I videogiochi sono una cosa seria
Sono ancora molto diffusi gli stereotipi negativi legati al videogioco. Forse non abbiamo ancora capito quanto il videogioco sia una cosa seria.
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In sintesi:
Lo stereotipo che vuole il videogioco avere una stretta correlazione con le dipendenze, la violenza e addirittura la ludopatia, sembra non essere ancora morto;
Il videogioco è una cosa seria, lo dicono anche i numeri di un fenomeno in crescita. È una forma di intrattenimento, di svago, di formazione ma anche e soprattutto di cultura e contaminazione. I numeri del Censis;
Esiste un’informazione seria e matura sul videogioco? Si, anche in Italia.
Tra un paio di settimane dovrò votare a favore o contro il rinnovo di un progetto promosso dai comuni e dagli istituti scolastici tra i quali c’è il comune dove risiedo e la scuola che frequentano i miei figli (dovrò votare in quanto membro del Consiglio di Istituto). Questo progetto ha prodotto in passato alcuni video sul tema della ludopatia. Un tema serio, per carità, che però è stato interpretato quasi esclusivamente in chiave videogiochi su smartphone.
Questi video, caricati pubblicamente su YouTube, vedono la reiterazione di uno stesso plot: alcuni ragazzi “sani” escono per giocare all’aria aperta, mentre altri, rappresentati come zombie o con qualche forma grave di dipendenza, giocano con lo smartphone. Il tutto è inframezzato da titoli a effetto, caratteri bianchi su sfondo nero, che pongono dilemmi morali tipo “a chi dovrebbero davvero fare attenzione?” (sottinteso: il pericolo più grande non è per la strada, ma sullo smartphone).
Fa letteralmente accapponare la pelle il fatto che questi video siano stati realizzati da ragazzi coinvolti nel (cito testualmente) “progetto promosso dai Comuni e dagli Istituti comprensivi aderenti all'iniziativa di Avviso Pubblico - Enti locali e Regioni contro mafie e corruzione”. Insomma il videogioco viene legato a concetti come la ludopatia, la mafia e la corruzione.
Da questo fatto, cioè dal fatto che nel 2023 debba ancora esistere una forma di stereotipata paura per il videogioco, che porta ad associarlo addirittura a forme gravi di dipendenza e di criminalità organizzata (!!!), è nato il desiderio di analizzare lo stato del videogioco in Italia. Come viene percepito? Quante persone ci lavorano? Esiste un’informazione seria e matura sull’argomento? La risposta, vi tranquillizzo subito, è positiva per tutte e tre le domande. Ma nonostante ciò, resistono ancora sacche di (speriamo incosciente) ignoranza sull’argomento che però, a quanto pare, possono fare danni.
Ci tengo poi a sottolineare che in nessun documento ufficiale del Ministero della Salute o dell’Istituto Superiore di Sanità, per quanto sono riuscito a cercare, ho trovato legami tra la ludopatia e il videogioco. La ludopatia è strettamente legata alla dipendenza e al gioco d’azzardo. Quando si parla di ludopatia, nonostante nel termine stesso sia insito il concetto di gioco (il termine “ludus” viene dal latino e ha diversi significati legati al gioco, allo sport e all’intrattenimento), si intende oggigiorno la dipendenza dal gioco d’azzardo e quindi l’incapacità di smettere di giocare e spendere soldi. Nessuna correlazione esiste con la dipendenza da videogioco che, attenzione, può anche essere preoccupante e sicuramente da gestire nelle fasce di giocatori più giovani, ma non c’entra un bel niente col concetto di ludopatia e con quello che viene messo in scena dai ragazzi nei video oggetto di quel progetto.
Ecco, per dovere di cronaca, ci tengo a sottolineare una cosa: potrei mettervi qui il link di uno di questi video, sono su YouTube, ma preferisco non farlo. Nonostante siano stati pubblicati senza restrizioni - non dubito che avranno tutte le autorizzazioni del caso per pubblicare video con minori - ho le ferma convinzione che questi ragazzi in futuro potrebbero pentirsi di aver partecipato a qualcosa che è profondamente sbagliato - proprio nei termini, non solo nel concetto - e dunque pentirsene.
