Raccoglieremo carne dagli alberi? Forse si, ma non in Italia
Anche gli Stati Uniti, dopo Singapore, danno il via alla commercializzazione della carne di pollo coltivata. Ma cos'è? Come si produce? E infine, perché in Italia l'abbiamo vietata?
Tempo stimato per la lettura: 13 minuti e 3 secondi
In sintesi:
La Food and Drug Administration americana ha dato il via libera alla commercializzazione della carne di pollo coltivata;
Sono sempre di più i paesi che finanziano la ricerca su questo tipo di carne, perché più sostenibile per il pianeta;
In Italia, al contrario, la produzione è stata vietata per preservare “la cultura e la tradizione”.
La parola di oggi: Scaffolding, le “impalcature” sulle quali vengono seminate le cellule staminali della carne
Cosa sapete della carne coltivata? Forse ne avrete sentito parlare qualche mese fa, quando un membro del governo si schierò apertamente contro, facendo approvare una legge che ne vieta la produzione.
Oppure, al contrario, ne avete sentito parlare in questi giorni, perché negli Stati Uniti hanno dato il via libera a due aziende produttrici, la Upside Foods e la Good Meat, entrambe californiane, alla commercializzazione della carne coltivata. Di pollo in questo caso.
Dovete sapere che, pur essendo vietata la produzione italiana di questo tipo di carne, se l’Europa dovesse dare il suo benestare alla commercializzazione, potremmo comunque acquistarla. La differenza sostanziale è che non potremmo produrla. Quanto questo si tradurrà in un danno per la nostra filiera di allevamento del bestiame e della macellazione della carne lo sapremo solo tra molto tempo, ma in ogni caso mi è sembrato arrivato il momento di fare un ragionamento sulla carne coltivata. Tanto più che l’insalata è il suo contorno ideale, quindi…
Cos’è la carne coltivata e come si produce
Partiamo subito dalle basi: cos’è la carne coltivata? Innanzitutto non è da confondere con la carne vegetale, anche detta carne “finta”, ovvero tutti quei prodotti che tentano di ricreare il gusto e la consistenza della carne utilizzando prodotti di origine vegetale. No, quella lì è solo carne finta, seppure in molti casi molto apprezzabile.
La carne coltivata è vera carne in tutto e per tutto. Cambia però il processo con cui viene ottenuta. Non si allevano animali e non li si macella. Si prelevano, al contrario, delle cellule staminali e poi si dà il via a un processo molto complesso per far crescere artificialmente queste cellule, dando vita a una carne che sarà in tutto e per tutto uguale a quella ottenuta dalla macellazione.
Saranno uguali gusto e consistenza, così come sarà uguale l’apporto nutritivo. Solo che la carne ottenuta non arriverà più da un mattatoio, ma da un freddo e sterile laboratorio, senza tubi di scarico imbrattati di sangue e gente costretta a uccidere e smembrare animali per 8 ore al giorno.
Oh, lo dico per chiarire subito: non sono contrario al consumo di carne. La mangio con moderazione ma la mangio, e non ne farei mai a meno. Però non sono contento del fatto che per mettermi sul piatto una bistecca ci debbano essere plotoni di vacche cresciute male e ammazzate anche peggio. Se ci fosse un’alternativa, l’apprezzerei, ecco.
I vantaggi della carne coltivata
L’alternativa, arrivati a questo punto, sembra davvero esserci. Gli Stati Uniti infatti non sono stati i primi a dare l’ok alla vendita di questi prodotti. Singapore ha già approvato la vendita di carne di pollo coltivata già a dicembre 2020. Altri paesi stanno supportando l’industria della carne coltivata, come l’Inghilterra. Altri - per ora possiamo contare solo l’Italia - si sono opposti sulla base delle scarse garanzie sul “benessere e sulla salvaguardia della nostra cultura e delle nostre tradizioni”.
