Dobbiamo avere paura di Roblox?
Il gioco popolarissimo tra bambini e adolescenti è al centro di critiche e report sulla presunta sicurezza, tanto da essere definito come un inferno pedopornografico. Dobbiamo averne paura?
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La scorsa settimana, la certezza di ricevere Insalata Mista il lunedì alle 7 è crollata inesorabilmente sotto i colpi della mia distrazione incurabile. La puntata era pronta, così come il podcast, ma ho dimenticato di programmarla. Perdonatemi, cercherò di metterci più attenzione.
» PENSIERI FRANCHI: La burocrazia applicata ai siti porno
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Il 7 ottobre, l’AGCOM ha diffuso un comunicato stampa con cui annunciava l’obbligo della age assurance (o age verification) per tutti i siti pornografici o di scommesse. Tralasciando il fatto che un obbligo del genere arriva in attuazione del cosiddetto “decreto Caivano”, che la dice lunga su come in Italia si facciano passare regolamenti e leggi di qualsiasi genere in decreti che hanno una eco mediatica ma con cui c’entrano poco e niente, l’annuncio ha chiaramente spalancato le porte alla satira di ogni genere.
A fare la satira peggiore però, come spesso capita, ci hanno pensato i quotidiani, che hanno subito titolato “Per guardare i siti porno serve lo SPID”, che sono le famose credenziali uniche di accesso a tutti i servizi della pubblica amministrazione. Ora, era evidente da subito che fosse una stupidaggine, perché se provate per un attimo soltanto a immaginare la situazione in cui una persona - o peggio ancora una coppia - decide di andare su un sito porno, capirete bene subito che mettersi lì a trafficare con password e app per la generazione di codici non è proprio il massimo.
L’aver accoppiato lo SPID alla verifica dell’età però non è un fatto completamente pretestuoso, perché nel comunicato del 7 ottobre, l’AGCOM, in un capolavoro assoluto di vaghezza, scrive che “Nel caso di sistemi di age assurance basati sull’uso di applicativi installati sul dispositivo, il soggetto terzo che fornisce la prova dell’età mette a disposizione dell’utente una APP per la certificazione e la generazione della “prova dell’età” (es. APP del portafoglio di identità digitale, oppure APP per la gestione dell’identità digitale, etc.)”. E cosa vi viene in mente se parliamo di “app per la gestione dell’identità digitale” se non lo SPID?
Dopo l’inevitabile circo mediatico suscitato dalla dichiarazione, è arrivato il turno dei chiarimenti. Il commissario Agcom Massimiliano Capitanio ha chiarito che no, non si è mai palato di SPID nelle linee guida. E cosa dicono le linee guida? Non è chiaro del tutto, se non che il sistema dovrà sfruttare il doppio anonimato, e cioè un sistema che prevede queste tre fasi:
1. La “prova dell’età” viene emessa da soggetti terzi indipendenti, come fornitori di identità digitale o organizzazioni che conoscono l’utente, dopo averne verificato l’identità. Questi soggetti non sanno per quale scopo verrà utilizzata la prova e devono essere certificati da un’autorità per garantire la validità del sistema di identificazione.
2. La prova dell’età viene comunicata solo all’utente, che la scarica dal sito del certificatore e la presenta al sito o piattaforma visitata.
3. Il sito analizza la prova dell’età fornita dall’utente e decide se concedere l’accesso ai contenuti richiesti.
Se lo SPID poteva sembrare un incubo, questa spiegazione rappresenta l’inferno, in particolare quando si legge che l’utente deve “scaricare dal sito certificatore” la prova e presentarla al sito porno a cui vuole accedere. Ma ci pensate? Uno decide di andare su un sito porno per un attimo di lussuria e questo gli chiede di certificare l’età. Benissimo, allora l’utente prende e va su un altro sito, accede col proprio account tramite doppia autenticazione - quindi mette nome utente, password e pure un codice generato dinamicamente da un’altra applicazione - poi scarica il certificato di adultità (passatemelo dai), torna sul sito porno, lo carica e finalmente… chiude tutto perché nel frattempo gli è passata la voglia, è evidente.