Cos’è il videogioco oggi: da svago a forma d’arte
La cosa più assurda di tutta la faccenda è che venga buttato tutto in vacca, facendo del videogioco un tutt’uno con la dipendenza dallo smartphone e, perché no, mettendoci in mezzo anche i social network. La verità è che il videogioco, chi lo tratta per mestiere lo sa, è ormai un mezzo maturo caratterizzato da una serie di sfaccettature che lo portano a essere tante cose simili, ma profondamente diverse.
Il videogioco per piattaforme mobili è spesso un gioco mordi e fuggi, fatto di gameplay semplici e ripetitivi. Anche in questo caso ci sono eccezioni, ma se guardiamo ai titoli di richiamo, troviamo giochi che fanno della progressione all’interno di schermi semplici il loro forte. Pensiamo a Candy Crush, per fare un esempio, dove si uniscono caramelle per farle esplodere, o Subway Surfer, dove si corre all’infinito schivando ostacoli.
Poi ci sono, sempre su smartphone, una serie di esperienze multiplayer ambientate in mondi aperti, come Minecraft, Roblox e Genshin Impact. I primi due sono particolarmente interessanti perché funzionano a loro volta da piattaforme per permettere al giocatore di creare mondi e avventure. Torneremo in futuro su questo concetto perché è interessante.
C’è tutto il mondo dei giochi per console domestiche - Playstation, Xbox e Switch -, che sono le esperienze più mature e curate. Parliamo dei titoli che attraggono più investimenti e che impegnano gli studi di sviluppo più grandi e importanti. Sulle console sono usciti alcuni dei titoli più importanti della storia dei videogiochi, che hanno segnato e contaminato anche altri settori culturali e dell’intrattenimento. Ne citiamo giusto un paio: The Last of Us e Super Mario Bros, entrambi arrivati sugli schermi (serie TV per il primo e Cinema per il secondo) di recente.
Infine ci sono i PC, che sono in parte sovrapponibili al discorso fatto per le console, ma che sono molto più focalizzati sul multiplayer e che danno accesso ai negozi digitali di videogiochi come Steam, che su console non esistono. Con i giochi che richiedono l’uso di periferiche di precisione (mouse e tastiera) e con le produzioni indipendenti che spopolano su Steam, i PC si sono ricavati una fetta specifica di videogiochi che raramente arrivano su console o su piattaforme mobili.
Il videogioco può essere quindi una forma di svago, una partita rilassante per scaricare un po’ di tensione a fine giornata o, perché no, in una pausa di lavoro. Oppure può essere un’esperienza di tutt’altro spessore, come quelle che si possono vivere con le produzioni più importanti che raccolgono i migliori artisti disponibili sul mercato, dando vita a vere opere d’arte che miscelano una sceneggiatura cinematografica, le arti visive, l’animazione e gli effetti speciali, la fotografia (anche questa mutuata dal cinema) e infine le colonne sonore di autori contemporanei. Non sono sicuramente il primo a dire che il videogioco, sotto questi punti di vista, è una forma d’arte contemporanea fatta e finita.
Parola ai dati: chi sono i videogiocatori in Italia?
Fatta questa doverosa premessa, a sostegno di tutto questo discorso ci sono sicuramente i dati. In particolare quelli pubblicati da IIDEA, che è l'Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia.
Idea ha pubblicato di recente due documenti importanti: il primo è l’edizione 2021 del report sui videogiochi in Italia. Il secondo, ancora più importante, è uno studio fatto in collaborazione col Censis sul valore economico e sociale dei videogiochi in Italia.
Cominciamo a delineare i tratti generali di questo mercato con una prima infografica. In Italia i videogiochi generano un giro d’affari totale di 2.254 milioni di Euro. Parliamo quindi di un settore industriale tutt’altro che trascurabile. Tanto che, finalmente, anche il governo si è deciso a muovere i primi (timidi) passi per supportare questo mercato che conta circa 160 studi di sviluppo.
Sono circa 15,5 milioni i giocatori, ovvero il 35% della popolazione. Volete sapere quali sono le fasce di età più attive? 15-24 e 45-64 anni, entrambe con 3,7 Milioni di giocatori. Alla faccia dell’emergenza “ludopatia” tra gli adolescenti. Le fasce che invece, secondo i video di cui parlavamo prima, sarebbero interessate dal problema “ludopatia”, ovvero 6-10 e 11-14 anni, sono quelle che contano meno giocatori in assoluto: 1,7 Milioni entrambe. Non pochi, certo, ma comunque le meno popolate.
Un altro dato interessante, sempre riprendendo il tema dei video ludopatici, sono i giochi più venduti in Italia. Tra i giochi presi di mira da chi sostiene che questi possano generare dipendenza, ci sono i soliti Fortnite e Among Us (lo si vede bene in uno dei video di cui parlavo prima). Sapete quanti giochi di questi ci sono tra i primi 20 più venduti? Zero. Sul podio ci sono infatti due Fifa (ahimè, siamo in Italia, il calcio ha la sua importanza. Anche perché vengono fatti video dove si sostiene che il giocare a calcio è bene, giocare con i videogiochi è male), un titolo eterno come GTA V, e poi una sequenza di altri titoli di quelli che prima avevo definito “piu maturi e curati”, da Spider-Man a Assassin’s Creed, da Call of Duty ai vari Mario.
Un ultimo dato che vi voglio dare è il tempo dedicato ai videogiochi a settimana per ciascuna piattaforma.
I dati parlano di 8,7 ore di gioco in media a settimana tra tutte le piattaforme. 5,2 delle quali su smartphone o tablet. Direi che si può tranquillamente dire che non c’è nessuna emergenza, né alcun rischio dipendenza (se non in casi sporadici e individuali, ma insomma sono sicuro che ci saranno altrettanti casi di dipendenza sporadica da studio o dalle partite di calcio). E comunque, con 5,2 ore spalmate su sette giorni, direi che rimane un bel po’ di tempo per studiare e per uscire con gli amici e giocare all’aperto che, viva Dio, una cosa non ha mai escluso l’altra.
Un’espressione rara di un’arte individuale
Voglio tornare un attimo sulle riflessioni personali per farne una sullo sviluppo dei videogiochi e sulla creatività. Sono rimaste ormai pochissime le forme d’arte e di espressione creativa individuale. Il videogioco sta perdendo questa sua dimensione individuale, è vero, però in parte c’è ancora ed è bene preservarla.
Ai tempi dell’Atari 2600, infatti, il videogioco era il frutto dell’elaborato di una sola persona che, chiuso in una stanza, creava una storia, disegnava i personaggi, scriveva le musiche e infine traduceva tutto in codice. Ci vedo una dimensione fantastica e artistica in tutto questo. Un po’ come immaginare Beethoven scrivere la sua nona sinfonia senza nemmeno l’uso del pianoforte (era sordo), soltanto sentendola nella sua testa.
Lo so, qualcuno storcerà il naso leggendo questo accostamento (e altri grideranno allo scandalo ma, ehi, avete accostato la ludopatia ai videogiochi, chi è che ha veramente cominciato?), ma se ci pensate è un parallelo molto più concreto di quello che potrebbe sembrare. E in ogni caso, non si può negare che il videogioco, soprattutto quando creato da una sola persona, sia una delle espressioni più belle e artistiche di una creatività che non potrebbe trovare sfogo in nessun altro modo al mondo.
L’informazione seria e matura sul videogioco
Se il videogioco è una cosa seria, addirittura una forma di arte e di espressione creativa da rispettare, perché non esiste un’informazione seria e matura? E chi l’ha detto che non c’è?
In Italia le testate giornalistiche di un certo livello che si dedicano ai videogiochi sono poche, si contano sulle dita di una mano. Di sicuro non abbiamo testate di inchiesta e approfondimento come ce ne sono all’estero, ma non possiamo nemmeno dire che su testate come multiplayer.it, everyeye.it e spaziogames.it (ma anche su finalround.it, gameplay.cafe, etc.) non si leggano articoli di approfondimento e analisi di mercato.
