Se l’IA vi ha entusiasmato, aspettate di vedere l'AGI
Fino ad oggi è stata vista come un'utopia tecnologica da film di fantascienza e invece è più vicina di quanto si pensi: l'intelligenza artificiale generale, ovvero la più simile a quella umana.
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» PENSIERI FRANCHI: Il problema del filtraggio
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Se anche tu che leggi sei stato tra quelli che hanno vissuto l’arrivo di internet nelle case - prima in brevi momenti precisi della giornata attaccato alla linea telefonica e poi con il wi-fi attivo 24 ore su 24 - non ti è sicuramente estranea quella speranza diffusa che internet potesse migliorare il mondo. Che internet potesse portare conoscenza e cultura a tutte le persone, anche quelle che vivono in posti in cui non è facile accedere all’informazione, ai libri e alle notizie.
In qualche modo, la portata di internet poteva essere epocale e cambiare il mondo per sempre. Così poi è stato, solo che non è andata proprio come ci aspettavamo. Quando parliamo di “cambiamento epocale”, abbiamo un bias di fondo, che ci porta a dare per scontato che quel cambiamento sia migliorativo, mai il contrario.
Così, quando internet ha cominciato a dare il peggio di sé, tra pedopornografia e vendita di armi e droga, abbiamo realizzato che internet poteva anche essere una cosa che avrebbe peggiorato il mondo. In un secondo momento, l’arrivo dei social ha democratizzato la possibilità di parlare a un vastissimo pubblico, rendendo molto semplice ottenere un seguito anche di milioni di persone per chiunque avesse un minimo di carisma o capacità di aizzare le folle.
Quando Umberto Eco sintetizzò, tra una mezza verità e un po’ di spocchia da letterato, che i social network <<danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività>>, intendeva dire proprio questo, cioè che quando rendi una fonte di informazione e comunicazione così accessibile, poi non puoi dare per scontato che da lì passi soltanto quello che vuoi tu e che tu ritieni giusto. Così come quando crei dei mezzi di trasporto che velocizzano gli spostamenti, non puoi dare per scontato che non vengano utilizzati anche a fini malavitosi.
Ora però che siamo in un contesto in cui l’informazione, attraverso il web e i social network, è diventata così pervasiva, ci si pone il problema di come frenare e rallentare l’informazione costruita ad arte per supportare cause malvagie e intenti di persone (o gruppi di persone) senza scrupoli.
La stessa cosa si tende a pensare degli smartphone, su cui però pesa un bias opposto. Anziché vederne gli aspetti potenzialmente positivi per l’intera popolazione mondiale, siamo abituati a concentrarci su quanto abbiano cambiato la nostra vita in peggio, rendendoci schiavi di uno schermo che è sempre accanto a noi. In qualche modo, poi, la problematica dei social network si sovrappone agli smartphone, perché uno ha aiutato l’altro: i social network non sarebbero diventati il fenomeno che sono senza l’uso che se ne fa in ogni momento sugli smartphone e questi ultimi non si sarebbero mai diffusi senza la spinta potente delle interazioni sociali virtuali.
Trascuriamo però la vera rivoluzione che gli smartphone stanno attuando nei paesi in via di sviluppo, dove prima di oggi l’accesso all’informazione e ai fatti del mondo sviluppato era relegata alle poche occasioni in cui si poteva accedere a un computer o una televisione. Oggi, secondo i dati della GSMA, praticamente non esiste paese al mondo in cui la diffusione degli smartphone sia inferiore al 30% (siamo al 38% circa nei paesi dell’Africa sub-sahariana e 31% del sud Asia). E infatti si calcola che la diffusione degli smartphone abbia raggiunto circa il 60% della popolazione mondiale.
Con due terzi della popolazione mondiale in grado di connettersi a internet tramite un dispositivo personale e la diffusione capillare dei social network (che vede ancora Facebook al primo posto assoluto, con più di 3 miliardi di utenti attivi, seguito a stretto giro da YouTube con 2,5 miliardi), il problema della diffusione incontrollata di notizie false e costruite a tavolino per orientare l’opinione pubblica e influenzare così dalle elezioni nazionali fino alle rivolte popolari, diventa un’emergenza a cui nessuno sa porre un freno.
