bidet negli Stati Uniti agli inizi del Novecento. Una parte delle resistenze derivava dai limiti infrastrutturali e progettuali dei bagni americani, ma soprattutto pesavano le norme sociali e l’avversione culturale al riconoscimento della sessualità femminile. Molotch cita l’esempio di un hotel di lusso di New York che rimosse i bidet dopo le proteste dei clienti. «L’altra parte è il genere», osserva, sottolineando l’associazione femminile del dispositivo: «un bidet ha tutte queste sfide da superare».
E pensare che nel Settecento il bidet era anche oggetto di ricerca artigianale e artistica: nel 1739 il produttore Pàverie creò un modello doppio con schienali affiancati, mentre nel 1751 Duvaux realizzò esemplari decorati per Madame de Pompadour e Madame de Talmont, arricchiti con legni pregiati e ornamenti in bronzo dorato.
Non mancò una stagione di splendore a Versailles, dove furono installati fino a cento esemplari, poi rimossi per scarso utilizzo: segno di un’adozione mai davvero consolidata in Francia. Fu invece l’Italia a fare del bidet un elemento stabile: il primo modello conservato si trova alla Reggia di Caserta, testimonianza del passaggio dall’oggetto aristocratico da camera da letto al sanitario moderno, reso possibile dalla diffusione degli impianti idraulici.
Il vero salto in avanti avvenne nel 1975, quando in Italia il bidet divenne obbligatorio per legge. Se pensate che l’arredamento del vostro bagno sia frutto esclusivo del vostro gusto personale, vi sbagliate: l’articolo 7 del decreto ministeriale stabiliva che “la stanza da bagno deve essere fornita di apertura all’esterno per il ricambio dell’aria o dotata di impianto di aspirazione meccanica. […] Per ciascun alloggio, almeno una stanza da bagno deve essere dotata dei seguenti impianti igienici: vaso, bidet, vasca da bagno o doccia, lavabo”.
Il paradosso del bidet: ciò che resta dopo tre secoli
Dicevo in apertura che, alla fine, della mia esperienza in Francia non è stata nemmeno l’assenza del bidet il vero problema. Quello più grosso è stato piuttosto il fatto che spesso il “vaso” si trovi in una stanzetta chiusa, separata dal resto del bagno. Una soluzione che ho visto anche altrove, ma in contesti molto diversi.
In Oriente, ad esempio, la presenza del water elettronico, il washlet, ti permette di fare tutto senza utilizzare le mani. In Giappone e a Taiwan questo concetto viene addirittura estremizzato: mi è capitato in hotel dove, aprendo la stanzetta dedicata al vaso, il coperchio si sollevava automaticamente e si accendeva la luce. Finito il compito, all’uscita il coperchio si richiudeva, la luce si spegneva e partiva il ricircolo dell’aria. Una tastiera sulla parete permetteva di regolare orientamento e intensità del getto, temperatura, profumazione e molto altro. Insomma, se volevi dimenticarti di avere le mani, potevi farlo davvero.
Senza arrivare a questi estremi, se vieni costretto a uscire dalla stanzetta del vaso per entrare nel bagno vero e proprio, quantomeno devi permettere alla gente di lavarsi le mani. Non serve scendere nei dettagli: ci siamo capiti. Fa profondamente schifo dover maneggiare maniglie e altre superfici senza essersi lavati le mani. Lo trovo scandalosamente poco igienico per un Paese civile dell’Europa del terzo millennio. E questa situazione l’ho riscontrata in diversi hotel e abitazioni private. Viene da chiedersi come sia possibile, soprattutto alla luce del paradosso che rappresenta.
Questo è paradosso a cui accennavo nel titolo di questo paragrafo: la Francia è assolutamente un paese civile, ce ne si rende conto girando per strada, in qualsiasi parte del paese. È un paese da ammirare e da prendere a modello per moltissime cose. Il paradosso quindi si manifesta in maniera ancora più eclatante: com’è possibile che abbiano una considerazione così bassa dell’igiene personale, soprattutto quando si parla di un gesto che tutti facciamo naturalmente più volte al giorno?
La Francia, da questo punto di vista, è un caso ancora più anomalo perché, a differenza dei tanti paesi in cui la diffusione del bidet è praticamente nulla, lì aveva raggiunto una presenza consistente nel Novecento. Voglio dire: ok, negli Stati Uniti il problema moralista ne ha limitato la diffusione dall’inizio (d’altronde stiamo parlando del paese che ha fatto del moralismo un tratto identitario) e da lì in poi è stata una questione di abitudine e di costume (anche se, come abbiamo visto, qualcosa sta cambiando). In Francia, invece, il bidet era diffuso fino agli anni Settanta, prima del crollo che lo ha reso un oggetto marginale, superfluo.
La vicenda del bidet è più di una curiosità domestica: è la storia di un oggetto che attraversa secoli di élite, stigmatizzazione e adattamenti culturali. Nato come vezzo aristocratico, si è trasformato in simbolo di purezza morale e, allo stesso tempo, in strumento sospetto, perseguitato da pregiudizi di genere e moralismi. Un sanitario che, nella sua apparente neutralità, si è caricato di significati che parlano di classismo, sessualità e tabù igienici.
In fondo, il bidet non racconta solo l’evoluzione dei nostri bagni, ma quella del nostro immaginario sociale. Da oggetto di lusso a presidio di igiene quotidiana, da “confidente delle dame” a feticcio culturale italiano, rivela quanto il corpo e le sue pratiche più intime siano sempre state terreno di giudizio, controllo e ideologia. Ed è forse proprio per questo che, a distanza di tre secoli, il bidet continua a sorprenderci: non tanto per quello che lava via, quanto per quello che ci restituisce in termini di storia, costume e identità collettiva.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Sta cosa della stanza separata dal resto del bagno mi lascia davvero perplesso: chissà da cosa deriva sta pratica. È vero che così possono utilizzare il bagno due persone contemporaneamente, ma francamente non vedo come possa risultare utile al giorno d'oggi dove le famiglie sono molto meno numerose...
Un'altra bella puntata "agostana" 😁