Pensieri Franchi 25 Aprile: Il problema del "sì, ma..."
“Pensieri Franchi” è il mio editoriale. O meglio, i miei pensieri in libertà. Oggi in versione extra per festeggiare, con pochissima sobrietà, la festa più importante di tutte.
» Il problema del "sì, ma..."
A volte Biella sa distinguersi per i motivi più stravaganti, anche se spesso spiacevoli. L’ha fatto anche quest’anno, ieri per l’esattezza, festeggiando la liberazione con un giorno di anticipo e non suonando l’Inno di Mameli. Inutile che vi spieghi il motivo di questa scelta, avrete già intuito che ha a che fare con quella sobrietà reclamata da chi pensa che il popolo a cui appartiene sia fatto di scemi, ma non è questo il punto.
Il discorso del sindaco di Biella, espressione della peggiore destra, mi ha colpito perché rappresentazione plastica di un vizio patologico molto diffuso tra la popolazione e soprattutto nella peggiore politica. Sto parlando di quello che chiamo “sì, ma…”, ovvero quella pratica subdola del sostenere una tesi per poi approdare velocemente su quella opposta, dando una botta di qua per poi darne subito un’altra di là. Un modo per esprimere un’opinione forte mantenendo però la facoltà di difendersi perché, in ogni caso, si è fatta una premessa che contemplava anche l’altra parte.
In Italia un giornalista, Giovanni Valentini, coniò una parola perfetta per descrivere questa tecnica: il cerchiobottismo. Do una botta al cerchio e una alla botte e così mi mantengo equidistante nella forma, ma nella pratica ho preso una posizione ben precisa, che però, questa è una caratteristica sempre presente nei cerchiobottisti, non ho veramente le palle di esprimere.
Cos’ha detto il sindaco di Biella? Il discorso intero lo potete trovare facilmente sui canali social ufficiali del Comune di Biella. Per metà discorso ha parlato della Festa della Liberazione, della cacciata dei nazisti e della fine del fascismo. E poi, come vuole la prassi, ha aggiunto un “sì, ma…”. Il ma riguardava, in estrema sintesi, il fatto che oggi si parlerebbe troppo facilmente di fascismo. Un fascismo che ormai dovremmo consegnare alla storia perché “acqua passata”. Che poi è una teoria che leggo di frequente nei commenti alle notizie che parlano di fascismo o del suo più noto protagonista (sto parlando di nuovo di Biella, protagonista negli ultimi giorni di una mozione in consiglio comunale per togliere la cittadinanza onoraria al Maledetto).
Perché alla fine ci sono riusciti a far passare questo messaggio, cioè quello che chi parla di fascismo ha solo quell’argomento da utilizzare. «Basta parlare ancora di una cosa di ottant’anni fa», «ormai chi parla di fascismo vive ancorato al passato, a un’epoca che non esiste più». Però in questa tesi c’è un vizio di fondo, che deriva dalla poverissima capacità di ragionamento di chi, per credo o per diletto (leggasi: ci è o ci fa), promuove questa visione dei fatti. Chi promuove questa tesi trascura infatti che oggi il fascismo non potrebbe mai essere quello che è stato nel ventennio. Ma cosa credono, che nel 2025 i fascisti potrebbero davvero andare in giro col fez e la camicia nera? Di nuovo, a certa gente piace prenderci per scemi. Il fascismo di oggi, quello a cui bisogna davvero stare attenti, non è quello del ventennio, bensì quello che è arrivato appena dopo la fine del fascismo.
Io, di base, mi ritengo una persona scarsamente istruita e che conosce poco la storia. Per questo cerco di leggere e ascoltare il più possibile. Recentemente, grazie a un podcast che vi consiglio caldamente sui fascisti dopo il fascismo, ho scoperto un’altra cosa che ignoravo. Sapreste dirmi, così su due piedi, quanto tempo il fascismo è stato fuori dalle istituzioni dopo la liberazione del 25 aprile? 20 mesi appena. Incredibile no? Pur avendo il fascismo devastato l’Italia e consegnato il paese alla distruzione totale, dopo appena un anno e mezzo trovò il modo di insinuarsi di nuovo nelle istituzioni con una sua rappresentanza ufficiale (entrò poi addirittura in Parlamento nel 1948). Chiaramente cambiando faccia, mascherandosi da politici adatti a sedere tra i banchi del Parlamento, a far parte di una democrazia che nel profondo hanno sempre osteggiato e nella quale si trovavano come il diavolo a fare il bagno nell’acqua santa.
