È vero che Elon Musk ha ricevuto l'ok per impiantarci un chip nel cervello?
La FDA americana avrebbe dato via libera a Neuralink, azienda fondata da Elon Musk, per i test clinici sull'uomo. I test prevederebbero l'impianto di un chip nel cervello.
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In sintesi:
Neuralink, la società fondata da Elon Musk che ha come obiettivo quello di produrre impianti cerebrali che possano comunicare con dispositivi esterni, ha avuto l’OK da parte di FDA a condurre test clinici sull’uomo;
Non è la prima volta che questo accade. Un’altra società, Synchron, ha avuto l’OK già un anno fa e i test compiuti sono esaltanti;
Uno studio del Politecnico di Torino ipotizza una soluzione per rendere queste soluzioni pronte all’uso per tutti e non specifiche per il singolo individuo su cui sono state tarate.
La parola di oggi: Brain-computer interface (BCI)
Quando ho letto la notizia dell’OK da parte della FDA ai test clinici di Neuralink, leggasi Elon Musk, ho pensato:“eccoci, allora era proprio destino che vedessi la fine del mondo”. Ho deciso allora di capire cosa effettivamente aveva approvato la Food and Drug Administration americana e cosa volesse realmente sperimentare Neuralink sugli esseri umani. Perché se è vero che l’ente regolatore americano ha la manica un po’ più larga rispetto ai suoi gemelli europei, è anche vero che ormai tutti sanno che quando c’è di mezzo Musk, forse è meglio porre più attenzione del dovuto.
Una premessa dovuta: a parlare dell’approvazione è stata Neuralink stessa. Non ho trovato tracce ufficiali né sugli account twitter della FDA, né sul sito stesso. Ho dato quindi per scontato fosse ufficiale, se non altro perché in caso contrario ci sarebbe stata la smentita, ma mi sarebbe piaciuto avere notizie ufficiali in merito. Ci torneremo in caso uscissero fuori notizie ufficiali da parte di FDA.
Il progetto Neuralink e perché dovremmo spararci un chip nel cervello
Allora, prima di addentrarci in questa storia, facciamo un po’ di chiarezza e spieghiamo bene le cose. Neuralink è una società americana tra i cui fondatori spicca Elon Musk. Lo stesso imprenditore che ha fondato o ha un ruolo importante in altre società importanti come Testa, SpaceX, OpenAI e che ora sta tenendo le fila, non senza situazioni rocambolesche e critiche, di Twitter (ne abbiamo già parlato qui).
La società si occupa di neurotecnologie e secondo Wikipedia ha ricevuto come finanziamenti, fino al 2019, 158 milioni di dollari, di cui 100 arrivano da Musk stesso. Questo dato, insieme ai 90 dipendenti che la compongono, ci aiuta a delineare i contorni di un’azienda che, per gli standard delle Startup tecnologiche e delle aziende statunitensi in genere, sembra essere decisamente piccola.
Niente finanziamenti miliardari, niente uffici da migliaia di dipendenti. I numeri di questa azienda sembrano essere più compatibili con una piccola impresa italiana, che però punta in grande: Neuralink ha dichiarato infatti di lavorare a un dispositivo capace di leggere le informazioni del cervello tramite una grande quantità di fili molto sottili.
Sebbene siano molte le voci - molte delle quali basate su dichiarazioni di Musk stesso - che parlano di una tecnologia che punta al potenziamento umano e più in generale a quello che viene chiamato transumanesimo1, ora il sito ufficiale di Neuralink parla molto chiaramente di un chip da impiantare nel cervello che permetterà di comandare dispositivi esterni. Queste interfacce cervello-macchina hanno un nome preciso, o meglio un acronimo: BCI, Brain-computer interface.
Cosa sono le BCI lo scopriremo nel prossimo paragrafo, ma prima voglio soffermarmi ancora un po’ sui progetti di Neuralink. La BCI dell’azienda di Musk è davvero simile a un piccolo computer: dentro un involucro biocompatibile, trovano posto una batteria, un SoC (ho deciso io di chiamarlo così, ma di fatto è un PCB con sopra chip, memoria e antenne wireless) e infine un “bus” fatto da 64 fili che leggono i segnali da 1024 elettrodi.