Tutti sappiamo che gli allevamenti di bestiame per la produzione di carne sono tra i maggiori responsabili dell’inquinamento terrestre. Uno studio di Nature del 2021 dimostra proprio questo: la produzione di cibo di origine vegetale è responsabile del 29% del totale dei gas a effetto serra emessi dall’intera industria alimentare globale, mentre la percentuale dei gas generata dall’allevamento di bestiame e di mangimi pesa per ben il 57%, quasi due terzi.
Cosa c’entrano gli animali con i gas a effetto serra? Bene, è arrivato il momento di entrare un po’ nel dettaglio con i miei amati numeri: la maggior parte delle emissioni di un allevamento provengono dai mangimi (58%) e dalla fase digestiva degli animali (dati FAO). Parliamo non solo di CO2, ma anche di metano (CH4) e di ossido di diazoto (N2O), che sono due gas assimilabili alla CO2 per gli effetti che hanno sul riscaldamento globale.
I ruminanti come bovini, ovini e caprini producono grandi quantità di metano. Poi ci sono da considerare anche la trasformazione e il trasporto, che rappresentano una quota considerevole delle emissioni di gas a effetto serra (7%), così come lo stoccaggio del letame (4%). Si arriva quindi a stabilire che circa l'87% delle emissioni di metano e protossido di azoto di un allevamento sono attribuibili all'allevamento del bestiame.
Diventa quindi evidente come eliminare il fattore più inquinante, l’allevamento di bestiame, porterebbe a eliminare un’enorme quantità di gas a effetto serra emessi nell’atmosfera. Senza considerare il consumo di acqua e energia, anch’essi importanti.
Il problema della qualità della carne e dell’uso dei farmaci (leggasi antibiotici)
Un altro problema della carne “convenzionale”, oltre a quello dell’inquinamento, è la sua qualità. Un animale che vive male, che ha sofferto, che non è in buona salute, non ci darà una gran carne. Questo è facile da intuire.
Sulla carne proveniente da allevamenti in cui non si usano antibiotici e sulla presunta resistenza sviluppata dall’uomo nei confronti degli antibiotici perché assunti tramite la carne che mangiamo, c’è parecchia confusione e, figuriamoci, tantissima disinformazione da fake news.
Nonostante ci sia chi sostiene il contrario, l’uso di antibiotici sul bestiame in Italia non è affatto una prassi. Anzi, tutto il contrario. Esiste infatti una lista ben precisa di antibiotici che possono essere assunti dagli animali e comunque possono essere somministrati soltanto sotto prescrizione di un veterinario che deve aver visitato l’animale. (Oh, poi è chiaro che tutto può essere derogabile, esisteranno sempre le persone disoneste, ma noi stiamo ragionando su quello che prevede la legge).
E la legge, tra le altre cose, prevede pure che l'impiego degli antibiotici deve essere limitato nel tempo, e che gli animali possano essere macellati soltanto dopo che i farmaci siano completamente smaltiti, o i residui siano a concentrazioni del tutto innocue per la salute umana. Ovvero deve essere rispettato il cosiddetto “periodo di sospensione”.
Giusto perché lo sappiate, si trova in rete ampia documentazione sul possibile uso di una tipologia di farmaci, i coccidiostatici ionofori, sulla carne o sulle uova che si fregiano dell’etichetta ”Antibiotic free”. In pratica si dice: “li etichettano con la scritta Antibiotic free e poi usano i coccidiostatici ionofori che sono anch’essi antibiotici”. Non è proprio così, intanto perché i coccidiostatici sono attualmente intesi come additivi alimentari da usarsi nei mangimi animali in quanto utili a contrastare lo sviluppo di certi parassiti. Esiste comunque un dibattito in Europa sul fatto di considerarli o meno antibiotici. Fatto sta che su diversi siti di laboratori che testano la filiera alimentare per certificarla “antibiotic free”, c’è scritto chiaramente che tra i test effettuati c’è anche quello sui coccidiostatici. In altre parole: in teoria non vengono usati nemmeno questi ultimi, ma non si può esserne certi.