Dal 1946 il fascismo si è insinuato come un veleno nelle istituzioni democratiche, ha imparato a conviverci, a camuffarsi, a sembrare presentabile e a trovare legittimazione nella rappresentanza di una parte di popolo che la meritava. Dal 1946, di nuovo dando un colpo al cerchio e uno alla botte, il fascismo si è rifatto il trucco, si è messo l’abito buono della domenica come quella mafia che negli anni è emigrata al nord e ha dismesso la lupara per impiegare le più moderne armi del ricatto, della corruzione, del malaffare. Così il fascismo ha imparato a misurare le parole in favore di una dialettica più diplomatica e ad adottare un atteggiamento istituzionale, ma nel profondo non ha mai smesso di amare le maniere dei tempi andati, di mandare i carabinieri nelle redazioni dei giornali, di schivare il confronto, di limitare le libertà con decreti legge liberticidi, di silenziare una festa nazionale con un lutto anomalamente lungo per la morte di un Papa. Cambia il modo di esprimersi, cambiano anche i modi, ma di base non cambia il modo di intendere la democrazia, il confronto, il convivere con idee diverse dalla propria, di guardare a colui che vediamo come diverso da noi stessi.
Dunque sì, l’antifascismo è attuale, più attuale che mai e non c’entra nulla col fascismo che abbiamo studiato a scuola. Nessuno pensa che possano tornare le squadracce - ce lo auguriamo tutti - ma è da quello che il fascismo è diventato dopo il 1945 che bisogna difendersi. È per contrastare quel fascismo che la costituzione ci ha donato gli anticorpi, è da quell’idea di non rispetto dell’idea altrui che è nata la nostra democrazia ed è proprio la democrazia, l’Italia e la sua costituzione (antifascista) che dobbiamo festeggiare gridando (altro che sobriamente) il 25 aprile. Non il 24 eh, il 25 aprile.
Il 25 aprile dobbiamo festeggiare anche per ricordarci quello che è stato e che non dovrà mai più essere. O quello che potrebbe diventare dopo l’ennesima mutazione, che potrebbe avvenire sotto i nostri occhi senza che nessuno se ne accorga perché troppo impegnati a dire “ma basta con questo fascismo, il fascismo è morto!”. No, il fascismo non è morto, è mutato come è mutata la società e noi dobbiamo imparare a riconoscerlo nelle pieghe di un atteggiamento antidemocratico, nel fastidio di sostenere un confronto con la stampa e nella violenza di una legge che mina la libertà, anche solo di una piccola minoranza.
In questo 25 aprile festeggiamo la liberazione da chi la libertà voleva togliercela. Una festa che dovrebbe essere la festa di tutti se non fosse che c’è anche chi, con la libertà, ha ancora qualche problema. E allora, a questo qualcuno, dobbiamo gridarlo forte, altro che sobriamente:
Viva il 25 aprile.
Viva l’Antifascismo.
Viva l’Italia.
Viva l’Europa.
Franco A.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
Adesso per coerenza dovresti smettere di usare il nazi-friendly Substack. 😑
Mi scusi, ma quindi se si é di destra si é fascisti? Certo che non si deve pensare al fascismo come quello del 40, ma non si può pensare neanche che adesso come adesso c’é un sindaco fascista a Biella. Che la Meloni sia il nuovo Mussolini. Ogni tanto ci si perde in queste distinzioni, non andando ad indagare perché i democratici non riescono a vincere le elezioni in maniera convincente. Smettiamola di pensare chi sono gli altri, lavoriamo su chi vogliamo essere noi.