Cos’è l’ipernormalizzazione e perché ha trasformato il mondo occidentale in Matrix
Il concetto di ipernormalizzazione descrive la lenta e profonda assuefazione della società ai fatti più gravi, impedendoci piano piano di vedere quello che accade intorno a noi, come nel film Matrix.
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» PENSIERI FRANCHI: Scrivete solo “Franco”
Per un attimo, essendomi candidato alle elezioni amministrative del piccolo comune dove vivo, ho avuto la tentazione di depositare il mio nome con la formula “Franco Aquini detto Franco”. Ciò mi avrebbe dato la possibilità di togliermi una grande soddisfazione: andare al seggio elettorale e scrivere sulla scheda semplicemente “Franco”, emulando quindi le gesta di milioni di italiani che tra un mese circa faranno lo stesso nel segreto della cabina elettorale. Loro però scriveranno un altro nome, “Giorgia”.
La Presidente del Consiglio si presenta infatti come candidata a un seggio del Parlamento europeo. Ma come fa un capo di governo a candidarsi anche al Parlamento Europeo? Può ricoprire entrambi i ruoli? No, infatti la leader di Fratelli d’Italia dovrà rinunciare al seggio, in caso di elezione, visto che il ruolo di parlamentare europeo non è compatibile con quello di Presidente del Consiglio.
Dunque, perché candidarsi per un ruolo che non potrà ricoprire, tra l’altro presentandosi in tutte le circoscrizioni? C’è sicuramente di mezzo un fatto molto noto come “personalizzazione delle politica”, un prurito che ha ovviamente infestato tutte le fazioni politiche, tanto che si è parlato di usare il nome della segretaria del Partito Democratico sul simbolo con il quale il partito di centrosinistra si candida alle stesse elezioni. Spostare l’attenzione dal partito e dal programma verso un singolo candidato, che viene ritenuto “forte” e dunque capace di attirare voti, è una pratica ormai nota e trasversale a tutti gli schieramenti.
C’è però un fatto che bisogna accettare, carte alle mano: la candidatura del personaggio forte, del capo carismatico, è un palese inganno dell’elettore, da qualsiasi schieramento questo provenga. «Voglio chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo in Italia e del lavoro che stiamo facendo in Europa», con questa formula la Presidente del Consiglio cerca di sfruttare il suo attuale consenso elettorale, il più alto tra i partiti italiani, spostandolo sulle elezioni europee, cercando quindi di capitalizzare e sfruttare al massimo il suo momento di eccezionale popolarità.
Ciò che non viene detto però, ma che tutti sanno, è che lei quella promessa non potrà mai soddisfarla, perché di fatto chi la voterà, non la vedrà poi assumere quel ruolo. Dunque è un inganno, che però accettiamo consapevolemente, perché in fondo ci piace affidarci a una persona, a quella che di volta in volta ci ha convinti di più. D’altronde funziona da sempre così anche alle elezioni amministrative. Quando è stato il PD a essere “il partito forte”, diversi comuni e regioni hanno avuto amministratori di centrosinistra, quando è stato il turno della Lega è accaduto lo stesso e ora è il turno di Fratelli d’Italia. Questo perché votiamo un po’ ciecamente, senza valutare i candidati e i loro programmi, preferendo riporre tutta la fiducia nella persona che abbiamo investito del ruolo di leader pro tempore e allo stesso leader affidiamo tutto, dal governo centrale all’amministrazione locale, per finire con l’Europa.
L’immenso inganno di chiedere però il voto per un ruolo che non verrà mai ricoperto non è un sotterfugio, non è una strategia studiata nel segreto delle stanze del potere, è bensì un fatto chiaro e palese per tutti. La premier ci chiede il voto per qualcosa che non farà mai, di chiede di darle la preferenza per fare qualcosa che sappiamo già in anticipo che non farà mai. È un po’ come se ci avesse detto “voi scrivete il mio nome, tanto io lì non ci andrò mai”. Ci chiede il voto in cambio di qualcosa di sappiamo già non farà mai.