In ogni caso, dopo tutte queste parole, capirete anche voi che nella carne coltivata non esiste alcun pericolo di questo genere, perché degli antibiotici non ha visto mai nemmeno l’ombra. Non è mai esistito l’animale dalla quale proviene, figuriamoci l’eventuale malattia.
Ma se è migliore di quella animale, perché non l’adottiamo subito?
Arrivati a questo punto uno potrebbe dire: "Consuma meno, non emette gas nocivi per la terra, non comporta la macellazione di animali ed è pure più sana. La voglio subito!”. Calma, non è così semplice (e te pareva).
Prima di rispondere però una doverosa premessa: ho deciso di non considerare tutta quella frangia di contestatori secondo cui sarebbe da bandire visto che, siccome viene prodotta in laboratorio, non sarebbe una cosa “naturale”.
Figuriamoci, se avete letto la precedente puntata sugli OGM sapete benissimo cosa penso di una certa propaganda e sui tanti miti legati alla presunta “naturalità” della maggior parte degli alimenti che mettiamo in tavola. Provate a immaginare cosa posso pensare di ministri che parlano di cultura e tradizione di cui dimostrano di sapere poco e niente.
C’è però da considerare alcuni aspetti che sono reali e supportati da dati scientifici. Lo sapete, qui su Insalata Mista parliamo soltanto di cose reali, scientifiche e provate. Secondo il Good Food Institute, che è una noprofit composta da scienziati e aziende che lavorano per rendere il sistema globale di produzione del cibo più sostenibile, le sfide ancora da vincere nella produzione della carne coltivata sono 5: le cell lines, i cell culture media, il bioprocess design, lo scaffolding e il l’end product design and characterization.
Si tratta di argomenti molto complessi ma ve la farò facile: le cell lines sono le linee cellulari da coltivare in laboratorio. Possono essere ottenute tramite biopsia su animali vivi o su animali appena uccisi (così da rispettare anche religioni che prevedono che l’animale debba essere cosciente quando viene ucciso, come la tradizione Halal o la Kosher).
In ogni caso, capirete bene che queste linee non sono infinite. Produrre carne coltivata su larga scala pone questo primo problema. Seguono in rapida successione i “terreni di coltura cellulare”, che sono le soluzioni nutritive all’interno delle quali le cellule possono crescere e moltiplicarsi; il Bioprocess design, che è il funzionamento dell’intero processo, ovvero i tempi di crescita delle cellule, le tecniche di moltiplicazione cellulare, il monitoraggio dei parametri, etc.; lo Scaffolding, che è la tecnica tramite la quale la carne acquista la tridimensionalità e la struttura in fibre, tipica del prodotto finito; infine c’è la fase che riguarda la caratterizzazione del prodotto finale, ciò che darà alla carne la forma, la consistenza e il sapore della carne che conosciamo.
Se a questo punto sarete tentati di commentare “ma che è ‘sta zozzeria?”, sappiate che si tratta di un tentativo come altri di imitare quello che fa la natura, chiaramente replicato in laboratorio. Ma è un processo che già padroneggiamo in altri contesti, come quello medico, per esempio.
Siamo sicuri che si emettano meno gas con la carne coltivata?
Quanto elencato fino a qui rappresenta ancora una sfida per il settore ed è tutt’altro che un problema risolto. Non bastasse ciò, secondo alcuni studi non sarebbe nemmeno certo che la carne coltivata porterebbe a una minore emissione di gas a effetto serra nell’atmosfera.
In particolare uno studio, pubblicato su bioRxiv, dimostrerebbe come un chilo di carne coltivata comporterebbe un quantitativo di emissioni di CO2 che potrebbe andare dalle 4 alle 25 volte in più rispetto a quella emessa con la produzione “convenzionale”.
Lo studio però fa tutta una serie di premesse su quanto sia difficile da creare un sistema di misurazione su un processo produttivo che ancora non è stato definito. E comunque, lo dice anche Carlo Alberto Redi (presidente del Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi) a Ansa.it, “É un’analisi dettagliata che si basa però su molteplici assunzioni di variabili che gli stessi autori della ricerca riconoscono suscettibili di una diversa valutazione e impiego per approcci statistici diversi da parte di altri ricercatori: l'amplissimo spettro di variabilità presentato da tutti gli indicatori legati al processo produttivo può dunque portare a valutazioni statistiche molto diverse e a diverse valutazioni finali".