Ora, non è che sia contrario al principio di voler rendere più complicato l’accesso dei minori ai siti porno, ma mi sono chiesto quali ripercussioni potrà avere quella che sembra essere la solita soluzione elaborata, diciamo così, in maniera un po’ frettolosa. Probabilmente giusto per poter dire che il tal governo ha reso più sicuro anche l’accesso dei minori ai siti porno, ecco.
Ho controllato rapidamente dove esiste già un sistema analogo, e ho trovato inaspettatamente un gran numero di paesi. Per esempio Regno Unito, Germania, Francia, Australia, alcuni stati USA come Utah, Louisiana e Texas e infine il Canada. E come hanno implementato la age assurance questi paesi? Nei modi più disparati e in qualche caso spaventosi, ma la costante è che in tutti questi paesi la norma non sembra essere ancora pienamente operativa, proprio perché non è ancora sciolto il nodo tecnico: da un lato c’è da tutelare la privacy dell’utente e fare in modo che in nessun caso sia il sito porno che l’autorità che certifica l’età sappiano rispettivamente l’identità dell’utente e che quell’utente frequenta quel determinato sito porno; dall’altro bisogna fare in modo che in qualche modo un ente terzo dica al sito porno che l’utente è maggiorenne senza dargli alcun riferimento sulla sua identità. Sembra banale ma non lo è.
Provate a pensarci: il sistema più sicuro potrebbe essere, parlo per l’Italia, la SIM. L’Italia infatti è un paese che per rilasciare una SIM telefonica richiede i documenti di identità, per cui basterebbe un codice OTP (one time password) inviato a un numero di cellulare per risolvere il problema. Se sei maggiorenne, riceverai il messaggio, altrimenti no. Ecco, c’è un solo problema che in Italia la legge dice che anche il minorenne possa avere una SIM e che la SIM per un minorenne deve essere registrata a nome del genitore che quindi se ne assume la responsabilità. Ergo, anche la SIM del minore risulta intestata a un maggiorenne.
Allora potremmo usare la carta di credito, perché questa viene emessa soltanto a cittadini maggiorenni. E però no, non è vero nemmeno questo, perché esistono i conti correnti con bancomat dedicati ai minori e questi bancomat oggi operano quasi sempre sui circuiti delle carte di credito. Ma poi quanto ci vuole perché un ragazzino sbirci i numeri della carta di un genitore solo per fare l’autenticazione su un sito porno?
Non mi dilungo oltre perché i sistemi messi in campo dai vari paesi sono davvero tanti, tutti macchinosi e in certi casi molto discutibili. In coda a tutto questo bisogna anche ragionare su un fatto: è vero che non bisogna mai rinunciare a una norma che si ritiene giusta perché “tanto poi troveranno un modo per aggirarla”, questo no, ma il fatto che si parli di “siti porno” come unica fonte di approvvigionamento per questo tipo di materiale, fa già un po’ ridere.
Oggi puoi trovare materiale pornografico ovunque: dai social ai motori di ricerca, dalle app di messaggistica a quelle di streaming video. Senza considerare che, per chi ha qualche anno sulle spalle, è ancora vivido il ricordo delle riviste fatte acquistare in edicola da amici e parenti maggiorenni, come si fa oggi con l’alcol o le sigarette in molti paesi. Perché poi, alla fine, siamo pure quel paese dove, se un genitore viene a sapere che il proprio figlio cerca di andare su un sito porno colto dalle prime pulsioni sessuali, un po’ si inorgoglisce e figurati se non fa in modo di rendergli la vita più semplice (sarebbe carino sapere se lo stesso genitore fosse orgoglioso allo stesso modo se la stessa cosa la facesse la figlia femmina, ma magari ne parliamo un’altra volta).