E io plaudo a questo atteggiamento, perché mai una menzogna fu tanto esplicita, chiara, palese e trasparente. Ce l’ha detto chiaramente e noi, nonostante tutto, la voteremo felici di farlo. Non useremo il nostro (prezioso) voto per dare un mandato a un candidato che dovrà rappresentarci in Europa e quindi ottenere per nostro conto quello che vogliamo dall’Europa che tanto critichiamo. No, al contrario lo metteremo interamente nelle mani di una persona che poi ci potrà fare quello che vuole, mandando a ricoprire quel ruolo una persona che lei sceglierà. Anzi, peggio, che il suo partito sceglierà.
In questo modo stiamo, di fatto, rinunciando al nostro diritto di esprimere la nostra preferenza, il nostro voto. Si, stiamo decidendo di rinunciare al diritto di voto, mettendolo nelle mani di una persona che può avere (legittimamente) altri interessi, diversi dai nostri.
Ma a noi sta bene così, faremo lo stesso a tutti i livelli. Non sceglieremo l’amministratore migliore per le regioni o per le città dove viviamo. Sceglieremo un illustre sconosciuto, purché appartenente al partito per cui tifiamo, di fatto abdicando a un diritto fondamentale che è alla base della nostra libertà.
Allora, per tanto così, andate a votare alle Europee e scrivete sulla scheda semplicemente “Franco”, perché pure io sono e sarò sempre uno di voi. E soprattutto, pure io a ricoprire quel ruolo non ci andrò mai.
Buona lettura.
Franco A.
» L’IPERNORMALIZZAZIONE HA TRASFORMATO LA REALTÁ IN MATRIX
Ci sono orientamenti collettivi che riguardano tutto il mondo e che possono sfuggire alla comprensione dei singoli individui. Perché la maggior parte dei paesi del mondo, a un certo punto, ha deciso di muoversi in una certa direzione? Perché in tutto il mondo occidentale viene combattuta una battaglia senza scrupoli verso il sud del mondo e le migrazioni? Come fanno a diventare virali alcune follie collettive come quelle che vedono un legame tra 5G e vaccini? Com’è che stiamo osservando di nuovo, senza nemmeno troppo stupirci, la possibile (per alcuni probabile) elezione di Donald Trump a capo della più grande potenza economica e militare del pianeta?
Più volte abbiamo analizzato da vicino il fenomeno dell’uso di internet e dei social network in maniera strumentale, per orientare le masse e radicare un’idea, una narrazione distorta dei fatti. Eppure i destinatari di questi messaggi non sono sempre persone facilmente influenzabili. Non si tratta di sempliciotti, di persone scarsamente informate o istruite, tutt’altro. Spesso si tratta anzi di persone informate e anche ben istruite. Persone però che accettano una versione dei fatti che è chiaramente insostenibile.
Sono molteplici i fattori che possono contribuire alla formazione e alla radicalizzazione di una certa idea nella testa di gruppi di persone. Non ultima la teoria delle stanze dell’eco, o echo chambers, secondo cui, chi ha già una certa idea, tende a rimanere all’interno di contesti in cui sa di poter rafforzare le propria idea e di non essere contraddetto. Le echo chambers servono a ricevere conferma e sostegno alle proprie idee, a contornarsi di persone che la pensano al nostro stesso modo e che quindi non ci contraddiranno mai.
Se sei convinto di qualcosa, in altre parole, tenderai a cercare conferme attraverso la stampa orientata nel tuo stesso modo, o a frequentare gruppi social in cui sai che riceverai appoggio alle tue convinzioni. Questo è sicuramente uno dei meccanismi più semplici e noti per la diffusione di teorie che diventano poi virali. Alla base, però, ci deve essere stato il fatto di essersi convinti di qualcosa di assurdo.
“Ma chi sei tu per stabilire che alcune teorie sono assurde?”