L’arrivo delle intelligenze generative ha definitivamente ampliato questo problema rendendolo un’emergenza, permettendo alle macchine di generare una quantità devastante di informazioni credibili, generate al solo scopo di orientare l’opinione pubblica. Un problema che, attenzione, non riguarda soltanto i paesi in via di sviluppo o gli utenti scarsamente scolarizzati, ma riguarda invece anche e soprattutto i paesi più ricchi e le persone mediamente istruite.
Si pone quindi, infine, il problema del “filtraggio delle informazioni”, che pure evidenziava Umberto Eco sempre durante l’evento in cui pronunciò l’altra frase, che oscurò completamente quella di gran lunga più interessante. Oggi infatti la capacità di filtraggio delle informazioni è il primo requisito a cui dovremmo puntare, per esempio nel percorso scolastico che fanno i ragazzi fin dai primi anni.
Filtrare le notizie significa saper distinguere cosa è credibile e cosa no. È una forma di distinzione primordiale tra bene e male, che come esseri umani cominciamo ad allenare fin dai primi mesi di vita e che invece non facciamo con le informazioni che apprendiamo dall’esterno. Distinguere, filtrare quello che ci succede e che apprendiamo da qualsiasi fonte di informazione è fondamentale tanto quanto saper leggere e scrivere, ancora di più oggi che l’informazione non è più affidata soltanto a fonti limitate, come era il sistema di quotidiani/radio/tv fino a pochi anni fa, ma è praticamente alla portata di chiunque.
Si pone però il problema di chi debba essere a insegnare alle nuove generazioni a saper leggere e filtrare le notizie. Non certo il corpo insegnante, spesso incapace esso stesso di saper leggere la realtà. Qualche giorno fa ho sentito un insegnate di italiano dire a uno studente curioso che ChatGPT è “l’ennesimo giochino che ti dà delle risposte se gli fai delle domande”. Guai a confondere questa gravissima incapacità di leggere la realtà con l’ignoranza.
Per molti versi, l’incapacità di filtrare e di leggere correttamente la realtà è molto più grave dell’ignoranza, perché ti da l’illusione di aver appreso e capito qualcosa che in realtà hai completamente travisato e ti trasforma indirettamente in un organismo di diffusione di notizie false. D’altronde non stiamo certo parlando di fenomeni nuovi. Persino Platone, nel mito della caverna, si dimostra profondamente preoccupato per il modo in cui la conoscenza veniva acquisita e utilizzata, credendo che una cattiva educazione potesse causare più danni che benefici.
Prima di apprendere, dovremmo preoccuparci di capire cosa rappresenta una buona fonte e cosa no. Filtrare, in altre parole, è la competenza di cui abbiamo bisogno più di qualsiasi altra cosa, più dell’apprendere, perché senza saper filtrare si finisce per apprendere cose sbagliate e apprendere cose sbagliate è molto più pericoloso di non apprenderle affatto.
Buona lettura.
Franco A.
» COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DALL’AGI, L’INTELLIGENZA QUASI UMANA
A volte basta un semplice tweet di nove parole a cambiare tutto per sempre e quello di Sam Altman del 30 novembre 2022, appena due anni scarsi a oggi, l’ha decisamente fatto. L’intelligenza artificiale esisteva già in diverse forme. Esisteva anche ciò che ha dato vita a ChatGPT, ma quest’ultima ha comunque dato una sterzata energica all’intero settore, ovvero quello dei modelli di linguaggio e delle intelligenze generative.
GPT però ha definitivamente cambiato tutto, costringendo gli altri giganti in campo a uscire allo scoperto. Google, per esempio, ci stava lavorando da anni, ma non era ancora pronta a uscire con un prodotto commerciale come poi ha fatto in fretta e furia. OpenAI, l’azienda produttrice di ChatGPT e altri servizi analoghi, era invece pronta, prontissima, e ha cambiato tutto per sempre.