Insomma, tradotto: è troppo presto per fare queste valutazioni. Ci pensate a cosa ci avrebbe detto uno studio sulla sostenibilità della auto elettriche soltanto dieci anni fa? (parlo di sostenibilità economica, non di quella ambientale, sulla quale mantengo più di qualche riserva. Ci torneremo presto).
Ma non basterebbe mangiarne meno?
Certo, il buon senso direbbe proprio questo. “Non basterebbe mangiarne un quantitativo più moderato per evitare gli allevamenti intensivi, le macellazioni seriali, la sofferenza degli animali e quella del pianeta?” Si, ma c’è un però: i dati (sempre FAO) ci dicono che il consumo globale di carne è passato da 70,5 milioni di tonnellate nel 1961 a 337 milioni nel 2020. Quasi 5 volte tanto in 60 anni.
La ripartizione è la seguente: 22% è carne di manzo e di bufalo, 39% di pollame e 32% di maiale. Interessante è invece analizzare il consumo per paese e pro capite. Al primo posto ci sono gli Stati Uniti, poi l’Australia, l’Argentina e Israele. In Italia si consumano invece circa 90,7 Kg di carne pro capite l’anno. In Etiopia 3.
Capite bene che da grassi e sazi occidentali possiamo anche ragionare a pancia piena sul fatto di consumare meno carne, ma se domani arrivassero i paesi e le economie emergenti a dire “ora è il nostro turno, anche noi vogliamo mangiare tanta carne” chi avrebbe il coraggio di rispondergli “no, tu non puoi perché inquini”?
Insomma, tutti hanno il diritto di consumare carne, si tratta solo di trovare il modo più sano per noi, per gli animali e soprattutto per il pianeta.
Ok, tutto bello, ma l’economia?
Rimane poi quest’ultimo punto da approfondire. Perché è inutile stare lì a far finta che se una fetta degli italiani è contraria alla carne coltivata non sia anche perché la filiera della carne in Italia conta un bel po’, sia per l’economia interna che per l’esportazione, l’indotto e le persone impiegate.
Dei circa 180 miliardi di PIL provenienti dal settore agroalimentare, 30 derivano dal settore delle carni, includendo sia la parte agricola sia quella industriale. Si parla di circa 67.000 addetti, senza considerare l’indotto. Questo per dire che non si può certo dare un colpo di spugna e passare alla carne coltivata da un anno all’altro. Ma in fondo, chi è che davvero vuole questo?
È evidente che ci vorranno anni prima che venga messo a punto un ciclo produttivo capace di garantire al mercato quantitativi adeguati di carne coltivata a un costo sostenibile. Ma soprattutto, anche dovesse verificarsi questo scenario, è certo che le due carni, quella da macellazione e quella coltivata, continueranno a convivere. Nessuno ci toglierà la possibilità di acquistare la carne macellata allo spaccio della piccola cooperativa agricola a chilometro zero. Così come nessuno toglierà i tagli prelibati dai piatti dagli appassionati della griglia.
Ciò che è certo, però, è che fare muro oggi significa inchiodare l’industria italiana a tecniche di produzione che sono già oggi vecchie e che presto lo diventeranno ancora di più. Vietare la produzione di carne coltivata nel nostro paese significa permettere ai grossi gruppi industriali esteri di venderla nei nostri supermercati e di distruggere un tessuto produttivo che nel frattempo sarà rimasto a guardare, perdendo l’ennesimo treno che avrebbe consentito alla filiera italiana della carne di affiancare la produzione di carne coltivata a quella convenzionale.
Tuttavia si sa, alla nostra classe politica (attuale e passata) riesce fare bene un sacco di cose (forse), tranne quella di avere una visione strategica sul futuro del paese.
SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
Questa settimana si è tenuto il Tudum 2023. Magari il nome (onomatopeico) non vi dirà niente, ma si tratta dell’evento annuale in cui Netflix presenta tutte le novità più importanti. Oltre a nuove stagioni di serial amati (Lupin, Cobra Kai, Squid Game, etc.), ci sono serial nuovi, come il live action di One Piece (qui il trailer) e lo spin-off della Casa di Carta, dedicato all’omonimo personaggio, Berlino.
Se non vi fossero bastate le botte che Elon Musk (patron di Twitter, Tesla… dai che lo conoscete) e Mark Zuckerberg si sono dati virtualmente, beh, prossimamente vi potrebbe capitare di vederli darsele anche dal vivo. Ebbene, i due si sono dati appuntamento alla vecchia maniera: “dimmi dove” e Musk ha indicato il posto. Insomma, sarebbe molto divertente vedere due tra le persone più ricche e potenti del mondo darsele di santa ragione, ma fidatevi, non succederà.
Brutte notizie per i videogiocatori, in particolar modo per gli appassionati di Xbox. Dal 6 luglio aumenterà sia il costo della Xbox Series X, ammiraglia di casa, sia l’abbonamento Game Pass. Xbox Series X passerà da 499€ a 549€ (a partire dal primo agosto), portandosi quindi al livello di Playstation 5 che aveva già aumentato il listino di 50€ ad agosto 2022. Game Pass invece aumenterà di 2€ per la versione Ultimate (da 12,99 euro a 14,99 euro al mese) e di 1€ per la versione console (da 9,99 euro a 10,99 euro al mese). La versione PC rimarrà invece invariata. In effetti ci sembrava che Microsoft ultimamente stesse spendendo un po’ troppo.
La testata americana theverge.com ha pubblicato una storia illustrata animata in cui mette in mostra le conseguenza da dipendenza da scroll e più in generale da smartphone. Oltre a stupire sempre per la qualità della soluzione tecnica e artistica messa in campo, consiglio a tutti di dargli uno sguardo per il valore del contenuto. È in inglese ma si fa capire facilmente. Forse dobbiamo rivedere qualcosa.
SUGGERIMENTI PER SPENDERE (BENE) I VOSTRI SOLDI
(rubrica ad alto contenuto di link affiliazione)
Di seguito i miei suggerimenti per spendere al meglio i vostri soldi. Da questi acquisti, se vorrete utilizzare il link che inserirò, trarrò una piccola provvigione. È un piccolo modo per supportare Insalata Mista e per darmi modo di andare avanti a scriverla che a voi non costa nulla.
Se al supermercato doveste intravedere della pasta con scritto “Playstation” non vi stupite. Si tratta di una campagna promossa da Sony Italia e pasta Garofalo, che ha messo in commercio un’edizione speciale della pasta a tema PlayStation. Ecco, se non la trovate al supermercato, potete comprarla su Amazon.
Se state per partire per le vacanze e avete bisogno di una soluzione di videosorveglianza da mettere in piedi in (letteralmente) cinque minuti, vi consiglio queste videocamere della Arlo. Oltre a essere Wi-Fi, hanno anche una batteria enorme. Quindi basta fissare un tassello al muro (in dotazione) e configurarla in 5 minuti. La batteria XL è data per un anno di durata. Chiaramente dipende dall’uso che ne fate. Io ce l’ho attiva da 8 mesi e ha ancora carica. Consigliatissima.
Si è tenuto da pochi giorni il Nintendo Direct, evento in cui sono stati presentati tantissimi nuovi giochi in uscita. Tra questi c’è il nuovo capitolo di Super Mario in 2D, ovvero Super Mario Wonders, in uscita il 20 ottobre. La buona notizia? Lo potete già preordinare da qui.
TI SEI PERSO LE PRECEDENTI PUNTATE?
N.21 Un bambino è morto (forse) per colpa di una sfida. Vietiamo i social?
N.18 È vero che Elon Musk ha ricevuto l'ok per impiantarci un chip nel cervello?
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.