Si, lo so, sto passando per uno di quei saccenti e saputelli che vediamo in TV o leggiamo sui social, perché sto dando per scontato che alcune teorie, idee o preferenze politiche siano sbagliare o non sostenibili. Chi l’ha detto? Chi sono io per dirlo?
Riprendo un post di Alessandro Milan, giornalista di Radio 24, che ha pubblicato qualche giorno fa su Facebook una foto della rubrica Buongiorno di Mattia Feltri su La Stampa. Il titolo è “Diritto di voto” e arriva a conclusioni che personalmente non condivido. O forse si, ma non è questo il punto.
Nel pezzo, Feltri cita un sondaggio di SWG secondo il quale il 15% degli italiani (maggiori di 18 anni) crede che la teoria della terra piatta sia plausibile o probabilmente vera. Il 15% degli italiani corrisponde a circa 7 milioni di italiani con diritto di voto, tenetelo a mente. Il 18% invece è convinto (o non esclude) che i rettiliani siano tra noi e che dominino il mondo, o non lo escludono. Il 25% invece è convinto (o non esclude) che i vaccini siano un sistema di controllo di massa tramite il 5G, e siamo quindi a 11,5 milioni di aventi diritto al voto. Il 29% invece è convinto che l’uomo non sia mai stato sulla Luna, mentre il 32% (14,7 milioni di italiani con diritto di voto) è convinto che le Torri Gemelle siano state abbattute dagli stessi americani. Per finire con il 42% di italiani (quasi 20 milioni) che è persuaso che il covid e altri virus siano stati prodotti in laboratorio per favorire le case farmaceutiche.
Cosa c’è di sbagliato in tutto questo? Non mi voglio soffermare tanto sulle singole affermazioni (che per me vanno lette come follie collettive), ma presumiamo di voler spiegare a un bambino di 5 anni perché non è proprio possibile che le Torri Gemelle siano state abbattute dagli stessi americani.
Il problema più grosso di questa teoria, che pure ha sostenitori illustri, sta nel fatto che se pensi davvero che un grande paese - una delle più grandi democrazie al mondo, con più di 330 milioni di abitanti e relativi e continui contrasti interni, gruppi di influenza che ogni giorno lottano per la ottenere più potere e contrasti politici anche all’interno delle stesse fazioni - ecco, se pensi che un intero paese possa accordarsi affinché il mondo intero creda a una cosa così enorme come l’abbattimento di due simboli del paese stesso da parte dei terroristi, organizzando la più grande messa in scena della storia, lasciando la ferita più profonda che l’America abbia mai subito senza che nessuno si sia opposto, beh, se sei capace davvero di credere a una cosa del genere, evidentemente hai un serio problema di capacità di lettura della realtà.
Perché ok, lo sappiamo che c’è un sacco di gente anche in America che crede a questa versione, non starò qui a citare il famoso docufilm di Moore sull’11 settembre e la teoria che l’abbattimento delle Torri abbia rappresentato il casus belli pianificato a tavolino per poi poter iniziare una guerra che segretamente nascondeva l’interesse di costruire un gasdotto.
Provate a immaginare per un attimo la situazione: da chi può essere stata architettata una cosa del genere? Dalla Casa Bianca? Dalla Difesa americana? Dalla CIA? Qual è quell’organo di governo che, in una democrazia come quella statunitense, può avere un tale potere per decidere una cosa così enorme, che coinvolge trasversalmente ogni organo di potere del paese, senza che nessuno, a nessun livello e di nessun altro organismo di governo, si opponesse?
Certo, nessuno vuole negare che anche le grandi democrazie spesso si macchino di torti indicibili e che conservino ancora oggi segreti di stato. Nessuno nega che l’America stessa si sia resa protagonista di mille scandali accertati, soprattutto negli ultimi anni. E sapere perché possiamo dire una cosa del genere? Perché l’abbiamo saputo. Grazie ai giornalisti o anche all’iniziativa di singole persone, come Edward Snowden. E ci saranno ancora dozzine di questioni enormi, di segreti di stato, che non sono ancora usciti allo scoperto, certo, ma nessuna di quelle che invece sono state scoperte ha mai avuto le dimensioni di un attentato di un paese contro il suo stesso cuore e contro il proprio orgoglio. Quando fai qualcosa che coinvolge un gran numero di persone, un’intera nazione addirittura, nessun segreto potrà mai essere eterno.
