L'ossessione per il lavoro e il mito della produttività, in Italia (ad agosto)
Secondo molti, ad andare in ferie ad agosto saremmo soltanto noi italiani, ma cosa ci sarebbe di male? In questa Insalata: le ferie, la dipendenza dal lavoro e il falso mito della produttività.
Tempo stimato per la lettura: 11 minuti
La parola di oggi: workaholism, la dipendenza da lavoro, è una patologia che rientra nei disturbi ossessivo-compulsivi. Un disturbo che è stato teorizzato negli Stati Uniti addirittura nel 1971.
IL MENÚ DI OGGI
Che ad andare in vacanza ad agosto siano soltanto gli italiani, è un grosso luogo comune che viene ancora oggi ripetuto ad oltranza. O meglio, se è vero per gli italiani, lo è anche per l’occidente in generale;
Quello che stiamo sperimentando è una deriva tipicamente statunitense, dove il lavorare tanto e non avere tempo libero nemmeno per le vacanze, è diventato uno status symbol;
Il grosso problema della dipendenza da lavoro, il cosiddetto workaholism, è che spesso non va d’accordo con la produttività e l’efficienza. Uno report di Slack dimostra proprio questo.
» ITALIANI SCANSAFATICHE
Quante volte avete sentito dire, con tono spregiativo, che “solo in Italia si chiude tutto ad agosto”? Solo in Italia si va in vacanza ad agosto? Possibile che sia soltanto il nostro popolo di scansafatiche a trovare una correlazione tra il caldo estivo e il piacere di una breve vacanza al mare o in montagna?
Da questa domanda, che mi è sorta quando ho sentito per l’ennesima volta il reiterare di questa litania figlia di qualche malato di iperproduttività, ho cominciato a unire un po’ di puntini. Qualche tempo fa, mi ero annotato degli articoli interessanti. Sarà stato un paio di mesi fa o poco più, quando si cominciò a parlare di settimane lavorative corte, da quattro giorni.
Ma come può funzionare la settimana corta? E soprattutto, come va d’accordo questa teoria con la vocazione iperproduttiva delle società occidentali, secondo le quali meno lavori e più sei uno scansafatiche?
Ne parlai già in una vecchia Insalata, che vi linkerò più avanti, dove dicevo proprio che dovremmo tutti lavorare meno. Ma c’è di più, perché il discorso della produttività ci sta un po’ sfuggendo di mano, prendendo delle pieghe che diventano giorno dopo giorno, oltre che banali, persino paradossali.
Vedremo più avanti come l’ossessione per la produttività ha severamente modificato il nostro modo di vivere e di pensare. Quasi ci si debba vergognare di aver diritto al riposo. Quante volte io stesso ho detto “vado in ferie, MA SOLO UNA SETTIMANA”, quasi si trattasse di una giustificazione? Quasi non fosse un mio diritto, un nostro diritto, concedersi qualche giorno di riposo.
Questo ideale del lavoro h24, del non concedersi mai una pausa, mai un weekend intero, è probabilmente l’ultima delle influenze statunitensi, che seguiamo fedelmente da decenni con qualche anno di scarto. Una persona è prima di tutto il lavoro che fa, il ruolo che ricopre. Leggevo un post su Quora di un professore universitario americano - nessuno di importante, però ha scritto una cosa significativa - dove descriveva una cattiva abitudine tipicamente americana. “Quando gli viene chiesto chi è, l’americano non risponde con nome e cognome, ma con il ruolo che ricopre sul lavoro”. “Who are you? Me? I’m an analyst for Merrill Lynch”.
Ho cercato un po’ di dati per capire quanto e quando vanno in vacanza le persone nei paesi occidentali, per capire se è proprio così vero che noi italiani siamo, come vuole la vulgata, un popolo di scansafatiche che lavora sempre poco e che ad agosto, contrariamente rispetto al resto del mondo industrializzato, prende e chiude tutto per un mese intero. Se è vero questo, come mai le località di villeggiature sono piene di stranieri proprio ad agosto? Non dovrebbero essere al lavoro nel loro paese?
Buona lettura,
Franco A.
» IL MITO DELLE FERIE AD AGOSTO SOLO IN ITALIA. UN’ALTRA FESSERIA
Quando ho sentito per l’ennesima volta dire che “solo in Italia andate tutti in ferie in agosto” ho deciso di cercare dei dati a riguardo. Perché mi sono chiesto: da dove verranno queste orde di turisti che invadono le nostre coste e le nostre città d’arte se siamo solo noi ad andare in ferie in agosto? Saranno tutti italiani? Non credo.
Ho trovato questo interessante grafico in un’indagine sul turismo internazionale della Banca d’Italia. Guardatelo bene, le punte di flussi sono tutte in agosto. E si tratta di long-stayers, ovvero soggiorni lunghi.
