Le tecnologie abilitanti
È un termine non propriamente legato alla tecnologia di consumo, ma che spiega in maniera perfetta qual è l'elemento fondamentale per il successo o il fallimento di una novità tecnologica.
Vi sarà sicuramente capitato, in qualche conversazione su una o l’altra innovazione tecnologica, che qualcuno tirasse fuori il fatto che in realtà l’oggetto di cui state parlando non ha innovato nulla, perché esisteva già un predecessore.
Capita per esempio se parlate di smartphone, citando ovviamente iPhone, che qualcuno vi dica che già anni prima Ericsson aveva fatto uno smartphone con sistema operativo e app, completamente touch. Capiterà lo stesso se parlate di riproduttori mp3 e quindi di iPod (non è un caso se ho preso due esempi Apple, che è un’azienda che ha fatto delle tecnologie abilitanti il suo vero punto di forza, ci torneremo). Di sicuro uscirà qualcuno che vi parlerà di Microsoft Zune e dei tanti riproduttori mp3 che già circolavano ben prima che arrivasse iPod. Tutto vero, ma se il mercato è cambiato dall’arrivo di un dispositivo preciso in poi, c’è un motivo.
Ho deciso di chiamare questi motivi “tecnologie abilitanti”, rubando un termine che è proprio del mondo industriale e più in particolar modo del piano nazionale Industria 4.0. Ho deciso di farlo mio perché rappresenta perfettamente, in due parole, quello di cui hanno bisogno le tecnologie per diffondersi: qualcosa che va oltre la tecnologia stessa.
Che sia un software, un servizio, un sistema operativo o semplicemente un modo differente di vedere le cose, se la tecnologia non viene accoppiata a una tecnologia abilitante, allora semplicemente passerà inosservata al di là del suo potenziale rivoluzionario. Ne sono esempio le tantissime novità tecnologiche arrivate in un momento sbagliato della storia. Il problema non è quasi mai stato il momento storico, ma la mancanza di una tecnologia abilitante.
iPhone e iPod, gli esempi lampanti di successi basati su tecnologie abilitanti
Tutti riconosciamo nell’iPhone l’inizio di quella rivoluzione che ci ha portati a possedere uno o più smartphone a testa e a vivere in simbiosi con quest’oggetto, tanto da renderlo praticamente una nostra protesi artificiale. Qualcuno però obietterà, lo dicevo prima, che ci sono stati diversi esempi di smartphone prima che arrivasse lui e in effetti è proprio così. Ci sono stati smartphone con le app e con il touch.
In una prima fase, sicuramente iPhone basò la sua popolarità su alcune caratteristiche che lo resero certamente molto figo, o “cool” direbbero negli Stati Uniti. Nel 2007 però uscì soltanto lì, nella madre patria e quindi la sua diffusione fu relativamente limitata. La diffusione globale arrivò l’anno successivo, con la seconda versione, il 3G, che portò in dote qualcosa che cambiò tutto per sempre: l’AppStore.
Dunque iPhone non fu una rivoluzione per l’oggetto e l’hardware in sé, ma perché cambiava modo di intendere il telefono. Le telefonate diventavano un di più, un orpello, o meglio un’app tra le tante. Perché lo smartphone di ognuno di noi poteva diventare una cosa differente a seconda di come lo volevamo utilizzare e delle app che ci installavamo.
Di più: il negozio di applicazioni si apriva a tutti gli sviluppatori del mondo, mettendo a disposizione anche degli strumenti facilitati per realizzare app e soprattutto dava la possibilità, grazie proprio alle app, di realizzare facili guadagni. Celebre fu il caso dell’applicazione che semplicemente emetteva dei peti. Al costo di 0,99$ - chi poteva resistere a fare degli scherzi ad amici e colleghi per 1 dollaro? - lo sviluppatore arrivo a guadagnare 10.000$ in un solo giorno.
Storie che ovviamente non rimangono confinate all’ambito degli sviluppatori, ma che diventano virali stimolando una nuova corsa all’oro. E infatti fu proprio allora che nacque l’ossessione per le app. Oggi ce la siamo un po’ dimenticata, per fortuna, ma negli anni successivi, parlo di quelli tra il 2010 e il 2015, c’è stata una vera e propria febbre delle app. Tutti volevano fare un’app, non esisteva azienda che non chiedesse di realizzarne una.