Ebbene, torniamo sempre lì: cerchiamo di bloccare e normare sempre tutto col divieto, con la legge, con le regole, ma la verità è che queste sono cose che si affrontano unicamente con l’educazione. Se temiamo che l’accesso di un minore a un sito porno potrebbe essere dannoso per l’immagine che questi video danno del sesso a un ragazzino/a non ancora perfettamente maturi e formati, allora perché non ci muoviamo per fare un po’ di educazione alla sessualità e alle relazioni affettive? Quella è l’unica soluzione al problema. L’educazione è sempre la soluzione. Solo che è quella più complicata, quella che ci costringe ad affrontare i nostri tabù. Quella che richiede tempo, lavoro, progettualità, visione sul futuro.
E ormai, se seguite questa rubrica da un po’, avrete imparato a capire come di fiducia su queste cose, nella classe dirigente di qualsiasi governo e istituzione, me ne sia rimasta pochissima. Perciò becchiamoci l’ennesimo blocco, l’ennesimo legge, regolamentazione, procedura che renderà più complicato anche l’accesso a determinati siti, in questo eccesso di burocratizzazione che poi in fondo è l’unica vera specialità Made in Italy che siamo fieri di esportare.
Buona lettura.
Franco A.
» ROBLOX È DAVVERO L’INFERNO DA CUI TENERE ALLA LARGA BAMBINI E ADOLESCENTI?
Se avete un figlio tra i 3 e 14 anni, avrete sicuramente sentito parlare di Roblox, ma anche se non ce l’avete, è molto probabile che vi siate imbattuti saltuariamente in questo videogioco che videogioco non è.
Come tutti i fenomeni largamente popolari tra i più piccoli, anche Roblox è un “sorvegliato speciale”, proprio perché è lì che si concentrano le attenzioni dei genitori. Lo è stato, e probabilmente lo è ancora, anche Minecraft, che è l’altro grande titolo che cattura l’attenzione dei più piccoli e non solo.
Roblox però ha guadagnato sempre più popolarità col tempo: nato nel 2006 da una coppia di ingegneri oggi sessantenni (lo sarebbero, se uno dei due, Erik Cassel, non fosse morto per cancro nel 2013), ha visto un’impennata clamorosa nei ricavi a partire dal 2020, anno tristemente noto a tutti per la pandemia.
Attenzione, Roblox era già una piattaforma molto popolare anche negli anni precedenti: nel 2016 Roblox contava 9 milioni di giocatori attivi mensilmente. Per farci un’idea di quanti siano, basti pensare che Call of Duty, che è un fenomeno videoludico globale, ne conta oggi (anzi nel 2023) 57 milioni. Ebbene, Roblox arrivò a fine 2020 a 180 milioni di utenti attivi mensili, per poi fare un ulteriore balzo ai 380 attuali.

Se gli utenti non mancano, anche i ricavi non sono da meno. Roblox oggi genera quasi 3 miliardi di ricavi, di cui 740 milioni vengono girati ai creatori di giochi. Già, perché Roblox in realtà non è un videogioco, bensì una piattaforma. Anzi, come ci tengono a definirlo i suoi sviluppatori, è un metaverso.
Perché Roblox non è un videogioco
Quando vidi la prima volta Roblox sul tablet di mia figlia pensai che fosse un gioco non finito, tanto era grezzo e approssimativo sia nei modelli 3d che nelle interazioni. Mi incuriosì perché non riuscivo proprio a capire come un gioco così superficiale dovesse essere più attraente di un Super Mario.
In realtà non avevo colto l’aspetto più significativo di Roblox e cioè che non è un videogioco, piuttosto è un marketplace di di giochi e applicazioni. Chiunque, pur senza saper programmare, può creare un’esperienza su Roblox e guadagnare anche dei soldi tramite la valuta proprietaria, i Robux, che però si acquistano tramite soldi reali.
