Sesso e adolescenti: quando famiglia e scuola falliscono, internet diventa l'educatore
L'indagine Save the Children mostra come i giovani, abbandonati da famiglia e scuola, si informino sulla sessualità attraverso social e pornografia. E i risultati, ovviamente, sono preoccupanti.
Chi legge Insalata Mista da qualche tempo sa che conduco una mia personale e isolatissima battaglia contro chi ama fare dei pastoni unici mettendoci dentro social network, smartphone, videogiochi e internet e da questo composto organico plasmare il mostro responsabile di tutti i problemi delle nuove generazioni.
Ci sono diversi motivi per cui questa lotta e questi argomenti mi appassionano e per cui sono fondamentalmente convinto che si stia semplicemente invertendo le cause con le conseguenze e probabilmente ne farò anche cenno, ma non è questo il cuore di questa Insalata Mista.
Il cuore è un’indagine pubblicata da Save the Children e realizzata da Ipsos a dicembre 2024 dal titolo “Gli adolescenti e la sessualità”, in cui si affronta il tema degli affetti e della sessualità, ma non solo. Ci sono domande basate sulla felicità e sul rapporto che i giovani hanno con la scuola e la famiglia. Dove si informano, come vivono l’intimità.
Una buona occasione per farci un’idea di come i nostri ragazzi, sottoposti a pressioni e stress maggiori che in passato, stanno reagendo a tutto ciò e come stanno vivendo uno dei periodi più complicati della vita.
Una generazione iperconnessa, eppure pochissimo informata
In Italia, l’educazione sessuale (o affettiva) è un grosso tabù, perché tabù è ancora, ahimè, il sesso. L’abbiamo visto anche negli ultimi Pensieri Franchi, in cui ho liberamente parlato del caso del film Moana, rinominato, soltanto in Italia, Oceania. Dopo quella puntata un amico mi ha scritto, sottolineando che forse è proprio così e che stiamo osservando ormai il lento declino di una società sempre più bigotta e bacchettona.
E così, se negli anni ’80 Cicciolina — alias di Ilona Star, nota pornoattrice dell’epoca — prestava il proprio volto a un’azienda di pomodori e conserve, oggi non riusciamo ad accettare che i nostri ragazzi abbiano una figura professionale a cui chiedere e con cui informarsi su un affare molto grosso e ingombrante della fase della crescita che stanno vivendo: la sessualità.
Il problema viene vissuto talmente male, che le ultime esternazioni in merito fatte dal Ministro dell’Istruzione hanno parlato di un possibile consenso che le famiglie dovrebbero esprimere a riguardo, per poter permettere ai giovani di accedere anche a questo tipo di educazione e formazione.
Eppure i numeri di questa indagine ci dicono che i ragazzi cercano disperatamente di informarsi su questi argomenti, com’è normale e logico che sia, ovviamente. In assenza di un supporto da parte degli adulti, fanno l’unica cosa che gli rimane da fare: cercano online o — peggio — altrove. Ed è un po’ sempre la stessa storia: noi adulti puntiamo il dito contro lo smartphone come origine dell’aumento di fenomeni come ansia e depressione, senza domandarci se non sia in realtà vero il contrario e cioè che questi adolescenti e preadolescenti si rifugiano nello smartphone e nei social perché vivono un disagio forte a cui non trovano risposta altrove.
I numeri, del resto, parlano chiaro: quando si tratta di cercare informazioni sul sesso e sui rapporti personali, i giovani cercano autonomamente. Il 71% cerca informazioni sulle pratiche sessuali, il 68% sulla contraccezione, il 64% sulle malattie trasmissibili sessualmente (IST) e il 64% sul tema del consenso. Le fonti più utilizzate sono siti specializzati (nel 57% dei casi per le IST, 47% per pratiche sessuali); i social media e la pornografia — si, avete letto bene, la pornografia —vengono utilizzati per informarsi invece da una quota non trascurabile: il 18% per i primi e l’11% per la seconda.
Poi, però, quando la domanda viene girata al contrario, ovvero “Quanto sei d’accordo con l’affermazione che La pornografia è il modo più veloce per imparare molte cose sul sesso?”, il 29% si dice molto d’accordo o abbastanza d’accordo (con lo spaccato che vede il 31% dei ragazzi e il 26% delle ragazze). Poi c’è “La pornografia aiuta a capire meglio la sessualità” su cui sono d’accordo il 26% (cioè un giovane su quattro) e “La pornografia è una rappresentazione realistica dell’atto sessuale” che trova d’accordo il 24% dei giovani (25% ragazzi e 21% ragazze).