La stessa cosa successe con iPod, che al di là delle solite figaggini tecnologiche tipiche di Apple e di un’ergonomia davvero incredibile, aveva un solo fattore realmente abilitante per la vendita: iTunes. Che ci crediate o meno, quel pezzo di software (odiato da molti e devo dire anche a ragione), non solo permise a iPod di diventare un fenomeno di massa e di costume, ma trasformò per sempre l’intero mercato musicale.
Erano gli anni di Napster, della pirateria digitale della musica e le case discografie perdevano ogni giorno soldi senza capire come uscirne. La soluzione arrivo dal mondo della tecnologia, che propose un approccio nuovo, simile alla pirateria stessa, ma legale: scarichi quello che vuoi da internet, anche la singola canzone, solo che la paghi - di nuovo - 1 dollaro. Sappiamo tutti com’è andata poi.
Questa è stata la vera tecnologia abilitante di iPod: non la ghiera per la selezione dei brani - fighissima e comodissima, non c’è nulla da dire - e nemmeno l’hard disk con una capacità mai vista prima. La vera tecnologia abilitante di iPod fu iTunes e la possibilità di acquistare canzoni singolarmente, dove e quando volevi, a 1 dollaro.
Ma quale rivoluzione elettrica, l’automobile è nata elettrica
Se dovessimo pensare a un oggetto tecnologico che ha buonissime possibilità di cambiare per sempre le nostre vite e il nostro modo di spostarci e di viaggiare, non possiamo non pensare che sarà l’auto elettrica. L’auto elettrica è già una realtà, ma è ancora molto distante dall’avere quella diffusione che le permetterà di incidere seriamente sulle nostre abitudini e stili di vita.
La discussione sulla mobilità elettrica è molto polarizzante, è una cosa che scalda gli animi perché è stata cavalcata dalla politica e trasformata nell’oggetto del contendere per gruppi di persone che l’anno associata ad altre battaglie a loro volta molto polarizzanti, come quella ambientale ed ecologica. La politica poi ha fatto il resto, associandola alla perdita di posti di lavoro nell’industria (con una capacità sempre incredibile di trasformare un propri demerito - cioè quello di non aver previsto un fenomeno e quindi di aver legiferato in modo da assecondare il cambiamento e limitare i danni - in un proprio cavallo di battaglia).
L’auto elettrica, che ci piaccia o meno, è già il futuro. Lo è indiscutibilmente perché è nei piani dell’industria dell’automobile almeno da 10 anni ed trattandosi di piani a lungo termine, che guardano appunto a periodi molto lunghi, non c’è possibilità che si riconverta a breve. Anche perché c’è chi non è d’accordo con noi europei e non vede assolutamente di cattivo occhio la rivoluzione elettrica. Sto chiaramente parlando dell’Asia e della Cina in particolar modo, che sta galoppando alla grande sulla mobilità elettrica e non ha proprio nessuna intenzione di rallentare o fermarsi. I giochi, ormai, sono belli che fatti.
Ma chi pensa che l’auto elettrica sia una “rivoluzione” dei giorni nostri, si sbaglia di grosso. L’automobile è nata almeno anche elettrica. Il motore a scoppio poi ne ha limitato la diffusione, ma l’alternativa elettrica è sempre stata presente nella testa dei suoi creatori. Basti pensare a quel grandissimo genio di Ferdinand Porsche, colui che ha fondato uno dei marchi più celebri e famosi dell’intera industria, che nel 1900 progettò e presentò a Parigi due modelli di auto realizzati tramite l’austriaca Lohner-Werke. Si trattava del modello ibrido Lohner–Porsche “Mixed” (o “Mixet"), con quattro motori elettrici (uno per ruota) alimentati a gasolio, ma soprattutto del modello elettrico Lohner–Porsche “Chaise”, con due motori elettrici che muovevano le ruote frontali alimentati dalla batteria a sua volta spinta da un motore a gasolio.
Ancora prima di Porsche però ci fu Edison, che nel 1884 presentò al mondo un’autovettura completamente elettrica, spinta da un generatore piromagnetico alimentato da una batteria Nichel-Alcalina che risultava più leggera e compatta di quelle al piombo comunemente usate all’epoca. Questo modello di vettura elettrica arrivava a percorrere 170 km con una carica a una velocità massima di 40 km/h.
Il dibattito su quale tipo di propulsione fosse più indicata per le automobili rimase vivo per molto tempo, con molte opinioni divergenti: c’è chi sosteneva l’elettrico, chi la combustione o chi il vapore. La tecnologia abilitante, in questo caso, fu semplicemente la convenienza di quelli a combustione. Non certo i migliori o gli ideali, ma quelli che a un certo punto l’industria scelse per una serie di motivazioni strettamente pratiche e razionali.