Da allora l’intera industria mondiale, tutta quanta, non è potuta rimanere indifferente. Tutto oggi parla di Intelligenza Artificiale, tutto è basato su qualche funzione legata a questi nuovi modelli di interazione uomo-macchina. Alla fiera IFA di Berlino, non c’era un produttore di elettrodomestici o dispositivi elettronici che non avesse una qualche implementazione dell’intelligenza artificiale sui suoi prodotti, persino forni e piastre a induzione.
Ora, se questa AI vi ha lasciati stupefatti; se pensate che abbia cambiato il mondo, l’industria e il nostro modo di eseguire qualsiasi compito passando da una domandina anche banale al chatbot, allora sappiate che la grande rivoluzione deve ancora arrivare e ha un nome specifico, molto simile a quello che conosciamo: AGI. Sta per Intelligenza Artificiale Generale e indica un tipo di intelligenza che non è più settoriale ma è, appunto, generale. Un’intelligenza che, proprio quella umana, non è più verticale e limitata a un solo ambito (testo, immagini, musica, ecc), ma è trasversale a tutti gli ambiti della conoscenza. E non solo. Paura?
Che cos’è l’AGI, l’intelligenza generale
L’AGI è l’evoluzione della Narrow AI, ossia dell’intelligenza artificiale capace di operare su un ambito ben preciso. Oggi possiamo chiedere a ChatGPT di fare un sacco di cose, ma lo facciamo sempre attraverso una conversazione testuale perché, alla base, c’è un modello di linguaggio, per quanto sofisticato.
Quando invece chiediamo a ChatGPT di elaborare delle immagini e lei (o lui) lo fa, in realtà sta utilizzando un altro modello, sempre della stessa azienda, che si chiama DALL-E ed è appunto un modello studiato per le immagini.
Ora, provate a immaginare un’intelligenza che sia invece interoperabile, che sia orizzontale tra tutti gli ambiti cognitivi, che sia anche capace di auto apprendere e quindi di correggersi. Ecco, quella è l’AGI. Un’intelligenza che si potrebbe definire simile a quella umana proprio perché, analogamente a quanto fa l’uomo, può mettere in relazione concetti appartenenti ad ambiti distanti tra loro e creare relazioni tra concetti distanti, che poi è la caratteristica primaria dell’intelligenza umana.
Cosa sarebbe stato dell’evoluzione dell’uomo se non fosse stato capace di mettere insieme la matematica e la fisica, la medicina e la biologia? Tutte queste scienze sono collegata l’un l’altra proprio perché il processo scientifico si basa su l’influenza che una scoperta in un determinato ambito scientifico ha su un altro e così via.
Non è un caso che quest’anno la commissione per i premi Nobel abbia fatto una scelta molto atipica e molto contestata, cioè quella di assegnare Nobel molto specifici, come quello per la fisica, a John Hopfield e Geoffrey Hinton, creatori delle reti neurali che sono alla base dell’intelligenza artificiale. Così come quello della chimica che è andato a Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind, John Jumper, direttore di DeepMind, e David Baker, professore dell'Università di Washington, che insieme hanno vinto appunto il Nobel per la Chimica per il loro lavoro sulle proteine.
Cosa cambierà e cosa non cambierà affatto
Una delle caratteristiche fondamentali di tutto quello che ricade sotto il cappello di Intelligenza Artificiale - ovvero il machine learning, le reti neurali e i Large Language Model - è che ogni progresso fatto innesca una spirale che porta a un’evoluzione esponenziale, tanto che, se comparassimo i progressi fatti dai chatbot in soli due anni con quelli che potrebbero fare nei prossimi dieci, non arriveremmo nemmeno a immaginarli.
Oggi parliamo di AGI come di qualcosa di astratto, di un concetto a cui tendere ma che è in realtà soltanto una forma “ipotetica” - come l’ha descritta GPT stessa - di futuro dell’IA. Quello che però sappiamo per certo, è che se la base di partenza è quello che stiamo vedendo accadere oggi, i prossimi due anni potrebbero essere già un periodo sufficiente per fare qualcosa di molto simile a quello che viene largamente inteso come AGI. E infatti, Sam Altman ha più volte detto che entro la fine del decennio dovremo aspettarci qualcosa di molto “capace”, in riferimento proprio all’AGI.