Il Covid, il laboratorio di Wuhan e l’inganno della scienza ufficiale
Naturalmente lo stesso vale anche per le teorie che vengono appoggiate dalla scienza ufficiale. Quelle che all’apparenza sono meno folli, che appaiono meno insensate. Il senso critico, di cui parlavo nell’Insalata di qualche settimana fa, deve essere applicato a tutto quello che leggiamo o vediamo, non bisogna mai fidarsi ciecamente di quello che ci viene detto, anche se a farlo è un organismo ufficiale o una rivista scientifica super autorevole come Nature.
Scrive Francesco Costa nel suo ultimo libro “Frontiera” che per molto tempo la teoria del virus COVID-19 sfuggito da un laboratorio che lavorava proprio sui coronavirus nella zona dove si pensa sia avvenuta la prima diffusione, è stata fortemente contrastata e negata da tutta la comunità scientifica. In particolare è stato impugnato lo studio pubblicato dalla rivista “Nature Medicine” intitolato “The Proximal Origin of SARS-CoV-2”, scritto da 5 importanti scienziati. Questo studio, insieme alla lettera pubblicata su “The Lancet” a firma di altri 27 importanti scienziati internazionali, metteva la pietra tombale sulla teoria della diffusione del virus per un errore del laboratorio in questione.
In tutto ciò, come in una totale e globale sospensione del senso critico, nessuno (o quantomeno nessuno che avesse voce per denunciare il fatto) si accorse che lo studio era datato 17 marzo 2020. Non faticherete a ricordare che marzo 2020 è stato il mese in cui tutto è iniziato, l’inizio della pandemia, il mese in cui tutto il mondo ha preso coscienza che si stava diffondendo un virus nuovo, sconosciuto e pericolosissimo. Sconosciuto, appunto, eppure un gruppo di scienziati affermava di saperne già abbastanza da decidere da dove sicuramente non si era diffuso il virus.
Probabilmente si è trattato di un caso di scuola in cui la scienza ha cercato di difendersi dalle teorie complottiste di una certa parte di opinione pubblica - sulle cui fiamme soffiava indovinate chi? Proprio Donald Trump, sempre lui - che farneticava su un enorme complotto mondiale, sul finanziamento di un laboratorio cinese dove c’era di mezzo anche l’onnipresente Bill Gates, e in cui sarebbe stato creato un virus che avrebbe permesso di inoculare a miliardi di abitanti della terra vaccini a base di chip con i quali sarebbe stati controllati da remoto e con i quali le case farmaceutiche sarebbero diventate miliardarie.
Quest’ultimo è un fatto certamente vero. Anzi, le case farmaceutiche già lo erano, miliardarie, anche grazie al fatto che in America c’è un sistema malato che non fa che alimentare una rincorsa pazza dei costi per i farmaci essenziali (vedi il caso dell’insulina, di cui scrissi mesi fa), non serviva certo creare una pandemia che ha ucciso milioni di persone (uccide dal virus, non dai vaccini).
Fatto sta che pure questa storia, alla fine è uscita fuori. Sapete come? Grazie a una commissione d’inchiesta parlamentare statunitense che ha avuto accesso alle conversazioni che gli scienziati firmatari dello studio “The Proximal Origin of SARS-CoV-2” si sono scambiati nelle settimane precedenti la pubblicazione. Questo a dimostrazione del fatto che le democrazie - quelle vere, solide e rodate - hanno gli anticorpi contro qualsiasi tentativo di falsificazione, mistificazione o insabbiamento. Magari ci si arriva dopo mesi, magari dopo anni, ma alla fine ci si arriva e se è vero che in Italia sono ancora molti i segreti di stato senza una verità ufficiale, è anche vero che sono quasi tutti fatti relativi ad anni in cui si poteva vivere il lusso di compiere azioni senza lasciare tracce. Quel mondo lì, per fortuna o per sfortuna, non esiste più.