Allora uno potrebbe dire: “beh ma si tratterà di studenti o lavoratori italiani che vivono all’estero”. In parte si, sicuramente, ma poi c’è un altro grafico a torta, proprio sulle motivazioni dei viaggi in Italia da parte dei turisti stranieri. E la vacanza, guarda un po’, occupa il 60% della torta.
Poi si legge nella descrizione del grafico:”L’aumento del numero di long-stayers è riconducibile a un numero relativamente ristretto di paesi: i due terzi sono arrivati da Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Romania e Albania. Il peso particolarmente elevato di Stati Uniti e Regno Unito riflette sia l’elevato numero di lavoratori e studenti italiani ivi residenti, sia il fatto che le restrizioni ai viaggi applicate in questi due paesi si sono estese a buona parte del 2021”.
Quindi c’è sicuramente una componente di italiani all’estero che tornano in quel periodo, ma questo significa che pure in quei paesi, Stati Uniti e Regno Unito, non è così strano prendersi un mese di ferie in agosto.
D’altronde, se prendiamo dei dati statunitensi, scopriamo un’altra cosa interessante. Secondo un sondaggio di gallup.com (se non sapete chi sono, leggete qui), gli americani vanno in vacanza principalmente a luglio e, che strano, in agosto. Secondariamente a settembre o a giugno.
Anzi, secondo i dati di questa tabella, nell’Est del paese preferiscono le ferie in agosto addirittura il 52% degli intervistati. Certo, il 55% preferisce luglio, ma fatemi dire che non siamo poi così distanti dalla situazione italiana.
Sono andato poi a cercare cosa succede negli altri paesi europei e ho scoperto questo:
Stando ai dati di Eurostat, nel 2021 (un anno peraltro nemmeno facile), il grosso dei soldi spesi in viaggi e pernottamenti si è concentrato tra luglio e agosto, con un picco notevole su quest’ultimo.
Insomma, per una volta non siamo poi così originali. In ferie ad agosto, non ci andiamo soltanto noi. E soprattutto non andiamo in ferie soltanto ad agosto. Così come non è vero che ad agosto chiude tutto: gli uffici sono sicuramente a organico ridotto, ma è difficile vedere ancora città completamente deserte o chiuse per settimane intere (seppure è un fenomeno ancora presente, per carità).
Non sarà che il problema di fondo è questa schiavitù dalla presunta iperproduttività a cui siamo votati?
Lavorare per dimostrare di aver lavorato: il paradosso dell’iperproduttività
È stato proprio a questo punto che mi sono imbattuto nello State of Work 2023, un report annuale redatto da Slack, che ora fa parte di Salesforce. Facciamo anche qui un po’ di contesto: Salesforce nacque qualche decennio fa come CRM, ovvero uno di quegli strumenti con cui le aziende annotato tutti i dati su clienti o potenziali tali. Dentro ci finiscono tutte le opportunità, le offerte commerciali, i preventivi, i problemi post-vendita… insomma tutta la storia del rapporto tra un’azienda e i suoi clienti.
Poi Salesforce si è evoluto in una gamma di strumenti che aiutano le aziende a fare business ben oltre l’aspetto commerciale e infatti, recentemente, ha acquisito Slack, che è uno strumento di collaborazione aziendale col quale si può chattare, fare videochiamate, condividere documenti, progetti e molto altro.
Ora, esiste qualcosa di più legato all’ottimizzazione della produttività di due strumenti come Salesforce e Slack? Ve lo dico io: no. Salesforce è la quintessenza della ricerca della produttività. E sapete cosa dice questo report? Una cosa curiosa che cnbc.com ha sintetizzato meravigliosamente in questo articolo: “I dipendenti in Asia trascorrono la maggior parte del tempo per sembrare impegnati”. Sembrare impegnati. In Asia, d’accordo, ma non pensiate che altrove sia differente.
E sapete come si chiama il primo capitolo di questo rapporto? Ve lo dico io:“Il paradosso della produttività”. Come al solito, non mi sono inventato niente di particolarmente originale. Riporto le prime parole del rapporto:”Chiedi ai leader aziendali cosa li tiene svegli di notte e la maggioranza (71%) ti dirà che sono sotto l’immensa pressione da parte della direzione della loro azienda per spremere più produttività dai loro team. Fare di più con meno è un imperativo durante un momento economicamente precario”.
In pratica, a nessuno importa se il suo lavoro sta effettivamente producendo un risultato. L’importante è sembrare impegnati. Ed ecco qui che arriviamo a quel senso di colpa di cui parlavo nell’editoriale: dobbiamo tutti sembrare sempre impegnati. Dobbiamo vantarci con gli altri - e siamo bravissimi a farlo, soprattutto sui social - di non riposarci mai, di non prendere mai ferie. Riposarsi deve essere visto come oggetto di stigma sociale, al cui opposto c’è il gran lavoratore, lo stacanovista che non conosce sosta, perché più lavori e più produci.