Su questo termine, AGI appunto, ci vanno tutti piuttosto cauti perché non esiste una definizione esatta. C’è chi sostiene che già GPT 4o, l’ultima versione del modello di ChatFPT, proprio grazie all’integrazione con altri modelli come DALL-E, sia già una forma rudimentale di AGI.
Siccome adoro i temi ricorsivi, e chi legge Insalata Mista da un po’ lo sa, ho chiesto a ChatGPT cosa fosse l’AGI, mi ha risposto così:
L'intelligenza artificiale generale (AGI, in inglese "Artificial General Intelligence") è una forma ipotetica di intelligenza artificiale in grado di eseguire qualsiasi compito cognitivo che un essere umano può svolgere. A differenza delle AI specializzate, che sono progettate per risolvere problemi specifici (come il riconoscimento delle immagini o la traduzione linguistica), l'AGI sarebbe capace di apprendere, ragionare e adattarsi a una vasta gamma di compiti senza essere esplicitamente programmata per ciascuno di essi.
Caratteristiche dell'AGI:
Apprendimento autonomo: Un AGI potrebbe apprendere nuovi compiti e concetti autonomamente, come fanno gli esseri umani.
Capacità generalizzata: Sarebbe in grado di affrontare una varietà di problemi, anche quelli per i quali non è stata specificamente addestrata.
Adattabilità: L'AGI sarebbe in grado di adattarsi a nuovi ambienti e situazioni senza richiedere modifiche al suo codice.
Consapevolezza e comprensione del mondo: Potrebbe essere dotata di una forma di coscienza o almeno di una comprensione simile a quella umana del mondo che la circonda.
Sfide:
Sicurezza e controllo: La creazione di un'AGI solleva preoccupazioni etiche e pratiche su come controllarla e garantirne l'uso per scopi benefici.
Comprensione e replicazione dell'intelligenza umana: Nonostante i progressi nell'IA, non comprendiamo ancora pienamente come funziona l'intelligenza umana, e questo è uno degli ostacoli principali per la realizzazione di un'AGI.
Risorse computazionali: Lo sviluppo di un'AGI potrebbe richiedere risorse computazionali enormi, molte più di quelle necessarie per le IA specializzate di oggi.
Perché non dobbiamo temere l’AGI
Come tutto ciò che è nuovo e non conosciamo, anche questa forma di intelligenza non umana ci spaventa, è comprensibile e perfettamente normale. Fossimo una civiltà di qualche millennio addietro, probabilmente avremmo creato una religione basata sull’adorazione di una nuova divinità. Per fortuna non lo siamo e oggi le parole più importanti rimangono sempre quelle di Sam Altman, che è a capo di OpenAI, ed è il creatore di tutti questi modelli di cui stiamo parlando.
Non parlo volutamente di altri sistemi, magari altrettanto evoluti come Gemini di Google che ha una responsabilità diretta nello sviluppo di molte delle reti neurali sulle quali si basa probabilmente anche una parte dei risultati di OpenAI, perché quest’ultima ha una virtù che le altre aziende non hanno: non ha interessi diretti in un prodotto commerciale. Il suo prodotto commerciale è il modello, appunto, e non l’implementazione commerciale che di questo modello viene fatta.
GPT è infatti il modello che viene utilizzato a sua volta da molti altri sistemi commerciali, da Copilot di Microsoft a Apple Intelligence, entrambi aziende che hanno investito pesantemente in OpenAI. Proprio questo pluralismo di interessi fa sì che OpenAI sia l’azienda da guardare con più attenzione, perché è in qualche modo “terza” rispetto ad aziende che invece hanno interessi diretti nella spinta verso un determinato risultato commerciale.
Da questo punto di vista, quindi, le parole di Altman sono particolarmente rilevanti. Non solo perché è a capo dell’azienda che più di ogni altra sta spingendo nella ricerca su questo fronte, ma perché è egli stesso uno dei più attenti e scrupolosi sostenitori del dialogo e dell’interrogazione sui rischi e sul futuro dell’uso dell’intelligenza artificiale per l’uomo.