Provate solo a immaginare quanto possa essere frustrante e deprimente la scoperta del sesso per un ragazzo o una ragazza che ha costruito il proprio immaginario sessuale sulla pornografia e poi, se volete, torniamo a parlare di ansia, depressione e senso di inadeguatezza.
Sono genitore anch’io e non provo piacere nel parlare di dati che generano ansia e un senso di emergenza, ma bisogna guardare le cose in faccia per quello che sono. Quindi, se possibile, sprofondiamo ancora un po’ di più con una percentuale da brivido: il 17% si dice molto o abbastanza d’accordo con l’assunto che “Autoprodurre materiale pornografico mi aiuta a soddisfare economicamente alcuni miei bisogni”.
Genitori e scuola falliscono completamente nel ruolo di educatori
Seppure sia sempre un filo troppo critico nei confronti dei due poli educativi della società in cui viviamo — famiglia e scuola anche se quest’ultima, per molti, non si occupa o non dovrebbe occuparsi di educazione — credo che nessuno possa obiettare sul fatto che, se ragazzi e ragazzini cercano informazioni su una cosa così importante come la sessualità sui social o su internet anziché chiedere a scuola o in famiglia, allora scuola e famiglia hanno clamorosamente fallito.
Cosa dicono i dati di Save the Children/Ipsos a riguardo? Quando si parla di famiglia, due ragazzi su tre sostengono di aver ricevuto un’educazione sessuale in famiglia (69% i maschi e 65% le femmine). Curiosamente, quando la domanda viene posta ai genitori, l’80% crede di avergliela data. Eppure, quando si parla di apertura mentale su questi temi, la maggior parte dei ragazzi vede i propri genitori adeguati. Alla domanda se si è d’accordo con l’affermazione che “I miei genitori sono aperti sui temi della sessualità” gli intervistati hanno risposto di essere d’accordo con una media di voto molto alta, 7 per la precisione.
E la scuola com’è messa? Maluccio, verrebbe da dire, soprattutto se il Ministero che la governa si dimostra scettico sull’argomento. Alla domanda “hai fatto educazione sessuale a scuola?” il 47 % risponde positivamente, l’8% “forse”, il 41% non l’ha fatta e il 4% non lo sa o non si ricorda. Questo 47% poi è frutto di un’enorme differenza geografica, visto che nel nord-est la percentuale sale al 61% e fa media col 37% di sud e isole. Non è la metà, ma poco ci manca.
Ma è la durata a dirci ancora di più, perché se un argomento così importante come l’educazione sessuale viene liquidato in poche sedute, allora forse è meglio non occuparsene direttamente. Nel 32% dei casi si è trattato infatti di un giorno solo di educazione sessuale, nel 44% di qualche settimana e soltanto nell’11% dei casi si è protratto per qualche mese.
Viene allora da chiedersi: questi eventi formativi, alla fine, sono utili? Se partiamo dall’assunto che i ragazzi cercano informazioni online, sui social o nella pornografia perché hanno bisogno di saperne di più, allora non possiamo che trovare conforto in questo dato: l’82% dei ragazzi che ha seguito un corso di educazione sessuale a scuola l’ha trovato utile (ma guarda un po’) e la stessa percentuale afferma che “l’ha arricchito o arricchita”. Un dato, tra l’altro, praticamente uguale sia tra i ragazzi che tra le ragazze.
Peraltro, grandissima fame di informazione e educazione, su questo fronte, c’è anche da parte dei genitori. Il 95% infatti è d’accordo con l’affermazione “Ritengo sia utile fare educazione affettiva e sessuale a scuola, dando la giusta attenzione alle diverse fasce di età” e il 92% con l’affermazione “Ritengo necessario un supporto formativo indirizzato ai genitori su come affrontare i temi della sessualità con i propri figli”; il 91% invece è d’accordo con l’affermazione “Ritengo utile l'istituzione di un’educazione affettiva e sessuale come materia obbligatoria per i giovani”.
Poi però, la percentuale, anche in base all'età dei figli, scende al 68% quando si tratta di bambini, sostenendo che “Ritengo che alla scuola primaria (elementari) i bambini sono troppo piccoli per fare educazione sessuale” e il 49% è d’accordo con l’affermazione “Ritengo che fare educazione sessuale incoraggia i ragazzi a fare esperienze sessuali”. Eccola lì la paura: se parli di educazione sessuale poi quelli — i ragazzi — escono e si accoppiano come conigli. Che è un po’ lo stesso pattern mentale che porta molti adulti a pensare che se giochi ai videogiochi violenti poi uscirai di casa e sparerai al primo che incontri. Ma vabbè, questa è un’altra storia.