Viviamo tutti in una Matrix a cui ci siamo assuefatti per via della Hypernormalisation?
Ecco, se è vero che la verità alla fine salta fuori, in un modo o nell’altro, com’è possibile che le teorie complottiste siano sempre di più, sempre più assurde e che al tempo stesso catturino l’attenzione di così tante persone?
C’è una teoria che mi ha attirato, ovvero quella della Ipernormalizzazione di cui parla Adam Curtis nel suo documentario HyperNormalisation del 2016. Curtis cita il termine ipernormalizzazione, che è stata in realtà coniata da Alexei Yurchak, un professore di antropologia che è nato a Leningrado e in seguito è andato a insegnare all'Università della California a Berkeley. Il professor Yurchak sostiene, parlando del paradosso della situazione nell’Unione Sovietica tra gli anni ’70 e gli ’80, che «tutti in Unione Sovietica sapevano che il sistema stava fallendo, ma nessuno poteva immaginare un'alternativa allo status quo, e i politici e i cittadini erano rassegnati a mantenere la pretesa di una società funzionante. Nel corso del tempo, questa illusione è diventata una profezia che si autoavvera e la falsità è stata accettata da tutti come reale», un effetto che Yurchak ha definito ipernormalizzazione. (Da Wikipedia).
Curtis fa suo questo concetto e lo amplia nel suo documentario, sostenendo che i governi, la finanza e gli utopisti tecnologici, a partire dagli anni '70, hanno rinunciato a cercare di modellare il complesso "mondo reale" e invece hanno creato un "mondo falso" semplificato a beneficio delle aziende e mantenuto stabile dai governi neoliberali di tutto il mondo.
Il mondo, secondo Curtis, assomiglierebbe moltissimo a quello descritto dalla trilogia di film Matrix, in cui la popolazione mondiale vede una realtà artefatta e costruita a tavolino dalla politica e dalla finanza, affinché venga tutelata una certa stabilità che fa gioco alle aziende e agli stessi poteri forti.
L’ipernormalizzazione sarebbe anche alla base della nostra capacità di guardare ogni giorno immagini terribili, che provengono dai tanti angoli di mondo dove persistono guerre atroci, senza che il fatto ci colpisca più di tanto. Il documentario è infatti pieno di scene tratte da telegiornali e trasmissioni giornalistiche in cui l’inviato di turno parla con un mucchio di cadaveri sullo sfondo, oppure immagini in cui vengono ripresi luoghi oggetto di un massacro, con il sangue ancora fresco su pareti e pavimenti, senza che questo in fondo di tocchi più di tanto.
L’ipernormalizzazione è, di fatto, quello stato di trance e semi incoscienza in cui saremmo stati ridotti da un insieme di fattori, non ultimo il nostro quotidiano bisogno di preoccuparci di altro - la casa, la famiglia e il lavoro - che non ci permette di focalizzarci su quello che di terribile invece succede attorno a noi. Vediamo le immagini di centinaia di persone, persino donne e bambini, che muoiono nel mare mentre pranziamo in famiglia o nella mensa aziendale. Poi prendiamo il nostro piatto, lo posiamo nel lavandino e torniamo a lavorare, come se non avessimo appena visto le immagini di una tragedia immensa.
L’ipernormalizzazione è un po’ una desensibilizzazione collettiva, a cui hanno contribuito, secondo chi ha dato origine a questa teoria, politica, finanza e media. Sarà l’ennesima tesi complottista che ci vede vittime e schiavi dei “poteri forti” oppure l’occidente si è davvero trasformato in una moderna Matrix, in cui siamo tutti anestetizzati dai bisogni quotidiani e siamo ormai diventati incapaci di vedere quello che realmente ci accade intorno, in un mondo dove si perde la vita in un modo atroce nel tentativo di scappare da una guerra o dalla fame?
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.