Ma il problema di fondo è: come la misuriamo la produttività?
Ubriachi di lavoro ed esserne fieri
Alla misurazione della produttività ci arriveremo tra poco, prima vorrei soffermarmi ancora un attimo sull’ossessione del lavoro e sulla concezione del “tanto lavoro = buono” e “poco lavoro (o riposo) = cattivo”. C’è un termine che sintetizza tutto questo: workaholic, o ovvero la dipendenza da lavoro, un comportamento patologico che fa parte dei disturbi ossessivo-compulsivi. Insomma non è una buona cosa e non sa nemmeno lontano cento chilometri di sana abitudine. Sapete dove è stata teorizzata la sindrome da dipendenza da lavoro? Indovinate? Negli Stati Uniti, nel 1971.
Dicevo che arriviamo sempre con qualche anno più tardi rispetto agli Stati Uniti, forse qualche decennio, ma prima o poi ci arriviamo, perché è proprio quello che sta accadendo dalle nostre parti. Il problema però è un altro: siamo sicuri che lavorare tanto significhi davvero produrre di più?
Intanto vi invito a leggere la precedente Insalata Mista che avevo scritto sull’argomento, che potete trovare qui:
Poi arriviamo al dato che ci fornisce il report “State of Work” di Slack. Il primo dato è semplice: come i dirigenti misurano la produttività? Sapete cosa c’è al primo posto? Le attività visibili. Cioè guardare cosa fanno i dipendenti. Alzi la mano chi non ha pensato che venissero utilizzati dei KPI1. Invece no, si guarda il dipendente. Da qui il mare di meme sull’argomento diventati popolari sui social. Vi metto qui un video a riguardo trovato su TikTok, davvero molto divertente (e tristemente realistico).
E invece, i lavoratori, come vorrebbero che fosse misurata la loro produttività? Ovviamente - manco a farlo apposta con la stessa percentuale - tramite KPI. Che poi è logico ed è alla base della teoria della settimana da quattro giorni lavorativi: avere un obiettivo, soprattutto in un contesto di lavoro un po’ monotono, aiuta a non cadere nelle prassi e nelle liturgie che uccidono la produttività.
Ho visto con i miei occhi gente che fa lo stesso lavoro da vent’anni, impostare la propria giornata secondo una precisa tabella di marcia: ore 8 timbratura del cartellino; ore 8:30 caffè; ore 10:30 giro degli uffici; ore 12:00 altra pausa caffè (o altro); ore 13:00 pausa pranzo; ore 15:30 giro uffici; ore 17:00 uscita. Se ogni attività di queste impiega in media 30 minuti, fate presto a fare il conto di quante ore vengono realmente impiegate per lavorare.
Questo non dimostra nulla se non una cosa: misurare la produttività con il tempo passato in ufficio, o peggio ancora con quello che una persona sembra che stia facendo, è il sistema più fallimentare del mondo.
Troppe email e riunioni: ecco dove finisce seppellita la produttività
Dicevamo che viviamo ossessionati dal lavoro, dal sembrare sempre impegnati, oberati di lavoro, tanto da farlo diventare uno status symbol. Eppure sembra che la produttività se ne stia andando a farsi benedire. Come mai?
Secondo il report di Slack, anzi secondo gli intervistati che sostengono che oggi si è meno produttivi di una volta, i motivi sono:
Troppe riunioni ed e-mail non necessarie
Non sentirsi supportati dai manager e dai colleghi
Mancanza di accesso a strumenti e tecnologie efficaci
Aggrapparsi alle “isole” (o silos) di informazioni e utilizzare app e strumenti disconnessi uno dall’altro
Fa specie, perché nonostante viviamo in un contesto super tecnologizzato, sul lavoro usiamo la tecnologia nel modo più sbagliato possibile: email e riunioni inutili (esplose dopo il 2020 più che mai con la odiate video-call), ma assenza totale di comunicazione tra strumenti informatici. È quello che si intende quando si parla di “isole di informazioni”. Ogni sistema ha un pezzetto di informazione che devi personalmente mettere in correlazione con altre informazioni che sono in altri sistemi, perdendo un sacco di tempo e produttività. Basterebbe mettere in comunicazione i sistemi, cosa banale, al giorno d’oggi. O così dovrebbe essere.