Quando ero adolescente, più o meno intorno ai 14/15 anni, sognavo un futuro dove i videogiochi, anziché consistere in esperienze create da un’azienda, potessero essere qualcosa che potevi creare tu stesso. Che il gioco fosse proprio quello di creare giochi e che poi potessi scambiarteli con gli amici a scuola, proprio come all’epoca facevo con i fumetti o con la musica. In effetti, ai tempi passavo i pomeriggi a divertirmi creando cose, un paio di volte tentando persino di creare un avventura testuale tramite infiniti cicli concentrici in BASIC, che a un certo punto diventarono talmente tanti da incartare tutto.
Tralasciando questi episodi fallimentari di tentativi giovanili di programmazione (fatta male), rimane il fatto che il potere creativo di una piattaforma come Roblox esercita una fascinazione totale nei confronti dei più giovani, perché unisce il videogioco - con la sua capacità di intrattenere attivamente grazie all’interazione - a quello più creativo dei giochi di costruzioni come i Lego e del disegno.
Se fate una capatina su Roblox - io l’ho fatto in più di un’occasione - troverete una bacheca piena di migliaia di esperienze suddivise per genere, create sia da aziende che da ragazzi stessi. Alcuni anche molto giovani, come nel caso del creatore di un’esperienza che ha fatto molto discutere e che è al centro dell’argomento di questa puntata, ovvero il Simulatore di Bagno Pubblico. Nella descrizione del gioco, lo sviluppatore ha dovuto precisare:«ho fato questo gioco quando avevo 12 anni, prima che fossi consapevole che le persone cattive esistessero».
Queste sono le premesse da cui è giusto partire prima di analizzare il fatto specifico di questa Insalata, ovvero il motivo per cui in questi giorni Roblox sta occupando abbastanza insistentemente le pagine di testate giornalistiche mondiali, come The Guardian.
Cosa dice il report
Roblox è salito prepotentemente agli onori della cronaca per via di un report, di cui ho letto per la prima volta nella newsletter dell’amico e compagno di Chiacchiere Massimiliano Di Marco (se non conoscete la sua newsletter, Insert Coin, sappiate che è una delle poche fonti di informazioni “adulte” e analitiche del mondo del videogioco). Il report è quello che ha prodotto Hindenburg Research, una società di investimenti (poi vedremo che tipo di investimenti).
Il report in questione ha messo in subbuglio una buona parte di internet, perché ha puntato i riflettori su un lato di Roblox di cui nessuno fino a oggi si è realmente preoccupato: la pericolosità, tanto da definire la piattaforma una “pedophile hellscape”, qualcosa traducibile come “inferno di pedofili”. Capite come la notizia abbia scosso profondamente un po’ tutte le istituzioni, perché il successo di Roblox non è più così misterioso come qualche anno fa.
Dunque immaginatevi la situazione: centinaia di milioni di genitori avevano sentito parlare di questo gioco con cui i propri figli passavano ore giocando, ma non si erano preoccupati granché per via dell’aspetto giocattoloso, quasi infantile di quello che vedevano sullo schermo. I personaggi sono simili ai personaggi dei lego, per capirci. Di punto in bianco i giornali e la TV cominciano a descrivere quel gioco come un posto dove i pedofili vanno ad adescare minori, in cerca di immagini da sfruttare poi in modi che non vogliamo né immaginare né tantomeno citare. È evidente che sia scoppiato un mezzo putiferio.
Secondo il report, Roblox permetterebbe la diffusione di contenuti altamente inappropriati, tra cui grooming (ci arriviamo tra poco), pornografia e contenuti violenti. Hindenburg Research afferma di aver trovato numerosi account con nomi legati a noti criminali sessuali, come Jeffrey Epstein, la presenza di giochi a sfondo sessuale e gruppi che scambiano materiale pedopornografico. Queste accuse sono particolarmente gravi, poiché una larga parte degli utenti della piattaforma è minorenne, molti dei quali sotto i 13 anni (nel 2024, 32 milioni di utenti attivi quotidianamente hanno meno di 13 anni)
Roblox ha respinto con forza queste accuse, sostenendo che la sicurezza è fondamentale per l’azienda e che gran parte dei contenuti segnalati nel report era già stata rimossa o era in fase di revisione. Fatto sta che al centro della questione c’è sempre e solo la moderazione. Ricordate? Ne avevamo già parlato in occasione dell’arresto del fondatore di Telegram, Pavel Durov, accusato proprio di non aver moderato adeguatamente ciò che viene scambiato sull’applicazione di messaggistica.