Già il pensiero di impiantarsi nel cervello un computer non è esattamente il sogno di ognuno di noi, ma ancora meno lo è dare uno sguardo a come Neuralink pensa di farlo. Cioè come, nel pratico, funzionerà l’atto di ficcarsi un chip nel cervello. A farlo non sarà un’equipe di neuroscienziati esperti, no. Sarà invece un robot. Un robot costituito da un grosso macchinario e un caschetto. Con un ago dentro.
Insomma, converrete anche voi che per infilare la testa in quel caschetto ci vuole molto, molto fegato. Molti si sono dunque chiesti: “chi è che può voler fare da cavia per un’esperimento del genere?”. Perché alla fine, e qui rispondo alla domanda iniziale, la FDA ha approvato proprio questo: il fatto che Neuralink possa iniziare i suoi test clinici impiantando chip nel cervello non più di piccoli topolini, non di povere scimmie (sui quali test c’è un’indagine in corso da parte della Physicians Committee for Responsible Medicine), ma direttamente su quello di esseri umani.
Potrebbe essere lo stesso Musk a fare da cavia, dimostrando al mondo intero la bontà di questa tecnologia? Può essere, lui stesso ha dichiarato che in futuro lo farà. Ma suona un po’ come la promessa di dimettersi da Twitter, fatta tramite un sondaggio mesi fa, a cui ha dato seguito solo recentemente, tra l’altro senza dimettersi effettivamente. Insomma, non ci giurerei, ecco.
Aggiungiamo un ultimo dettaglio: l’anno scorso, la stessa FDA aveva negato a Neuralink i test clinici sugli esseri umani, apparentemente a causa di “decine di problemi” che l’azienda avrebbe dovuto risolvere. A riportarlo era Reuters, che nel titolo parlava esplicitamente di rischi per la sicurezza.
Cosa sono le BCI e perché dovremmo puntarci parecchio
Prima di fare qualsiasi considerazione bisogna però capire cosa sono queste BCI e perché una persona dovrebbe accettare di impiantarsene una nel cervello.
Le BCI sono essenzialmente delle interfacce che leggono i segnali del cervello. Si tratta di sensori, per farla semplice, che vengono addestrati a riconoscere i segnali che il cervello produce quando vogliamo compiere un’azione. Vuoi prendere il bicchiere? Ecco, nel momento in cui pensi di muovere il braccio, il tuo cervello emetterà dei segnali che verranno campionati dai sensori in modo da poter essere “letti” esattamente come qualsiasi altro segnale.
Lo scopo è chiaramente quello di tradurre questi segnali in qualcosa che può poi essere comunicato a un dispositivo. Seguendo l’esempio di prima, al segnale del cervello potrebbe corrispondere l’azionamento di un braccio meccanico che prende il bicchiere e lo porta alla bocca della persona con l’impianto. E perché no, in futuro, azionare un braccio artificiale impiantato al posto di un arto amputato.
Le BCI, al di là di qualsiasi visione fantascientifica su un futuro sempre più dominato dalle macchine, possono essere una vera svolta per le disabilità fisiche, per quelle neurologiche e per chi ha difficoltà motorie o non possiede (o gli sono stati amputati) uno o più arti. Ma si parla anche di grandi potenzialità nei confronti di malattie neurologiche come il Parkinson.
Ecco qui che l’argomento diventa quindi estremamente interessante, attuale e direi quasi fondamentale nel contesto della ricerca medica. Tirate un sospiro di sollievo, Se FDA ha approvato i test clinici di Neuralink, non l’ha fatto in un momento di follia in cui ha disegnato la fine dell’umanità.
Insomma, le BCI sono una grande cosa su cui sempre più aziende stanno investendo. Non c’è soltanto Neuralink. Per fortuna, aggiungo.
Synchron, l’azienda che sta testando impianti sul cervello da quasi un anno
E sapete infatti chi è che ha già iniziato i test clinici di una BCI impiantata sull’uomo? Un’altra società, meno conosciuta di Neuralink, che si chiama Synchron. Lasciamo stare per un attimo il fatto che tutte queste società abbiano dei nomi tremendamente paurosi (in Italia la stessa si sarebbe chiamata con tutta probabilità Nuova interfacce cervellotiche di Stefano Caccalosi Srl).