A margine delle testate, però, c’è un’informazione veramente di qualità rappresentata dalle newsletter e dai podcast, che sono il vero territorio dove si fa oggigiorno approfondimento giornalistico serio. Allora non posso che citare la newsletter dell’amico e collega Massimiliano di Marco, Insert Coin, che è anche un podcast al quale saltuariamente partecipo (nella rubrica “Chiacchiere”).
Insert Coin non posso citarla e basta, devo dedicarle per forza qualche parola in più. L’ho seguita da quando era solo un’idea e l’ho vista crescere nel tempo. L’ho sostenuta e alla fine mi ha dato la forza per creare Insalata Mista, che senza Insert Coin non sarebbe mai nata.
Massimiliano per anni ha cercato di fare un’informazione sui videogiochi matura, seria, basata sui dati, sulle interviste ai protagonisti del mercato. Un’informazione che parlasse anche del mercato stesso, che indagasse quello che succede nelle aziende, come si lavora dentro gli studi di sviluppo, cosa porta a realizzare alcuni videogiochi e perché. Insomma, è vero giornalismo “tripla A” applicato al videogioco.
E poi perché non citare anche Manettini, che è la newsletter di videogiochi de Il Post, che sappiamo essere una delle testate di informazione più serie e importanti in Italia.
Infine non posso non citare altri progetti come “Le parole dei videogiochi”, che si interroga settimanalmente su altri aspetti non comuni legati ai videogiochi.
Insomma, se cercate in Italia un’informazione sui videogiochi che non sia soltanto notizie e recensioni, ma che sia opera di vero giornalismo, la potete trovare senza problemi. È vero, si tratta perlopiù di iniziative singole, private. Non c’è un kotaku.com in Italia, quello ancora no, ma chissà. Certamente potrà nascere nel momento in cui ci decideremo a staccare la spina a certi stereotipi profondamente sbagliati.
Gli stereotipi e le “desuete caricature”
E per chiudere questo numero di Insalata Mista, voglio citare interamente il paragrafo “Desuete caricature” preso dall’analisi che IIDEA ha realizzato insieme al CENSIS. Un testo scritto decisamente meglio di come potrei mai fare io e che pertanto voglio riportare integralmente:
“Le macro-componenti del valore sociale del gaming impongono di spazzare via ogni stereotipo, esito di una cattiva narrazione che la realtà ormai si è incaricata di smentire. Uno degli epicentri degli stereotipi riguarda le attuali generazioni di giovani, di cui sono caricaturizzati molti comportamenti che li connotano e differenziano rispetto alle altre generazioni.
Una sorta di stigma generazionale portato all’estremo e che coinvolge anche il rapporto con il gaming. È stato creato un link, di pura fantasia mai verificato fattualmente e nei numeri, tra devianze giovanili, autolesionismi e utilizzo delle nuove tecnologie, inclusi i videogiochi.
Si è creata una sterminata pubblicistica che si è auto confermata, senza mai sfidarsi su prove scientifiche o dati fattuali. La verità è che lo stigma reiterato senza verifiche è indotto dalle difficoltà delle generazioni di attuali genitori e nonni ad accettare lo scarto digitale con i più giovani, certificato dal quasi naturale rapporto delle nuove generazioni con il digitale.
L’indimostrata minaccia sanitaria di alcuni device e di alcune pratiche digitali è in realtà il sintomo peggiore della mancata capacità di interpretare il presente dei nativi digitali da parte dei non nativi digitali. Il digitale genera culture, modelli di apprendimento, forme artistiche e di comunicazione originali diverse da quelle preesistenti e nel suo installarsi nelle attività individuali e sociali rivoluziona l’arte, la cultura, il lavoro, la formazione, la fruizione del tempo libero ecc.
Ecco allora che, di fronte al nuovo inafferrabile, scatta lo stigma e la retorica che associa rischi a smartphone e videogiochi, con una meccanica che ricorda quella che in passato colpì i fumetti, o la musica rock e pop, o i capelli troppo lunghi, o, ancora più di recente, i tatuaggi.