È utile anche citare quel terzo degli intervistati che è molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione “Ritengo che l'educazione sessuale vada contro i valori culturali e/o religiosi di molte famiglie in Italia”. Attenzione, questo non significa che un terzo dei genitori ritenga che l’educazione sessuale sia contro i valori culturali e/o religiosi, ma che un terzo ha paura che sia così, in generale. In altre parole, sono i genitori stessi, o almeno un terzo di loro, a temere che l’Italia sia composta in larga parte di famiglie religiose o culturalmente contro questo tipo di educazione.
Il risultato è un’infelicità diffusa e un’idea distorta delle relazioni
Detto tutto questo, qualcuno potrebbe reagire pensando che, tutto sommato, se la generazione degli attuali adulti è sopravvissuta pur crescendo senza una qualsiasi forma di educazione sessuale, allora sarà lo stesso anche per i giovani di oggi. Chi fosse tentato di pensarla così, starebbe in realtà trascurando il contesto storico. Internet e i social network, per esempio, e pure quei fenomeni sociali che hanno cambiato per sempre chi li ha vissuti, come la pandemia e il senso di ansia di fronte al futuro.
Il cambiamento climatico, le guerre e l’instabilità economica generano terremoti sui mercati e preoccupano le famiglie che devono affrontare il futuro con un peso sulle spalle molto maggiore che non in passato. Ma non crediate che tutto questo non si ripercuota anche sui più giovani, che vivono e respirano sia il senso di ansia e incertezza dei propri genitori, sia quello che le aspettative sul futuro generano naturalmente in loro stessi.
Il risultato, lo dicono studi su studi e indagini su indagini, è un generale senso di insicurezza, che poi diventa ansia, depressione, infelicità. Tutto ciò che noi adulti attribuiamo ottusamente agli smartphone e ai social network (quanto è più facile e autoassolvente costruirsi un responsabile artificiale per ogni problema che non siamo in grado di risolvere? L’immigrazione per la criminalità, l’Europa cattiva per l’andamento dell’industria, la politica per le cose che non funzionano, ecc.), ha origini in realtà ben più profonde.
Il risultato è la primissima slide dell’indagine Save the Children/Ipsos: il 44% degli intervistati, ovvero 800 ragazzi tra i 14 e i 18 anni, dice di essere “moderatamente felice” (precisamente il 33%, un ragazzo su tre) e l’11% dichiara di essere “infelice”. Tra questi, le ragazze più dei ragazzi, 12% contro il 10%. Balza all’occhio la differenza quando si spacchetta il dato in base all’età: se fino ai 15 anni si dichiara infelice il 6% dei ragazzi, nella fascia 16-18 anni si dichiara infelice il 15% e si dichiara moderatamente felice il 34%.
Quando si vanno a indagare le aree che generano più infelicità, troviamo ai primi posti “il corpo” con il 16% che si dichiara infelice, “la sessualità” con il 14% e poi a pari merito “la salute mentale” e “la relazione con gli adulti e la scuola” al 13%. Si capisce facilmente quanto il corpo, la sessualità e il rapporto degli adulti con i giovani sia centrale per la loro felicità.
Chiudo questa Insalata con un’ultima slide, questa presa invece da un altro report di Save the Children di febbraio 2024 dal titolo “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere online in adolescenza”. I dati di questa infografica sono forse quelli più allarmanti di tutti e ci dicono che il 30% degli intervistati è generalmente d’accordo sul fatto che la gelosia sia un segno d’amore, il 26% che possa capitare di chiedere di rinunciare a certe amicizie o a determinati contesti che possono infastidire il/la partner, il 21% che la condivisione di password di dispositivi e social sia una prova d’amore, il 20% che possa capitare di chiedere alla/al partner di geolocalizzare i suoi spostamenti, il 17% che possa scappare uno schiaffo ogni tanto.
Si capisce così come mai non si riesca a cogliere i primi segnali d’allarme quando arrivano, prima che portino a conclusioni tragiche, le stesse che vanno ad alimentare quella vergognosa conta dei femminicidi che non è più compatibile con l’idea che abbiamo del nostro come di un paese moderno, civile e mediamente evoluto.
» PENSIERI FRANCHI: Questa volta salto
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale. O meglio, i miei pensieri in libertà.
Questa settimana niente Pensieri Franchi. Il podcast si ferma all’ultima puntata, quella della scorsa settimana, mentre da questa puntata in avanti i Pensieri Franchi ci saranno soltanto quando sentirò la necessità di ammorbarvi con qualche tirata ideologica delle mie. Ho deciso di concentrarmi un po’ di più sulla qualità di Insalata Mista e il tempo a disposizione, come sapete, è limitato.
Franco A.
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini