Arriva ChatGPT search, è la fine del monopolio per Google?
È stata lanciata la funzione che rende ChatGPT un motore di ricerca per il web, ovvero un rivale di Google. Segnerà l’inizio del declino per il monopolio di Google?
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» ChatGPT search è l’anti Google, è l’inizio di un cambiamento epocale?
Il 31 ottobre è stato il giorno di dolcetto e scherzetto anche per Google e OpenAi, solo che alla prima è toccato lo scherzetto e alla seconda decisamente il dolcetto. In quella data è stata infatti annunciata ChatGPT search, l’evoluzione di ChatGPT in chiave motore di ricerca.
ChatGPT, in altre parole, dopo aver messo in crisi Google sul programma di lancio del suo modello di linguaggio (quello che ora si chiama Gemini), ha sferrato un secondo attacco, quello sul mercato dove Google è praticamente monopolista: il motore di ricerca per il web.
D’altronde è già parecchio tempo che gli utenti utilizzano ChatGPT impropriamente come motore di ricerca. Io stesso l’ho usata molto spesso chiedendole di citarmi anche le fonti di quello che mi stava dicendo per poterne verificare le veridicità. Da lì a offrire il pezzetto mancante il passo è stato breve, anzi brevissimo.
OpenAi, l’azienda che ha creato GPT, non si è fermata qui e ha fatto ancora di più per mettere il bastone fra le ruote di Google. Come? Permettendo agli utenti di sostituire Google come motore di ricerca predefinito persino in Chrome, che è il browser fatto da Google stessa. Installando un’estensione del browser Chrome si può infatti impostare ChatGPT come motore di ricerca predefinito. Stiamo assistendo all’inizio del declino del motore di ricerca più popolare al mondo?
Cos’è e come funziona GPT Search
Gli utenti abbonati ai piani Plus e Team di ChatGPT l’avranno già sperimentato: da pochi giorni, quando si scrive qualcosa in ChatGPT, si può selezionare un’iconcina a forma di mappamondo, tipicamente collegata a internet e al web. Così facendo GPT compie una ricerca sul web, utilizzando però i propri strumenti di intelligenza artificiale e di linguaggio naturale.
Conversando con questo modello di linguaggio di cui tutti ormai conosciamo le peculiarità, possiamo a un certo punto chiedergli qualcosa che non attinge ai dati con cui è stato addestrato, bensì che si appoggi al web. Il che fa tutta la differenza del mondo, perché ora ChatGPT può cercare ristoranti, negozi, fornire risultati delle partite, previsioni del meteo e molto altro. Non solo, ma può usare questi dati come origine per fare poi quello che sa fare meglio: generare qualcosa e aprirci una conversazione.
Un esempio? Ora possiamo chiedere a ChatGPT di programmarci le vacanze in Sicilia, cosa che sapeva già fare, solo che ora gli possiamo chiedere di indicarci anche i posti dove soggiornare, magari andando a specificare le caratteristiche che devono avere le strutture e i ristoranti dove vogliamo mangiare.
Facciamo un esempio insieme, ecco il prompt che le ho sottoposto:
Ho a disposizione 10 giorni e vorrei fare una bella vacanza in Sicilia. Il periodo è quello primaverile, noi siamo in 4: io, mia moglie e due figli adolescenti. Vorrei stare non più di 2 giorni nello stesso posto, visitare le bellezze storiche e naturalistiche dell'isola. Vorrei inoltre soggiornare in alberghi almeno 3 stelle con colazione inclusa. Vorrei che fossero tutti alberghi con una bella vista e mangiare in ristoranti tipici, tipo trattorie locali che possano prepararmi le specialità del posto. Ah, in ultimo vorrei raggiungere l'isola in nave da Genova e poi noleggiare un'auto una volta arrivato lì. Puoi prepararmi un programma dettagliato giorno per giorno?
ChatGPT ha fatto quello che avrebbe fatto anche prima, ovvero un programma preciso dei dieci giorni di vacanza, partendo da Genova e arrivando a Palermo, per poi dirigermi verso Monreale, Agrigento, Ragusa, Modica e via dicendo. In più però ha fatto due cose che prima non avrebbe fatto: mi ha consigliato la compagnia del traghetto da prendere e gli hotel in cui soggiornare, basati sulle preferenze che ho indicato nel prompt.
In più, questa è la vera novità, cliccando sul tasto “fonti” in basso ai risultati, mi ha aperto una barra laterale contenente tutti i siti che ha usato come fonte, quindi i siti delle aziende per prenotare il traghetto e vari blog di viaggio che consigliano gli itinerari migliori.
A questo punto le ho anche chiesto di fornirmi i link e le valutazioni degli hotel che mi ha consigliato, e ho ottenuto un elenco sintetico di questo tipo:
Di nuovo, nella barra laterale sono comparsi tutti i link alle fonti.
Ora capite che questo tipo di strumenti evolve drasticamente la ricerca del web e gli fa compiere un balzo in avanti stupefacente. Qualcosa che con gli strumenti convenzionali non sarebbe mai stato possibile. Provate a pensare quanto tempo ci è voluto perché Google integrasse la possibilità di consultare gli hotel e eventualmente prenotare direttamente dal motore di ricerca e paragonatelo con la naturalezza con cui si può accedere a dati più completi conversando in una chat come se dall’altra parte ci fosse non un essere umano qualunque, ma un consulente di un’agenzia viaggi. Non è sbalorditivo?
Da dove prende i dati GPT Search?
È capitato diverse volte, negli anni, che qualche azienda provasse a sfidare il monopolio di Google nelle ricerche sul web. Ci hanno provato in tanti, senza mai riuscirci veramente, perché Google ha dalla sua parte il fatto di essere arrivata per prima a consolidare un modello che funzionava e funziona tutt’oggi. Google è ancora il motore più popolare del mondo perché fornisce i risultati giusti e per farlo incrocia centinaia di parametri che sono contenuti in un enorme database che è il vero tesoro dell’azienda stessa. Ecco perché era impossibile pensare a un competitor che le togliesse lo scettro.
Come al solito, però, quando cade un monopolio (e questo non è ancora successo con Google, sia ben inteso) è perché c’è stato un cambio di tecnologia netto e improvviso. È successo lo stesso quando sono arrivati gli smartphone, che di fatto hanno sancito la morte delle aziende storiche che si erano consolidate come leader di mercato per i telefoni cellulari. In tanti sostengono che la stessa cosa avverrà per il mondo delle automobili una volta che la rivoluzione elettrica entrerà nel suo vivo (stiamo tutti osservando i marchi storici dell’automobile in crisi e la nascita di soggetti completamente nuovi che conquistano fette sempre più ampie di mercato). La stessa cosa, non è scontato ma è molto probabile, avverrà nel mondo delle ricerche su internet.
Ma se abbiamo detto che Google può contare su un database sconfinato di siti indicizzati e di parametri che le permettono di fornire il risultato sempre più pertinente alle ricerche degli utenti, da dove attinge ChatGPT che ha appena due anni di storia?
Da un lato ci sono i partner editoriali, che sono tutti saliti di corsa sul carro del presunto vincitore (tra poco vedremo perché). Si legge infatti sul sito di GPT Search:
“Abbiamo collaborato ampiamente con l'industria delle notizie e ascoltato attentamente i feedback dei nostri partner editoriali globali, tra cui Associated Press, Axel Springer, Condé Nast, Dotdash Meredith, Financial Times, GEDI, Hearst, Le Monde, News Corp, Prisa (El País), Reuters, The Atlantic, Time e Vox Media. Qualsiasi sito web o editore può scegliere di apparire nelle ricerche di ChatGPT. Se desiderate condividere un feedback, vi invitiamo a inviarlo via email a publishers-feedback@openai.com.”
Dall’altro lato c’è Bing di Microsoft, l’altro motore di ricerca che da anni cerca di ritagliarsi una fetta consistente nelle preferenze degli utenti, senza tuttavia riuscire mai a intaccare il predominio di Google. Come sappiamo, i rapporti di Microsoft con OpenAI vanno ben oltre la partecipazione azionaria e i miliardi investiti. Da tempo infatti Bing e Copilot di Microsoft integrano gli strumenti di OpenAI, scontato quindi che molte funzioni di base di ChatGPT search facessero lo stesso al contrario.