È lo stigma generazionale verso i comportamenti dei più giovani che più marca il passaggio generazionale e che, oltre che mal compresi, rende tali comportamenti oggetto di rifiuto, critica, stigma da parte delle generazioni precedenti.
La verità è che gli stereotipi impediscono la valutazione concreta e attendibile dei benefici dei videogiochi nei vari ambiti, incluso quello della salute. L’esito è una pericolosa deriva moralistica che a tratti si tinge di un neoluddismo saccente e di un rimpianto sistematico di un mitico tempo in cui i giovani si dedicavano ad attività meritorie.
Il rapporto con i videogiochi è una pratica sociale di massa, di giovani e meno giovani, fortemente soggettiva, incastonata nel fluire quotidiano della vita, capace di investire e migliorare le attività di una molteplicità di ambiti: ecco il reale punto di partenza per capire che il gaming genera benefici significativi nel nostro presente e nel nostro futuro prossimo.”
SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
Mamma Mia!
In queste ultime due settimane sono stato ben due volte al cinema. Non capitava da anni. La prima per vedere il film di Super Mario Bros. Gli autori sono lo studio Illumination, gli stessi dei film dei Minions e dei Cattivissimo me, e Nintendo. Il film è piacevole e prova a dare un significato a tutto quello che nel videogioco non ce l’ha.
Bello, frizzante, divertente e colorato. Peccato che ecceda un po’ troppo in quello che viene definito “fan service”, ma tutto sommato brava Nintendo. Ne vogliamo di più!72 stagioni per ringiovanire il cinema
La seconda volta al cinema è stata per l’evento mondiale di presentazione del nuovo album dei Metallica, 72 Seasons. Mi piace scriverne perché è la prima volta (credo) che una band, metal tra l’altro, riesce a farsi dedicare una serata nei più importanti cinema di tutte le città del mondo. Tra cui l’Italia, tra cui una piccola provincia come Biella (che è dove vivo). E nonostante fosse giovedì ore 21.30 - quindi non proprio il momento più comodo per chi studia o lavora -, nonostante il prezzo imposto del biglietto fosse di 15€, nonostante si prospettassero due ore di musica martellante ad alto volume, le sale erano quasi piene. Morale: i Metallica spaccano ancora.
È interessante però l’esperimento: per portare le persone al cinema, o per meglio dire ri-portare le persone al cinema, possono servire anche eventi che nulla o poco hanno a che fare col cinema in senso classico, ormai messo seriamente in difficoltà dalla diffusione delle piattaforme di streaming in abbonamento e dalla qualità dei televisori domestici.
Il cinema deve reinventarsi e rinascere, come ha saputo fare bene la radio. Chissà che una buona idea non venga proprio da eventi come questi, che hanno senso solo così, quando riuniscono una community che, seppur piccola, è capace di fare massa critica.Spotify prevede il futuro
Mi affascina molto quello che i ricercatori di Spotify hanno fatto e pubblicato su Nature. Impiegando due reti neurali gemelle, hanno costruito un modello per l’analisi controfattuale. In pratica, un modello in grado di rispondere alla fatidica domanda “cosa sarebbe successo se…” e dunque a poter, in qualche modo, prevedere il futuro.
Questo modello si può applicare molto bene a un sistema di predizione dei gusti di un ascoltatore, ma sicuramente apre le porte a qualcosa di molto più grande e articolato. Vi lascio solo immaginare cosa. Hai capito Spotify?
TI SEI PERSO LE PRECEDENTI PUNTATE?
N.6 L’incredibile storia di un tweet che ha cambiato la vita a 7 milioni di americani
N.4 Apple TV+ è probabilmente il miglior servizio di streaming video
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Grazie per questo contributo prezioso. Ho apprezzato soprattutto la parte relativa all'informazione di qualità sui videogiochi in Italia. Io stesso sono approdato alle newsletter proprio perchè deluso dall'informazione sui siti tradizionali, e perchè mi sembra che la vera qualità sia qui (e in particolare sono arrivato a Insalata Mista da Insert Coin 😉)
Finalmente anche in Italia si comincia a formare una cultura del videogioco più profonda e consapevole!