Ma ovviamente, dietro la questione di questo Report, c’è molto di più.
Il report di Hindenburg Research, seppure potenzialmente corretto, ha un vizio di fondo. Come sottolineato da Insert Coin, infatti, Hindenburg Research è principalmente, cito da Wikipedia, una società statunitense di ricerca sugli investimenti con un focus sulla vendita allo scoperto.
“Vendita allo scoperto” vi dice niente? Ecco, se non lo fa, vi invito ad ascoltare il podcast di Insert Coin, dove interviene a spiegarlo benissimo Alessandro Fatichi del podcast “La finanza amichevole”.
Per farla facile, una società di investimenti “allo scoperto” guadagna quando il prezzo delle azioni di una determinata azienda scende. Funziona così: la società “prende in prestito” azioni da qualcun altro e le vende al prezzo attuale di mercato. L’obiettivo è riacquistarle successivamente a un prezzo inferiore, restituire le azioni al proprietario originario e trattenere la differenza come profitto. In pratica, scommettono sul calo del valore delle azioni di una società o di un asset.
Se il prezzo dell’azione scende, la società di investimenti guadagna. Se invece sale, subiscono una perdita. Ora capirete facilmente che Hindenburg Research aveva tutto l’interesse del mondo a gettare fango (oppure a far uscire fuori una situazione realmente pericolosa) su Roblox, per fare in modo che le azioni della società crollassero e quindi guardagnare dalla vendita allo scoperto delle sue azioni. Di fatto, il risultato l’hanno ottenuto soltanto in minima parte (le azioni di Roblox, in seguito al report, sono sì scese, ma non crollate).
Non è un caso che lo stesso report, oltre a parlare del problema di sicurezza per i più piccoli, si concentra anche sul fatto che alcuni dati, come quello relativo ai giocatori attivi giornalieri (DAU) e il tempo di utilizzo, sarebbero stati gonfiati ingannando così, sempre secondo il report, investitori e regolatori.
Sempre secondo il report, Roblox avrebbe sovrastimato i suoi dati del 25-42%, includendo anche account multipli creati da un singolo utente, come account secondari o bot, per aumentare artificialmente le metriche di utilizzo. Inoltre, Hindenburg afferma che Roblox utilizza due set di dati: uno interno per decisioni aziendali che rimuove gli account duplicati (processo chiamato “de-alting”), e un altro destinato agli investitori che presenta numeri più alti .
Roblox ha respinto queste accuse, definendo le affermazioni fuorvianti e sostenendo che i suoi report finanziari sono trasparenti e conformi alle normative. Ha anche riconosciuto la presenza di bot sulla piattaforma, ma ha affermato di attuare misure proattive per rilevare e rimuovere questi account dalle statistiche ufficiali.
Probabilmente, come sempre in questi casi, la verità sta esattamente nel mezzo. Ma intanto, quello che è certo, è che il report non arriva da un’inchiesta giornalistica né da un ente terzo, bensì da una società che guadagna dall’effetto negativo delle affermazioni anche se queste vengono poi smentite. Basta l’effetto “valanga” generato da certe notizie per generare una variazione nel valore delle azioni che fa guadagnare queste società, anche se poi il valore torna velocemente al livello precedente perché il problema rientra o le affermazioni vengono addirittura smentite.
Cosa si può fare come genitori
Al di là degli aspetti finanziari e di quelli sulla veridicità delle accuse, rimane comunque il problema della sicurezza per i bambini che esiste ed è la stessa Roblox ad ammetterlo. Non è la prima volta infatti che vengono denunciati episodi di grooming su Roblox.
Il grooming è un processo in cui un adulto stabilisce un rapporto di fiducia con un bambino o un adolescente, con l’obiettivo di manipolarlo o sfruttarlo sessualmente. Questo processo può avvenire sia di persona che online, tramite social network, chat, giochi o altre piattaforme digitali. Il groomer utilizza tecniche di manipolazione psicologica, guadagnandosi la fiducia della vittima, spesso facendo leva sui suoi bisogni emotivi o isolandola dal suo ambiente sociale, per poi introdurre gradualmente comportamenti sessualmente espliciti.
Roblox però non è un ambiente particolarmente pericoloso, o quantomeno non lo è più di qualsiasi altro ambiente reale o virtuale, dipende sempre da come il bambino approccia a questi ambienti e quanto viene “accompagnato” o meno da una figura adulta.
Ma cosa può fare un genitore che ha un figlio che gioca a Roblox? Proibirglielo? Demonizzarlo? Certo, se mira a ottenere il peggior risultato possibile. C’è invece molto che si può fare con le opzioni di controllo parentale che la piattaforma stessa mette a disposizione.

Per esempio, oltre alla possibilità di limitare i contenuti in base alla fascia d’età del minore, c’è la possibilità di impostare un PIN per poter modificare le impostazioni del gioco e tra queste, si può impostare la possibilità che il giocatore riceva messaggi o chat soltanto dalla propria cerchia di amici, che è già un sistema abbastanza forte per limitare la possibilità che il bambino o l’adolescente venga in contatto con sconosciuti malintenzionati.
D’altronde, demonizzare le singole piattaforme è una soluzione dalle gambe cortissime. Oggi è Roblox, in passato è stato altro, domani lo sarà un’altra cosa ancora. Quello che serve, proprio come quando si educa i propri figli a “non parlare con gli sconosciuti” nel mondo reale, è fare in modo che imparino a capire cosa può essere pericoloso e come no. Attaccare e proibire il singolo gioco o piattaforma equivarrebbe a un divieto totale di uscire di casa. Avrebbe senso? Ovviamente no e se è vero che spesso i ragazzi vengono lasciati per troppo tempo da soli insieme ai dispositivi connessi, è allo stesso modo vero che sono soli anche quando escono di casa e non c’è nessuno a difenderli da interazioni possibilmente pericolose. Non esiste “moderazione” nel mondo reale.
Dobbiamo quindi avere paura di Roblox? Si, come per tutte le cose che possono rappresentare un pericolo. Roblox però, come quasi tutte le piattaforme digitali, permette anche di prendere delle misure piuttosto semplici da attuare per ridurre il rischio. Rimane però il fatto che un rischio di base c’è e ci sarà sempre, come in tutte le cose della vita. A meno che non vogliamo mettere i nostri figli sotto una campana di vetro e crescerli come dei disadattati incapaci di relazionarsi col mondo. Cosa che forse, se ci penso bene, non è così distante da tante cose che ho sentito dire da educatori e pedagogisti.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
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[Fonte: DDAY.it]
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[Fonte: DDAY.it]
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In conformità con il Digital Services Act (DSA) dell’Unione Europea, gli sviluppatori di app su App Store devono ora fornire e rendere visibili agli utenti il proprio indirizzo, e-mail e numero di telefono. La modifica riguarda solo gli sviluppatori che operano per scopi commerciali. Chi non si adeguerà entro il 17 febbraio 2025 verrà rimosso dallo store. Anche Google si sta adeguando a questa normativa, che mira a garantire maggiore trasparenza e controllo per gli utenti.
[Fonte: DDAY.it]
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[Fonte: Dmove.it]
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[Fonte: Dmove.it]
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Da genitore di bimbi piccoli (anche se ancora troppo piccoli per Roblox) ti ringrazio per questo tipo di approfondimenti. I tuoi ragionamenti sulla questione sono molto condivisibili