Si legge sul sito stesso di OpenAi:
“Per fornire risposte pertinenti alle tue domande, ChatGPT effettua ricerche in base alle tue richieste e può condividere query di ricerca dissociate con fornitori di ricerca di terze parti come Bing. Per ulteriori informazioni, consulta la nostra Informativa sulla privacy e l'informativa sulla privacy di Microsoft. ChatGPT raccoglie anche informazioni generali sulla posizione in base al tuo indirizzo IP e può condividerle con fornitori di ricerca di terze parti per migliorare l'accuratezza dei tuoi risultati.”
Tuttavia, tra le fonti da cui GPT Search attinge c’è Google stessa. Quando infatti ho chiesto di farmi vedere la posizione di uno degli hotel consigliati, GPT mi ha mostrato questo:
Mi ha proposto il link al sito dell’hotel, mostrando le foto e l’itinerario di Google Maps.
Perché gli editori e i siti ci si buttano a capofitto
Abbiamo visto come gran parte degli editori mondiali hanno stretto delle partnership con OpenAI per essere presenti tra le fonti di ChatGPT seach. Un fatto non scontato, visto che ancora oggi diversi governi propongono delle leggi per far sì che le grandi piattaforme come Google e Meta paghino dei compensi ai siti di notizie per alimentare servizi come Google News. L’ultima in ordine temporale è la battaglia della Nuova Zelanda, contro cui Google ha minacciato il blocco dei contenuti giornalistici.
OpenAi ha avuto da questo punto di vista un approccio più equo. Non sappiamo innanzitutto se la partnership preveda anche un accordo economico, presumo di si, ma certamente è un buon inizio il fatto che ogni sito possa decidere di bloccare i bot di GPT dallo scansionare il proprio sito.
Mi spiego meglio: oggi qualsiasi possessore di sito, sia un sito personale che una testata giornalistica, può fare in modo (molto facilmente, per chi mastica di web: basta usare un’istruzione nel file Robots.txt) che vengano bloccati o abilitati sia il bot che scansiona le pagine del sito per addestrare GPT, sia quello per utilizzare i contenuti in GPT Search.
Viceversa, l’abbiamo visto prima, se si vuole entrare all’interno delle fonti di GPT Search, c’è un indirizzo di posta dedicato. Un approccio abbastanza pulito che è un primissimo passo verso la risoluzione di quel grandissimo problema che tutte le intelligenze generative pongono: l’attribuzione delle fonti e dei diritti di utilizzo.
Cosa cambierà per chi lavora con Google
Se GPT Search rappresenta una novità incredibile per il modo in cui approcciamo internet e il web, dall’altro lato un’intera fascia di professionisti comincia a dormire sonni un po’ agitati. Parliamo di chi lavora non solo con Google, ma con il posizionamento sul motore di ricerca stesso, la cosiddetta SEO (Search Engine Optimization). Tra questi, tanto per dire, rientra anche il sottoscritto.
Oggi esistono molto sistemi per ottimizzare le pagine web in modo che arrivino più facilmente nei primi 10 risultati di Google, non starò qui a menzionarveli perché rischierei di annoiarvi. Tuttavia esistono delle strategie, alcune suggerite da Google stessa, altre intuite mediante ingegneria inversa e test pratici.
Se il futuro che vi ho prospettato oggi, con una nuova tipologia di motori di ricerca che prendono il sopravvento su quelli classici come Google, da un lato entusiasma, dall’altro certamente lascia un po’ spaesati coloro i quali oggi con quelle logiche ci lavorano.
D’altro canto non crediamo certo che Google stia a guardare. Sappiamo tutti che Google stessa è stata protagonista nella ricerca sugli attuali modelli di linguaggio e possiede le reti neurali più estese del mondo. Il suo strumento analogo a GPT, che sia chiama Gemini, sta crescendo rapidamente e a questo punto si tratta soltanto di tempo prima che venga profondamente integrato col motore di ricerca.
Tuttavia, quando si parla di Google intenso come motore di ricerca, bisogna fare i conti con un altro aspetto, che si chiama Google Ads e che oggi rappresenta circa il 75% degli introiti di tutta Alphabet1 (l’holding che è a capo di Google).