In un articolo apparso proprio su openai.com dal titolo “Pianificazione per l’AGI e oltre”, l’azienda parla del loro approccio prudente verso lo sviluppo di un AGI per garantire il fatto che questa porti benefici a tutta l’umanità, evitando rischi esistenziali come il disallineamento con i valori umani (su questo concetto torneremo più avanti). Soprattutto, OpenAI riconosce e sottolinea la necessità di collaborare a livello globale, coinvolgendo governi e istituzioni per stabilire regole chiare su come governare questi sistemi.
L'articolo mette inoltre in evidenza come una transizione rapida verso sistemi superintelligenti potrebbe rappresentare una delle sfide più importanti nella storia dell’umanità e sottolinea l'importanza di rallentare l'adozione dell'AGI se necessario, per fare in modo che la società abbia il tempo di adattarsi ai cambiamenti che porterà.
Il concetto dell’allineamento
Il concetto dell’allineamento (o del suo contrario citato nell’articolo di cui sopra, il disallineamento), è un concetto fondamentale quando si parla di AI in generale e di AGI in modo specifico.
Quando si parla di "allineamento" nell'intelligenza artificiale, ci si riferisce all’obiettivo di progettare un sistema in modo che i suoi obiettivi, comportamenti e decisioni siano coerenti con i valori, le intenzioni e le preferenze umane. Il problema dell'allineamento è cruciale per evitare che l'intelligenza artificiale prenda decisioni che potrebbero risultare dannose o non eticamente corrette. In particolare, per l'Intelligenza Artificiale Generale (AGI), l'allineamento si concentra sull'assicurare che sistemi avanzati continuino a lavorare per il bene comune e non agiscano in modo imprevedibile o pericoloso.
Quando arrivò internet, soltanto gli addetti ai lavori si resero realmente conto della portata rivoluzionaria che avrebbe avuto. Personalmente ricordo che quando ne parlai per la prima volta a mia madre, pensò anche lei che si trattasse di un’esagerazione, di un nuovo passatempo tecnologico che però costava soldi e occupava la linea telefonica. Quando le prospettai un futuro dove tutto sarebbe passato attraverso internet, mi guardò come si guardano i tecno-entusiasti che vedono rivoluzioni ovunque.
Oggi la situazione è completamente diversa. Tutta la società è cosciente di quale grande rivoluzione possa rappresentare l’uso di questi modelli in tutti gli ambiti. Persino i governi locali, persino un gigante elefantiaco come l’Europa, attraverso il Consiglio Europeo, ha dato il via ufficiale a un regolamento sull’IA.
Purtroppo, come europei, abbiamo perso di nuovo un treno importante, fondamentale per il futuro dell’Europa. Anzi, il treno dell’IA non è che l’abbiamo perso, non siamo proprio usciti di casa con l’intenzione di prenderlo e purtroppo oggi ci ritroviamo schiacciati tra due giganti che invece lavorano da decenni su questo fronte, Asia e America. Persino l’Africa ha un centro di ricerca e sviluppo sull’IA in Congo e invece noi Europei stiamo qui ad aspettare quando e come ci imporranno sistemi che potremmo solo subire, così come la mobilità elettrica che sta devastando un settore economico e manifatturiero di primaria importanza per l’Europa.
Chiudo con una riflessione che starebbe meglio nei Pensieri Franchi che qui, ma è pertinente all’argomento di questo approfondimento: il treno dell’IA, così come quello dell’auto elettrica, l’abbiamo perso perché richiedeva una programmazione decennale e una lungimiranza che non solo non abbiamo, ma non potremmo mai avere semplicemente perché la nostra classe dirigente è attenta soltanto a quello che succede da qui ai prossimi sei mesi al massimo, ovvero alle prossime elezioni. Il consenso elettorale è il solo faro che guida le scelte di tecnici e politici che oggi parlano dell’accisa sul gasolio e domani dell’aggiornamento catastale, puntando sempre al dito e mai alla luna.
Non è un caso che l’IA occupa un capitolo di primaria importanza nel rapporto sulla competitività che la stessa Commissione Europea ha commissionato a Mario Draghi, dove si legge, tanto per fare un esempio, che “l’UE dovrebbe promuovere il coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare l’integrazione dell’IA nell’industria europea” oppure che “data la posizione dominante dei fornitori statunitensi, l’UE deve trovare una via di mezzo tra la promozione dell’industria cloud domestica e la garanzia di accesso alle tecnologie di cui ha bisogno”.
Parole che, con tutta probabilità, rimarranno inascoltate. Ancora una volta assisteremo a un fenomeno globale e realmente rivoluzionario - termine questo purtroppo abusato, ma non in questo caso - senza poter dire nulla se non sperare che realmente ci sia un dialogo tra aziende, governi e istituzioni per far sì che l’AGI rappresenti davvero un grande passo per l’umanità e non il rischio di un futuro spaventoso come quello raccontato dalla letteratura fantascientifica catastrofista.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
» Asahi Linux porta i giochi AAA su MacBook con Apple Silicon: una svolta nel gaming su Linux
Il team di Asahi Linux ha rilasciato strumenti che permettono di giocare a titoli AAA su MacBook con Apple Silicon, grazie all’uso di Linux e Steam. Guidata da Alyssa Rosenzweig, la squadra ha sviluppato driver Vulkan 1.3 e un’infrastruttura che permette l’emulazione x86 e la compatibilità con Windows su architettura ARM. Sebbene la versione sia ancora in fase alpha, giochi come Control e Cyberpunk funzionano già, con ulteriori miglioramenti alle prestazioni attesi nelle prossime versioni.
[Fonte: DDAY.it]
» Google rischia grosso: Android e Chrome potrebbero essere separati dai rimedi antitrust
Dopo la sentenza che ha confermato il monopolio di Google nel settore delle ricerche web, il Dipartimento di Giustizia USA ha proposto rimedi antitrust che potrebbero includere misure strutturali come la separazione di Android e Chrome dal motore di ricerca. I querelanti suggeriscono anche di limitare accordi esclusivi e obbligare Google a condividere dati e algoritmi con i concorrenti per ripristinare la concorrenza. Google ha criticato queste proposte, sostenendo che potrebbero danneggiare la privacy, la sicurezza e l’innovazione.
[Fonte: DDAY.it]
» Verifica dell’età per siti e social: AGCOM definisce lo schema, ora al vaglio della Commissione Europea
L’AGCOM ha elaborato lo schema tecnico per la verifica dell’età degli utenti sui social e sui siti con contenuti pornografici, come previsto dal “Decreto Caivano”. Lo schema richiede che un soggetto terzo fornisca una prova dell’età dell’utente, che poi la invia ai siti senza che questi conoscano il servizio richiesto. L’AGCOM raccomanda l’uso di questo sistema anche per altri contenuti potenzialmente dannosi per i minori. Il documento è ora in attesa di approvazione da parte della Commissione Europea.
[Fonte: DDAY.it]
» Tesla presenta Cybercab e Robovan: il futuro della guida autonoma con robotaxi e navette elettriche
Durante l’evento “We Robot”, Tesla ha svelato il suo robotaxi autonomo Cybercab, un veicolo futuristico senza volante e pedali, che utilizza il Full Self Driving e si ricarica in modalità wireless. Il prezzo sarà inferiore a 30.000 dollari e il lancio è previsto per il 2026. Insieme al Cybercab, Tesla ha presentato il Robovan, una navetta a guida autonoma per il trasporto di 20 persone, con costi operativi molto bassi. A chiudere l’evento, il CEO Elon Musk ha presentato i robot Optimus, che saranno presto acquistabili a un prezzo tra i 20.000 e i 30.000 dollari.
[Fonte: Dmove.it]
» Dal CID cartaceo all’app: presto la constatazione amichevole sarà digitale
Una modifica al regolamento assicurativo permetterà di sostituire il modulo cartaceo del CID con un’applicazione per smartphone, semplificando la gestione degli incidenti stradali. Tuttavia, associazioni di consumatori e periti esprimono preoccupazione per chi ha poca dimestichezza con la tecnologia, proponendo di mantenere l’opzione cartacea accanto a quella digitale. L’IVASS, l’ente di vigilanza, sostiene la digitalizzazione per razionalizzare e semplificare le procedure, ma il dibattito è aperto.
[Fonte: Dmove.it]
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
E io che non capivo cosa c’entrasse l’agenzia stampa.
Una delle tue migliori newsletter. Chapeau.