Synchron ha ottenuto l’ok da FDA a luglio 2022, proprio quando la stessa autorizzazione è stata negata a Neuralink. E sapete per quale motivo è riuscita a ottenere l’ok con più facilità rispetto alla società di Musk? Perché ha inventato un dispositivo che si chiama Stentrode (di nuovo, lasciamo stare i nomi) che un dispositivo che si impianta nei vasi sanguigni del cervello e non richiede quindi una tecnica invasiva per essere impiantato. In pratica: anziché aprirti il cervello per ficcarci un computer, impiantano delicatamente un micro-filo nei vasi sanguigni. E a farlo non è un robot. Ecco, direi molto meglio.
Per capire bene cos’è e come è fatto questo Stentrode, bisogna pensare a uno stent, ovvero a quei dispositivi che vengono impiantati nelle arterie per tenerle aperte dopo che si sono ostruite o bloccate. Questo tipo di interventi è noto come “angioplastica”. Lo stent è in pratica una rete che si attacca alle pareti del vaso sanguigno e lo tiene aperto.
Stentrode, allo stesso modo, si attacca alle pareti dei vasi sanguigni del cervello, creando una rete di sensori che sono capaci di leggere i segnali inviati dal cervello senza rischiare di infiammarlo sul lungo termine.
Come si traduce questo nella vita di tutti i giorni? Lo fa con un dispositivo chiamato brain.io, che è il primo vero prodotto dell’azienda. Si tratta di una neuroprotesi motoria, in grado di bypassare i danni neurali di pazienti con paralisi gravi e di restituirgli la possibilità di compiere azioni quotidiane, semplici ma fondamentali, come scrivere su un computer, navigare su internet oppure videogiocare. Non ci credete? Guardate il video qui sotto.
Lo studio italiano che democratizza le BCI
Ora, so che sembra tutto fantastico e in qualche modo incredibile. E infatti siamo ancora molto lontani dal poter andare in farmacia a comprare un brain.io a 49,90€, attaccarselo al cervello e via. Non funziona così e non sarà così ancora per molti decenni. Nonostante il primo ciclo di test sull’essere umano sia ormai concluso, rimangono ancora due cicli da completare. E tutto questo ha bisogno di essere analizzato, tarato. Modelli di machine learning devono essere addestrati a riconoscere questi segnali e a distinguerli da altri.
Insomma, la strada è molto lunga, ma ho trovato un interessante studio sul sito del Politecnico di Torino che guarda ancora più in là. Lo studio, presentato per il corso di laurea in Ingegneria Biomedica da tre universitari (Valentina Agostini, Marco Knaflitz, Marco Ghislieri), mira a investigare la possibilità di creare una BCI asincrona. Ovvero che sia, per fare un’enorme semplificazione, non legata al soggetto specifico.
In altre parole, lo studio si interroga sulla possibilità di creare un sistema che non sia da tarare su uno specifico individuo e sui segnali che il suo cervello (e solo il suo) trasmette, ma di crearne uno che sia utilizzabile immediatamente da chiunque, senza necessità di lunghe calibrazioni.
Lo studio degli universitari del Politecnico di Torino, in altre parole, si interroga proprio su quello che, scherzando, ho accennato poco fa: un futuro in cui un’interfaccia cervello macchina sia realmente impiantabile rapidamente e subito funzionante. Un futuro, insomma, in cui l’uomo possa davvero superare tutti i limiti dati dal proprio corpo; in cui chiunque, anche con una grave paralisi, potrà leggere, informarsi, comunicare, scrivere e perché no, tramite un dispositivo di sintesi vocale, parlare. Un futuro in cui chi nasce senza arti o li perde per malattie o incidenti, possa tornare a una vita normale grazie ad arti artificiali azionali dal proprio cervello tramite un’interfaccia BCI.
Mi piace parlare di tecnologia anche per questo, perché ti fa recuperare fiducia nel genere umano e nel suo futuro. Ma soprattutto perché è la base di partenza per una società più equa e inclusiva, in cui tutti potremmo avere le stesse possibilità, anche partendo da situazioni molto diverse le une dalle altre e di forte svantaggio.
SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?2
La notizia che in Finlandia è stato toccato un minimo storico nel prezzo dell’energia deve far ben sperare tutti quei paesi che stanno intraprendendo con fatica un piano di ristrutturazione del proprio mix di produzione energetica. Pochi giorni fa, infatti, la Finlandia ha visto vedere scendere così tanto il prezzo dell’energia che il suo prezzo minimo è andato addirittura in negativo (per poi tornare in positivo alla chiusura dei mercati).
Il fatto è facilmente spiegabile: oltre all’abbondante produzione di energia proveniente dalle centrali nucleari e dai parchi eolici e solari, l’abbondanza di neve e ghiaccio accumulatasi durante l’inverno ha fatto aumentare moltissimo la produzione delle centrali idroelettriche, così da creare un surplus energetico. Tanto che la rete elettrica nazionale ha dovuto ridurre la produzione di energia nucleare per compensare quella prodotta dalle centriche idroelettriche.
Certo, bisogna sempre tenere a mente che la Finlandia ha poco più di 5 milioni di abitanti e che si tratta di uno dei paesi con la densità di popolazione più bassa in Europa (di conseguenza hanno grande disponibilità di spazi), ma ciò non significa che la formula di mixare diverse fonti energetiche, molte delle quali rinnovabili, abbia funzionato alla grande.
Questa settimana è arrivata in Italia Bumble, l’app di incontri in cui sono le donne a fare la prima mossa. Quando ho letto il comunicato mi sono chiesto:”Cosa ci sarà di diverso da una normale app di incontri?”. Poi ho letto questo: “Bumble è l'app di incontri che mira a mettere le donne in condizione di trovare relazioni sane ed eque alle loro condizioni”. Quindi, se ho ben capito, Bumble è una normale app di incontri dove però a fare la prima mossa devono essere sempre le donne.
Ad accompagnare il lancio c’è una ricerca fatta sul territorio italiano. Tra i vari dati, tre mi hanno incuriosito e li condivido con voi:
1) Le donne italiane hanno ben chiaro che il Principe Azzurro non esiste (39%).
2) 3 donne su 4 (75%) concordano sul fatto che il romanticismo sia ancora un elemento molto importante in una relazione sentimentale. Questo è particolarmente vero per le donne della Gen-Z, di età compresa tra i 18 e i 26 anni.
3) Anche qualcosa di molto pratico può essere considerato romantico: 1 donna su 2 (52%) trova romantico il partner che partecipi alle faccende domestiche.Durante il PlayStation Showcase, evento tenuto da Sony il 24 maggio scorso, è stato presentato Project Q, un nuovo accessorio che permetterà il remote playing con PlayStation 5. Ho volutamente definito “accessorio” quella che in tanti stanno già chiamando “la console portatile di PlayStation” perché in realtà non è una console. Non è in grado di riprodurre giochi, ma soltanto di giocare con quelli che sono sulla PlayStation 5 che, ovviamente, deve essere accesa.
Project Q è in sostanza uno schermo da 8 pollici con un joypad attaccato che permetterà di giocare sul piccolo schermo quello che sta eseguendo la PlayStation 5.Sono state varie le contestazioni, tra cui “ma non si poteva già farlo già con l’app per dispositivi mobili?”. E in effetti, Project Q sembra tanto un tablet da 8 pollici con attaccato un Dual Sense. Il senso di questo dispositivo potrebbe stare però in una funzione che l’app mobile, PS Remote Play, non ha: il gioco da remoto in locale. L’app infatti usa sempre la connessione internet, pertanto le sue performance sono drasticamente influenzate dalla propria connessione internet, anche quando ci si trova a pochi metri dalla console. Project Q potrebbe davvero cambiare le cose se usasse anche la connessione locale, magari Wi-Fi o Bluetooth, per collegarsi direttamente alla console senza passare da internet. Questo trasformerebbe PS5 in una sorta di Switch. O forse, meglio ancora, in una WiiU.
TI SEI PERSO LE PRECEDENTI PUNTATE?
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Il Transumanesimo (da Wikipedia) è un movimento culturale che sostiene l'uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l'invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana.
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Il robot-chirurgo che impianta chip nel cervello è davvero inquietante. Dovrebbe dare un senso di progresso e sicurezza, in realtà sento l’impulso di prenderlo a martellate