Lo so che all’inizio questa Insalata vi è sembrata molto lontana dai temi trattati solitamente, ma ecco che ci siamo arrivati: se c’è qualcosa che può realmente aumentare la produttività e, magia delle magie, lasciarci anche più tempo libero, quella è la tecnologia. Sapete come? Lo dicono sempre gli intervistati dal report di Slack:
Utilizzare il lavoro flessibile (perché non è detto che uno sia produttivo sempre dalle 8 alle 17)
Poter scegliere a quali riunioni partecipare
Risparmiare tempo con l'automazione
Utilizzare strumenti che consentano la trasparenza e l'accesso a conoscenze storiche (eh già, le knowledge base, queste sconosciute)
Utilizzare piattaforme che integrano tutti i loro strumenti e tecnologie in un posto (o quantomeno che mettano le informazioni in relazione)
Ecco la semplice ricetta magica per aumentare la produttività in qualsiasi contesto, persino quelli manifatturieri. È così complicato cambiare logica? Evidentemente si. Meglio impegnare tempo a sembrare impegnati, piuttosto che rendere il proprio lavoro più produttivo e magari utilizzare meglio il tempo che (di sicuro) avanzerà.
Il senso di colpa non è per il poco lavoro, ma per il lavoro mal fatto
Mi viene allora da pensare, in conclusione, che quel senso di colpa per il riposo, per l’essere andati in ferie o più in generale per il “non lavoro”, possa essere in realtà un senso di colpa dovuto al fatto che, in cuor nostro, ognuno di noi sa se il lavoro che ha fatto poteva essere fatto meglio o peggio. Forse è tutto frutto di una domanda, “potevo fare di più?”, a cui è davvero difficile rispondere.
In ogni caso, sappiate che fuori dall’Italia non cambia assolutamente niente. Non è vero che ad agosto andiamo in ferie soltanto noi italiani, così come non è vero che all’estero sono più produttivi. I numeri lo dimostrano: seppure in Italia paghiamo un gap culturale e tecnologico importante, soprattutto per via della dimensione media delle imprese, non ci sono paesi in cui si è raggiunto lo stato dell’arte. Forse ci sono singole aziende, forse ci sono anche tante aziende che lo fanno, ma dire che ci siano paesi in cui un rapporto sano col lavoro e con la produttività sia diventato un sistema, sarebbe una grossa bugia.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?2
Di nuovo WhatsApp, le novità in arrivo sembrano sempre di più. La prima riguarda gli sticker e l’uso dell’intelligenza artificiale cosiddetta “generativa”. Per alcuni utenti della versione beta, e per tutti dopo l’estate, sarà disponibile una funzione che permetterà di inviare degli sticker generati sul momento, realizzati appunto da un modello di IA sulla base di una breve descrizione.
La funzionalità, che permetterà di mandare degli adesivi sempre diversi e originali, si affianca a un’altra annunciata pochi giorni fa da Zuckerberg in persona. Si tratta della possibilità di inviare le immagini finalmente in alta risoluzione, con una compressione un po’ meno aggressiva della solita. La funzione, all’invio di un’immagine, permetterà di scegliere se la si vuole inviare l’immagine a risoluzione standard o HD, che potrà arrivare a 2000x3000px. Meglio tardi che mai.
Su Padova Oggi è apparso un articolo su due nuovi semafori installati in città. La particolarità di questi semafori è quella di proiettare la luce per terra, così da incontrare lo sguardo di chi, concentrato sullo smartphone, non lo alza nemmeno mentre attraversa la strada.
Potrebbe sembrare un’assurdità, ma il fenomeno dello “smombie”, un miscuglio tra “zombie” e “smartphone”, è sempre più diffuso, tanto da portare a sperimentare questa soluzione. Funzionerà? In alternativa si potrebbe provare con il semaforo che invia una notifica sul telefono, chissà…
Il 15 agosto, il gruppo di hacker Medusa Locker, ha rivendicato un attacco ai danni di Postel, società del gruppo Poste Italiane. Secondo quanto dichiarato da Postel, ad essere sottratti sono stati “soltanto”, si fa per dire, dati interni all’azienda. L’attacco sembra comunque non aver causato grossi danni, con Postel che dichiara di aver estromesso l’attaccante in prossimità del rilevamento. E stiamo parlando del 15 agosto, tanto per rimanere sul tema di questa Insalata.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
KPI, (key performance indicator), sono degli indicatori sintetici di prestazioni, utilizzati in tutti gli ambiti dove è importante ottimizzare le risorse e ottenere il massimo delle prestazioni e dell’efficienza.
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Presente, sono io.
Tutto ciò che non avrei mai pensato di diventare ed invece eccomi qui...... se non esco dall'ufficio per ultimo mi sento in colpa come se avessi rubato in crocerossa. In ferie, sempre col telefono acceso, se il cliente mi chiama di domenica guai se non rispondo. Ossessione per il lavoro, non c'è nulla di naturale.
https://www.editorialedomani.it/fatti/non-ce-nulla-di-naturale-nellossessione-per-il-lavoro-xijnslvk