Google ads è il network di annunci pubblicitari che coinvolge il motore di ricerca stesso e altre fonti, come i siti che fanno parte della rete e soprattutto YouTube. Google modifica e calibra attentamente la presenza dei risultati a pagamento tra quelli naturali (o organici) da decenni, per fare in modo che l’utente sia portato a cliccare sugli annunci (generando guadagni per l’azienda) senza tuttavia compromettere la natura stessa e la missione del motore, che è quella di fornire risultati pertinenti alla ricerca.
Tuttavia, non è facilissimo pensare di integrare tutto questo con una chat che è fortemente centrata sul contenuto stesso e che oggi riserva pochissimo spazio a contenuti estranei, come potrebbero essere degli annunci.
Non dubito che in futuro le centinaia di ingegneri e esperti di marketing di cui Google abbonda possano trovare una soluzione perfetta per questo dilemma - una soluzione che sono pronto a scommettere garantirà al motore e all’azienda ancora più introiti - tuttavia non è così scontato che la soluzione arrivi in tempo prima che qualche altro soggetto conquisti fette di mercato critiche.
Il monopolio, in altre parole, è in serio pericolo e questo fatto, comunque vada, è un’ottima notizia per gli utenti.
» PENSIERI FRANCHI: L’ambiguità non vince le elezioni
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
C’è stato un tempo in cui l’ambiguità, la vaghezza, il rimanere a metà senza mai prendere posizioni, faceva vincere le elezioni. Ancora oggi esiste un modo di dire, “fare il democristiano”, che normalmente si utilizza proprio con quelle persone che non dicono mai niente di netto, di preciso; che non si schierano e non prendono posizione per rimanere sempre al centro e cercare di non scontentare nessuna fetta di elettorato potenzialmente a favore.
È probabilmente nell’era democristiana che sono nati tutti quei modi di dire tipicamente politichesi come, faccio qualche esempio, “Stiamo lavorando per un tavolo di confronto”, “Valuteremo attentamente le diverse opzioni”, “La questione è all’ordine del giorno”, “Siamo aperti al dialogo costruttivo”, “Non escludiamo alcuna ipotesi”, “Lavoriamo per il bene comune”, “Dobbiamo trovare una soluzione condivisa” oppure il capolavoro “È una priorità nell’agenda del governo”.
Oggi, alla vigilia delle elezioni più importanti del mondo, in un anno che ha visto più di 70 paesi andare al voto coinvolgendo più della metà della popolazione mondiale (ne parlavamo in una precedente Insalata Mista), in parecchi si chiedono come faccia a essere ancora così in bilico la posizione del paese più potente del mondo. Per molti, Trump è impresentabile, eppure è ancora lì, testa a testa con l’avversaria democratica (per qualcuno anche in vantaggio), a contendersi uno per uno i 538 grandi elettori che decreteranno l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Su un piano strettamente razionale, si dovrebbe valutare per chi votare sulla base dei programmi. Confrontare quindi razionalmente quale ricetta studia una coalizione o l’altra per poter risolvere i problemi del paese. Da qualche anno a questa parte, invece, il piano si è spostato completamente su come polarizzare la maggior parte della popolazione.
Polarizzare non significa semplicemente “convincere” l’elettore di una tesi, significa causare o accentuare una divisione netta tra due gruppi o opinioni contrapposte, spingendo le persone verso posizioni estreme e lontane dal centro. Significa, in altre parole, trasformare l’elettorato in tifoserie opposte e convincere una fazione non solo che l’altra sbaglia, ma che è il male assoluto e che va combattuta con ogni arma possibile, compresa la violenza.
A tutto però c’è un limite e anche chi intravede questo schema politico ripetersi elezione dopo elezione, sfruttando argomenti che in molti hanno capito essere assolutamente pretestuosi (come l’immigrazione), si domanda come possa ancora raccogliere così tanto consenso un personaggio che si è spinto davvero oltre ogni limite immaginabile. Trump è infatti accusato di aver incitato l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, ha diverse cause civili per molestie sessuali, è accusato di frode fiscale, è indagato per abuso di potere e corruzione e molto molto altro (trovate un bell’elenco qui) e in ultimo continua a mentire in maniera seriale a ogni confronto o comizio politico.