Il sogno di una mobilità elettrica però non morì mai e infatti come non ricordare gli incredibili modelli elettrici lanciati da Fiat negli anni ’70. All’epoca venne realizzata addirittura un’intera gamma di auto dal nome “Elettra”. Ci fu la Panda Elettra, qualcuno di voi la ricorderà, alimentata da una batteria al piombo e da un motore da 9,2 kW a cui seguirono la Cinquecento e poi la Seicento Elettra.
Negli anni 90 arrivò anche Mercedes con la 190 E Elektro, alimentata da una batteria al cloruro di sodio e nichel che a loro volta alimentava due motori che fornivano 44 cavalli di potenza e che permettevano 250 Km di autonomia e una velocità massima di 130 km/h.
L’auto elettrica, cento anni dopo
Il tutto per arrivare ad oggi, dove cominciamo a vedere modelli dall’autonomia superiore ai classici modelli termici, con tempi di ricarica in alcuni casi comparabili e costi di gestione molto inferiori. Quale sarà la tecnologia abilitante in questo caso? Più di una, in realtà, ma tutte ruotano attorno alla batteria: sia alla sua composizione e dunque alla tecnologia che ne stabilisce densità e capacità; sia la gestione software, che ne regola tempi e modalità di carica e scarica. Entrambi questi fattori - batterie e software - sono indispensabili per realizzare quella trasformazione che è ormai scritta sulla roccia, ma che probabilmente vedremo soltanto nel prossimo decennio.
Ci sono state mille battaglie tecnologiche, nella storia degli ultimi cento anni, che hanno visto primeggiare non la tecnologia migliore, ma quella che, per una serie di motivi, ha vinto sull’altra. Il VHS sul Betamax, per dirne una, o la PlayStation sui suoi concorrenti storici, tanto per citare la macchina che ha cambiato per sempre il modo di videogiocare, che pochi giorni fa ha compiuto 30 anni.
Mi piace sempre fare un altro esempio preso dal mondo videoludico perché particolarmente significativo: quando nacquero le console portatili, una sola si impose sul mercato: il Gameboy di Nintendo. Il caso eccezionale fu che Gameboy era di gran lunga la più scarsa tecnicamente. Non solo era in bianco e nero, ma aveva una risoluzione bassissima e non era nemmeno retroilluminata.
Per giocarci bisognava cercare ogni volta una posizione diversa per avere la luce giusta senza i fastidiosi riflessi sullo schermo. Nel giro di pochissimo tempo uscirono console ben più potenti, a colori e pure retroilluminate, come Gamegear di Sega o Atari Lynx, senza citare quelle purtroppo uscite soltanto in Giappone. Ebbene, anche all’epoca la tecnologia abilitante fu soltanto una: la durata delle pile. E i giochi, ovviamente. Nintendo infatti aveva dalla sua un parco giochi invidiabile, che tuttavia fu ampliato da una massa di sviluppatori che accorsero perché Gameboy era di fatto la console con la prospettiva migliore, perché non ti costringeva a cambiare 6 pile stilo o ogni 4 ore.
Ogni volta che un dispositivo si impone sul mercato cambiandolo, succede perché c’è sempre una tecnologia (o sistema, o servizio, o circostanza) che lo rende il vincitore, quasi mai capita per i suoi meriti intrinsechi. Negli anni abbiamo visto un sacco di dispositivi rivoluzionari, dal potenziale dirompente, rimanere sugli scaffali a prendere polvere. C’è chi dà la colpa a un marketing non all’altezza oppure ad altri fattori come il prezzo o un momento storico sbagliato. Sono tutti fattori certamente validi e da prendere in considerazione, ma quando manca il fattore abilitante, allora il fallimento è certo.
Apple non è sempre stata maestra nel trovare le tecnologie abilitanti
Abbiamo aperto questa Insalata parlando di Apple, perché è l’azienda che ha saputo fare della sua capacità di trovare i fattori abilitanti il proprio cavallo di battaglia. Ma non è sempre stato così, se provate a studiare la storia dei dispositivi Apple troverete diversi fallimenti. Il Pippin - di nuovo una console da gioco - fu uno di questi. Ma ancora più eclatante fu il primo tablet dell’azienda, che non fu, come molti potrebbero pensare, iPad, bensì il Newton MessagePad 100.
