L’incubo di disdire un contratto, tra raccomandate, fax e dark patterns
Ancora oggi, nonostante normative europee e leggi italiane, disdire un banale contratto telefonico può essere un incubo. Molte aziende infatti utilizzano ancora i cosiddetti Dark Patterns.
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» PENSIERI FRANCHI: L’Ucraina e la trasformazione digitale sotto le bombe
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Quando stamattina, come tutte le mattine, ho aperto il quotidiano, ho letto un titolo e ho pensato subito si trattasse di un titolo clickbait1, pure se c’è poco da cliccare su un quotidiano cartaceo. Il titolo recitava infatti “Un’app che aiuta i soldati. La difesa ucraina lancia Army+”.
Pensare che un paese in guerra trovi il tempo di innovare e digitalizzare quella che di fatto è la sua pubblica amministrazione, semplificando e rendendo più efficienti le procedure burocratiche, fa un certo effetto. Questo soprattutto se si vive in un paese che ha fatto dell’iper burocratizzazione e della complicazione di qualsiasi procedura la propria bandiera.
Leggendo l’articolo a firma di Vincenzo Leone su Domani, scopro che con la semplice trasformazione in digitale di alcuni moduli, che ora possono essere firmati digitalmente direttamente sull’app, l’esercito ha risparmiato a militari e comandanti di doversi spostare da una parte all’altra del paese (che è il secondo in Europa per estensione) per fare rapporto o per firmare pratiche e documenti. Gli spostamenti, oltretutto, rappresentano un’occasione per essere intercettati dai droni e diventare così facile bersaglio dell’esercito invasore.
Dice la viceministra della Difesa ucraina Kateryna Chernohorenko che «in appena 2 mesi, 310.000 militari si sono registrati su Army+ e più di 1000 unità militari hanno organizzato il loro lavoro con i report elettronici tramite l’app». L’app Army+ però non è l’unica app che l’amministrazione ucraina ha pubblicato. C’è per esempio anche Diia, che permette ai cittadini di usarla per i propri documenti di identificazione, pagare le tasse, multe, reimmatricolare auto e molto altro.
“Lo stato in uno smartphone”, questo il claim del sistema di app digitali dell’Ucraina che, lo ricordiamo per i più distratti, è un paese in guerra dal 2022 (o meglio dal 2014). E se non bastasse Army+ e Diia, c’è anche Mriya per la scuola e Reserve+, che è un’app dedicata ai riservisti.
Ora, non starò qui a fare confronti impietosi con lo stato della digitalizzazione del nostro amato e morente paese, anche perché qualsiasi paragone tra un paese in guerra e un’altro che è membro fondatore della Comunità Europea e parte del G8, in cui viene richiesta ancora la raccomandata A.R. o il fax per disdire un contratto, sarebbe superfluo.
Più che un Pensiero Franco, dunque, una riflessione amara, l’ennesima. Oggi festeggiamo il crollo dell’evasione IVA che è frutto dell’implementazione della fatturazione elettronica, di cui l’Italia è stata inaspettatamente pioniera. Stupiva allora e stupisce tutt’oggi che sia stato possibile implementare qualcosa di così pervasivo e complesso. Eppure i disagi sono stati minimi e oggi ne raccogliamo i frutti.
Sapete cosa diceva però la politica dell’epoca? L’attuale presidente del consiglio scriveva su Facebook che la fatturazione elettronica, lo strumento che ha permesso al suo Governo di vantare un grande successo nella riscossione dell’IVA, “punisce le piccole e medie imprese, inasprisce il “Grande Fratello Fiscale” e aumenta il nero”. Questo è il modo di leggere l’innovazione e la produttività in Italia, con un occhio al passato e uno alla vecchia e cara carta bollata. Tutto ciò mentre chi è in guerra semplifica, digitalizza e rende tutto più veloce e snello.
Buona lettura.
Franco A.
» DISDIRE UN CONTRATTO, FACILE COME FARE l’IRON MAN BENDATI
Questa settimana sono caduto vittima di un esempio tipico di “dark pattern”, ovvero di un percorso studiato a tavolino per rendere più difficile la vita all’utente o al consumatore che intende disdire un servizio in abbonamento o un contratto.
Sul significato preciso di Dark Patterns ci torneremo più avanti, perché prima di tutto devo raccontarvi il fatto, un caso piuttosto tipico di disdetta di un abbonamento della linea telefonica con annessa connettività internet.
Se mi conoscete un minimo, saprete che sono stato impelagato per due anni in un cambio di casa e ovviamente, come sempre capita, il cambio ha previsto la disdetta o il trasferimento delle utenze. Tra queste c’era anche la linea telefonica/internet di TIM.
Devo anche dire che il mio caso è uno dei più fortunati, perché non ho dovuto trasferire il numero della linea fissa nella nuova casa. Il numero infatti mi era stato “imposto” nel contratto, ma non l’ho mai utilizzato. Allo stesso modo, la connessione era una connessione secondaria (lavoro con internet, per cui era più una connessione di backup). Pertanto mi sono mosso con molto anticipo, non ho dovuto aspettare di lasciare effettivamente la casa.
La farò breve: ad agosto cerco online dove mandare la disdetta, evitando ovviamente raccomandate e FAX (ebbene si, viene ancora citato sulla documentazione ufficiale TIM) e scelgo la PEC, che ha valore legale e in teoria non dovrebbe poter essere ignorata dall’operatore. Trovo così un indirizzo piuttosto esplicito: disattivazioni_clientiprivati@pec.telecomitalia.it. Vi sembra che si possa trattare di un indirizzo fraintendibile? Io dico di no, anzi mi sembra la casella più adatta del mondo per disdire una linea di un privato.
La PEC ignorata, le fatture nascoste, l’assistenza che non funziona. Cronache di un ordinario incubo
Era il 26 agosto quando mandai la PEC, ma a fine settembre ancora nessuna risposta. Così chiamo il servizio clienti che mi dice che devo aspettare e che sicuramente entro pochi giorni riceverò una comunicazione. Passano i giorni e della comunicazione nessuna notizia. Leggo quindi che la disdetta richiede 30 giorni (perché?), ipotizzo siano da considerare come lavorativi e quindi decido di aspettare fino a metà ottobre.
Arriviamo quindi alla scorsa settimana, dove richiamo e trovo un operatore - devo ammetterlo - molto gentile. Faccio presente il ritardo nella presa in carico della mia richiesta e mi chiede a quale indirizzo avessi mandato la PEC. Quando glielo leggo, mi risponde «ah ma no, quello è l’indirizzo per disdire TIM Vision», che è il servizio di video on demand di TIM. Ora, con tutta la buona volontà del mondo, voi dall’indirizzo trovate riferimenti a TIM Vision? Io no.
Pazienza, l’operatore mi compila la pratica al telefono, anche se io non ricevo nulla a conferma di questa richiesta. Per cui, per quanto mi riguarda, potrei trovarmi tra un mese a scoprire che il numero che ho chiamato serviva per disdire il servizio di sveglia telefonica e non una linea telefonica, che ne so.
Poi mi faccio due conti e realizzo che comunque questa cosa, il fatto che TIM abbia deciso bellamente di ignorare la mia PEC, ha comportato il pagamento di due fatture da 30,70€ e che no, non ho voglia di regalare questi 61,40€ a TIM.
Tra l’altro mi ricordo che il contratto, quanto l’ho sottoscritto, era di 22,90€ e non di 30,70€. Come ci è arrivato? Decido quindi di andare a scaricare tutte le fatture e di farle leggere a qualcuno che mi possa aiutare a capire. Vado sul sito nella sezione MyTIM e scopro che si possono scaricare solo le fatture dell’ultimo anno, pur avendo io accettato dall’inizio di ricevere le fatture soltanto in formato elettronico.
Benissimo, riprendo la mail della prima fattura datata giugno 2022, clicco sul bottone “vai alla fattura” e vengo rimandato alla pagina dove si possono scaricare soltanto quelle dell’ultimo anno. Allora decido di chiedere aiuto in chat, apro la chat che è ovviamente basata su un assistente virtuale (Angie), che però mi dice che “Ops” c’è un errore e che non è possibile ricevere assistenza.
Allora cerco nella stessa area MyTIM la procedura per la disdetta e finalmente la trovo. C’è un elenco di moduli da compilare (a mano) e inviare via raccomandata o fax. Non c’è traccia di PEC su questa pagina. Poco male, provo a scaricare comunque il modulo per vedere se all’interno c’è l’indirizzo PEC corretto. Nella sezione “Documentazione e modulistica” vado sotto la voce “fisso” e apro la tendina dei moduli. Ne trovo la bellezza di 26.
Ventisei moduli per disdire una linea fissa, mi fanno venire il sospetto che TIM sia ancora l’emanazione più pura e diretta di Mamma Telecom, anzi di Mamma SIP2 e di quel burocratismo genuinamente made in Italy su cui spesso ci troviamo a ironizzare.
Tra un “Modulo disdetta servizio di autodisabilitazione con chiave numerica”, un “Modulo richiesta subentro” e un “Modulo richiesta subentro familiare” (chissà perché non poteva essere un modulo solo con una crocetta su “familiare”?), trovo anche il “Modulo recesso linea telefonica” che però, ahimè, contempla soltanto la raccomandata A.R.
Non vi sembra la definizione perfetta di Dark Patterns questa?
Cos’è un Dark Patterns?
Stando alla definizione pura e semplice che ChatGPT fornisce, i Dark Patterns sono “tecniche di design utilizzate in siti web o app per manipolare o influenzare le decisioni degli utenti, spesso a loro svantaggio e a vantaggio dell'azienda. Questi schemi sfruttano la psicologia e l'ergonomia dell’interfaccia per "guidare" l'utente verso scelte che non farebbe consapevolmente o che potrebbero non essere nel suo interesse. Ad esempio, i dark patterns possono rendere difficili le cancellazioni degli abbonamenti, indurre a selezionare opzioni di pagamento più costose o spingere l'utente a condividere i propri dati personali”.
Capite quindi qual è il problema? L’operatore, anche quando contrattualmente ha deciso di non vincolare l’utente con obblighi biennali o con disdette che vanno comunicate mesi prima, rende comunque molto complicata la scelta di disdire un contratto attraverso queste tecniche di design che rendono difficile, quando non impossibile, farlo.
Tutto questo nonostante esista una normativa europea che obbliga le aziende a rendere facile e chiara la procedura di disdetta dei contratti di fornitura o abbonamenti. La Direttiva UE 2019/770, recepita in Italia con il DL n. 173 del 4 novembre 2021, stabilisce che i consumatori devono poter disdire in modo semplice e univoco, soprattutto se la sottoscrizione del contratto è avvenuta online (come nel mio caso). Ad esempio, se ci si iscrive a un servizio attraverso un sito web, deve essere altrettanto semplice annullare l'abbonamento tramite lo stesso sito, senza procedure complesse o ostacoli ingiustificati.
Disdire, che incubo
Non è la prima volta che mi scontro con un dark pattern. Anzi, diciamo che fino all’arrivo dei servizi statunitensi più famosi - da Amazon a Netflix, per capirci - l’uso di queste tecniche di incatenamento del cliente erano la regola.
Ricordo per esempio la disdetta dell’abbonamento al Corriere della Sera, che ho sottoscritto online con la pressione di un tasto e che invece ha richiesto una telefonata e una certa insistenza per poter essere disdetto. Non parliamo poi dei contratti annuali con obbligo di disdetta almeno x giorni prima, spesso anche 90 giorni prima, un tempo intollerabile su un contratto annuale. Praticamente dovresti pensare alla disdetta già nel momento in cui sottoscrivi il contratto.
Disdire i contratti in italia è così complicato che sono nati dei servizi che fanno solo questo: ti aiutano a disdire i contratti e gli abbonamenti. Altroconsumo ne ha persino valutati 5 che si occupano di disdire al posto tuo un contratto.
Secondo Altroconsumo, questi servizi sarebbero sconsigliabili perché la disdetta dovrebbe essere qualcosa di semplice, tanto che c’è anche una legge che dovrebbe tutelare questa semplicità (quella di cui sopra). E invece no: a conti fatti, nel mio caso, mi sarebbe convenuto pagare 14€ a uno di questi servizi piuttosto che aspettare due mesi aggiuntivi per la chiusura del contratto che mi è costata 61€. Tanto più che questi servizi offrono anche la garanzia nel caso in cui non ci riescano.
Certo, non è morale pagare per un servizio privato che mette una toppa alla furberia di un’azienda che sta probabilmente violando una legge, ma per chi non ha voglia di perdere tempo tra telefono, raccomandate e associazioni di consumatori (anche il tempo costa), forse non è una scelta sbagliata.
Legare il cliente non serve a niente
Al termine di tutta questa vicenda, che formalmente non si è ancora conclusa, mi sono chiesto a che pro queste aziende mettano in atto queste procedure. Certo, è banale constatare come 60€ moltiplicato per milioni di utenti fa una cifra tutt’altro che trascurabile, ma che impatto ha sulla reputazione del servizio e dell’azienda?
Dicevo prima che fino a quando non sono arrivate in massa le aziende americane e rivendere i propri servizi, non era possibile in quasi nessun caso disdire con facilità da un momento all’altro un qualsiasi contratto. Sky, tanto per fare un esempio, richiedeva (e probabilmente richiede ancora) l’impegno annuale con disdetta un certo numero di giorni prima se si vuole chiudere il contratto senza costi.
Quando arrivò Netflix, che permetteva la chiusura dell’abbonamento con un la pressione di un tasto direttamente dal sito o dall’app, un certo numero di aziende si è dovuto adeguare e infatti Now, il servizio di video on demand di Sky, funziona proprio così.
La tranquillità di poter disdire quando vuoi innesca un effetto piuttosto banale, a cui il marketing delle aziende italiane evidentemente proprio non riesce ad arrivare: si fanno più contratti. Si, perché l’utente è più propenso a provare un servizio se sa di poterlo disdire senza pensieri. Lo stesso dicasi per la linea internet che ho sottoscritto nella casa dove mi sono trasferito: Virgin Fibra. Ho fatto tutto online ad agosto, quattro giorni dopo avevo la fibra installata e attivata e dall’area riservata del sito posso disdirla quando voglio, senza preavviso e senza costi da dover sostenere.
Tutto questo ha creato nella mia testa di consumatore semplice l’idea che Virgin Fibra sia un’azienda attenta al consumatore. Anche se poi, nei fatti, il servizio non è molto differente da quello di altri operatori.
Questo però, purtroppo, non entra nella testa e soprattutto negli uffici preposti delle aziende italiane, a quanto pare. Forse perché la malattia peggiore degli italiani, quella di cui andiamo più fieri e che rappresenta il vero Made in Italy, è questo burocratismo che blocca tutto, che serve a rendere tutto più complicato perché se tutto è più complicato serviranno più uffici, più personale; apparati più farraginosi che gonfiano una macchina che è già così zavorrata da non riuscire più a muoversi.
Quando parliamo di produttività, che è il vero cancro che corrode dall’interno aziende e pubblica amministrazione, parliamo in fondo di questo: ventisei moduli per disdire un contratto di telefonia fissa, PEC sbagliate, chat che non funzionano. Tutto un sistema che è costato soldi e che poi ti costringe sempre a telefonare, a impegnare un operatore in carne e ossa quando potevi utilizzare una semplice procedura informatica. E siccome poi quell’operatore costa, allora lo cerchiamo in paesi dove costa meno, delocalizziamo i call center nell’Europa dell’est dove i lavoratori vengono pagati una miseria. Ma sapete cosa costa ancora meno? Un form online che compili e disdici senza la necessità di nessun operatore.
E così, se in Ucraina contano di vincere una guerra grazie alla digitalizzazione e ai servizi connessi (vedi i Pensieri Franchi), da noi un’altra guerra viene persa grazie alla burocrazia delle carte bollate. La guerra dell’efficienza, della produttività e del buon senso.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?3
» Putin avrebbe chiesto a Musk di bloccare Starlink a Taiwan
Il presidente russo Vladimir Putin avrebbe chiesto a Elon Musk di non attivare la rete Starlink a Taiwan, su richiesta del presidente cinese Xi Jinping. L’inchiesta del Wall Street Journal rivela che Musk avrebbe un canale diretto con Putin dal 2022. La notizia arriva mentre Musk sostiene pubblicamente Donald Trump, considerato vicino a Putin, nella campagna presidenziale statunitense. Starlink, inizialmente disponibile per l’Ucraina dopo l’invasione russa, è ora limitato per l’esercito ucraino.
[Fonte: DDAY.it]
» Netflix perde spettatori in Italia, mentre Prime Video e Disney+ crescono
In Italia, Netflix continua a perdere spettatori, con una diminuzione da 9 milioni a 8,2 milioni di utenti unici tra il primo semestre 2023 e lo stesso periodo del 2024, secondo l’Osservatorio sulle comunicazioni di AGCOM. Nel frattempo, Prime Video e Disney+ guadagnano utenti, rispettivamente saliti a 6,8 e 3,6 milioni. La riduzione di spettatori Netflix si riflette anche sulle ore di visione, passate da 185 a 173 milioni, mentre Prime Video e Disney+ registrano aumenti significativi. Le piattaforme hanno introdotto recenti aumenti dei prezzi e limitazioni sulla condivisione delle password.
[Fonte: DDAY.it]
» Cosa visitare a Roma? Ora te lo dice Julia, la guida turistica virtuale del Comune
A Roma debutta Julia, una guida turistica virtuale basata su intelligenza artificiale, progettata per aiutare i visitatori a scoprire monumenti, musei, ristoranti e trasporti in molte lingue. Sviluppata con il modello GPT-4o di OpenAI e alimentata dai dati di Microsoft Azure, Julia si propone come uno strumento utile per ottimizzare i flussi turistici, soprattutto in vista del Giubileo 2025. È un progetto innovativo che permette ai visitatori di vivere un’esperienza personalizzata e completa.
[Fonte: DDAY.it]
» Il CEO di Ford: “Guido una Xiaomi SU7, è un’auto fantastica e non voglio cambiarla”
Jim Farley, amministratore delegato di Ford, ha dichiarato in un’intervista di utilizzare una Xiaomi SU7 per i suoi spostamenti quotidiani, elogiando l’elettrica cinese come “fantastica”. Questa scelta evidenzia il crescente divario tra produttori automobilistici occidentali e cinesi, con Farley che paragona l’attuale scenario all’ingresso di Toyota e Honda negli Stati Uniti negli anni ’70. Anche il CEO di Rivian, RJ Scaringe, ha recentemente ammesso di apprezzare l’auto cinese, segnando ulteriormente la distanza tecnologica che le case automobilistiche occidentali devono colmare.
[Fonte: Dmove.it]
» Alle donne l’auto elettrica non piace per nulla. La ricerca americana
Uno studio della società di analisi Escalent rileva un significativo gap di genere nell’acquisto di auto elettriche: solo il 29% delle acquirenti di EV è costituito da donne. La mancanza di familiarità e un’esperienza di acquisto che non riesce a risolvere dubbi specifici allontanano il pubblico femminile da questa tipologia di veicolo. Secondo Escalent, le donne si affidano di più al passaparola e all’esperienza alla guida, mentre l’utenza maschile preferisce fonti online. Inoltre, molte acquirenti lamentano una preparazione insufficiente nei venditori, aggravata da opinioni personali negative verso l’elettrico.
[Fonte: Dmove.it]
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Si dice clickbait di un titolo costruito appositamente per far cliccare l’utente, utilizzando formule interrogative e allusive che potrebbero far pensare a una notizia particolarmente attraente o interessante che poi, nei fatti, non c’è.
Per i meno giovani, S.I.P. sta per Società Italiana per l'Esercizio delle Telecomunicazioni S.p.A. (prima del 1985 Sip - Società Italiana per l'esercizio telefonico) è stata la principale azienda di telecomunicazioni italiana (appartenente al gruppo IRI), attiva dal 1964, per poi essere trasformata in Telecom Italia S.p.A.
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Visto il numero dei commenti direi che con questa insalata hai parlato di qualcosa che tocca o comunque ha toccato tutti. E vedere che, nonostante tutto, le grosse aziende italiane rimangano azzeccate ai loro vecchi metodi, è sinonimo di classe dirigenziale vecchia. Non vedo l'ora che mi arrivi Open Fiber a casa tra due anni 🤞
Sono nella tua stessa situazione con TIM, per passaggio a Fastweb. Da luglio continuano a mandarmi bollette. 1 mese fa ho chiamato il 187 dicendo che non voglio più la loro linea, ma siamo ancora in alto mare. Devo richiamare sicuramente pwr sapere a che punto siamo