Se avete provato a guardare i suoi confronti pubblici in TV, avrete sicuramente notato il numero delle volte in cui i giornalisti moderatori del dibattito siano stati costretti a smentire quello che affermava Trump perché palesemente falso. Eppure, alla vigilia delle elezioni, Trump è probabilmente il candidato che le vincerà.
Qualcuno sostiene che è così perché Trump è il candidato più disinibito, ovvero quello che più facilmente prende posizioni, si sbilancia, dice (anche troppo) quello che pensa. È, in altre parole, l’opposto di quello che ci ha insegnato la Democrazia Cristiana in Italia e che ancora continua a essere al centro della comunicazione degli schieramenti di sinistra e di centro.
Se volessimo estendere questa considerazione a tutto il mondo, dove vediamo crescere in maniera preoccupante forze politiche di estrema destra, potremmo dire che le destre recuperano consensi perché prendono posizione e parlano chiaro. Nulla importa che dicano cose realistiche o meno, che parlino di dati veri o falsi, che citino casi reali o inventati. Di base c’è la polarizzazione e quindi la trasformazione dell’elettorato in tifoseria, che ti sosterrà anche se parli di cose palesemente false. Da quel punto in poi, la politica diventa quasi una fede religiosa, l’appartenza a una fazione si scolla completamente dalla realtà dei fatti.
Mi chiedo allora perché nessuna forza politica opposta, di sinistra o di centro, abbia il coraggio di fare lo stesso, di prendere posizioni, anche forti. Perché nessuna opposizione reagisca energicamente prendendo posizioni altrettanto nette su temi polarizzanti e anche facilmente cavalcabili come immigrazione, lavoro, diritti e minoranze.
Qualche settimana fa è stato ospite del podcast Tintoria, Giorgio Montanini, comico e attore noto per le sue opinioni corrosive. Al termine di una puntata in cui ha alzato parecchio i toni e ha sparato a zero praticamente su tutto, ha concluso con un discorso che ha lasciato il pubblico basito, declamando:«Essere comunisti oggi è l’unica cosa che conta, è l’unica possibilità che c’abbiamo, essere anticapitalisti. Noi dobbiamo lottare contro il capitalismo e essere lontani visceralmente da questo sistema che ci uccide e ci succhia la vita. La fluidità è una cazzata, lottate per la pensione, lo stato sociale, l’occupazione, per la legge sull’articolo 18, per la scuola pubblica, non per le cazzate» (si riferiva alla polemica nata poco prima con i conduttori sull’uso di parole che non starò qui a ripetere).
Pur non condividendo nemmeno una parola di questo discorso con Montanini, mi chiedo come mai non senta mai pronunciare queste parole dai leader politici, pur essendo sicuro al 100% che una buona parte della sinistra meno moderata la pensi esattamente così. La pensano così, ma non hanno il coraggio di dirlo perché vittime ancora di quel modo di intendere la politica vecchio di cinquant’anni.
E così, mentre dall’altra parte non hanno il benché minimo scrupolo di usare falsità e paradossi pur di polarizzare l’opinione pubblica, da quest’altro lato ci si maschera, ci si nasconde dietro un velo di moderazione che poi, nei fatti, porta a un solo risultato, ovvero quella metà di elettorato che schifata da una parte e disgustata dall’altra, rimane a casa e non va a votare.
Parlare chiaro non è più di moda, ma trincerandosi dietro un atteggiamento di terzietà ridicola e falsa, si otterrà soltanto un risultato, ovvero che la gente, i cittadini, piuttosto che votarti preferiscono rinunciare a uno dei loro diritti fondamentali e questo, forse, è il più grande fallimento di una classe politica ormai alla frutta.
Franco A.
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[Fonte: Dmove.it]
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Calcolato sulla trimestrale pubblicata da Alphabet sull’ultimo trimestre 2023, che ha dichiarato 86 miliardi di ricavi, di cui 65,6 provenienti dal network pubblicitario .
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Giorgio Montanini a me ha fatto tristezza, due pensieri sensati in mezzo a un mare di emme. Poi ecco il populismo di sinistra esiste e si chiama cinquestelle, e infatti travaglio e conte a Trump lo portano su un vassoio
Quanti argomenti di cui ci sarebbe da parlare per ore.