Se il primo tablet di Apple vendette qualche decina di migliaia di pezzi, ben diverso fu il successo di iPad qualche decennio dopo. Cos’è cambiato nel frattempo? Di certo la tecnologia, ok, ma molto di più cambiava una cosa fondamentale: il sistema operativo e di nuovo l’AppStore, ora adattato a uno schermo più ampio che lo rendeva adatto a una moltitudine di nuovi utilizzi.
Apple sfrutta ancora oggi il suo ecosistema come tecnologia abilitante di una moltitudine di dispositivi che infatti, se non sbaragliano il mercato, quantomeno ne diventano protagonisti. Provate a pensare a Apple Watch, un dispositivo che non ha cambiato il mondo come iPhone, ma che nonostante ciò è diventato leader di un mercato che già esisteva e che tuttavia domina grazie all’integrazione stretta con tutto il suo ecosistema, che fa si che puoi rispondere alle telefonate che arrivano sul telefono, che puoi silenziare lo stesso telefono dal polso e via dicendo.
Le attuali battaglie per dominare il prossimo cambiamento epocale, la prossima gallina dalle uova d’oro, vedono sicuramente tre argomenti principali attorno ai quali ruoterà il futuro: l’intelligenza artificiale, la mobilità e la casa intelligente. Tutti e tre questi pilastri fondamentali per il nostro futuro poggiano su una base comune, che è l’energia e l’ambiente.
L’intelligenza artificiale può fare moltissimo in tutti i campi della scienza e sicuramente avere un impatto clamoroso sul nostro futuro, ma richiede quantitativi di energia enormi. La mobilità elettrica è fondamentale per abbatterete un certo tipo di emissioni, ma richiede una disponibilità di energia (sia a monte che all’interno di ogni autovettura) che oggi non è ancora allo stato ottimale. Infine la smarthome, che oggi vediamo soltanto come un giochino da usare per accendere le luci con i comandi vocali, rappresenta in realtà un potenziale cambiamento enorme nella riduzione e nell’ottimizzazione dei consumi energetici domestici.
Tutti e tre questi settori si influenzano e si intersecano tra loro. La ricerca sulle batterie e gli accumulatori infatti rappresenta una potente tecnologia abilitante per le case energicamente autosufficienti e per gli impianti fotovoltaici, per esempio. A sua volta l’intelligenza artificiale può essere fondamentale per gestire e controllare le fonti da cui prelevare energia a seconda del momento della giornata, della disponibilità di energia pulita o delle previsioni meteo.
Il clima, l’ambiente e le fonti energetiche, prima che un’emergenza saranno la più grande tecnologia abilitante del futuro e chi riuscirà a intercettarla e farla sua, avrà automaticamente vinto una delle prossime battaglie tecnologiche. E non solo.
» PENSIERI FRANCHI: 30 anni di Playstation e di una folle scelta industriale
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Qualche giorno fa PlayStation ha compiuto trent’anni. Un traguardo importante che ci dice una cosa precisa, cioè che chi all’epoca ha posseduto quella che sarebbe diventata un trend setter, oggi è ormai un adulto, in molti casi genitore di figli a cui no potrà che trasmettere, se non proprio l’amore per i videogiochi, quantomeno il fatto che il videogioco è una cosa normale, che fa parte della quotidianità domestica.
PlayStation è stata la console che ha portato i videogiochi ben oltre il suo segmento di mercato. Negli anni siamo arrivati a chiamare PlayStation quello che PlayStation non era. In qualche modo il nome della console Sony è diventato sinonimo stesso di videogiochi. Così come anni prima il Walkman - curiosamente della stessa azienda, ma vedremo nell’approfondimento che non è così strano che ci siano poche aziende, sempre le stesse, dietro diversi casi esemplari - è diventato sinonimo di lettore di cassette (o mangianastri) portatile.
PlayStation ha segnato un’epoca, espanso un mercato che esisteva ma che non era paragonabile per dimensioni e diffusione. Mi sono trovato pochi giorni fa a parlarne nelle Chiacchiere di Insert Coin, ricordando come su PlayStation uscirono giochi di qualsiasi cosa, persino di “Chi vuol essere miliardario”, trasmissione condotta da Gerry Scotti molto popolare in quegli anni. Così PlayStation diventava un sistema di intrattenimento (d’altronde lo diceva il nome, “Play” e “Station” indicavano proprio un dispositivo per l’intrattenimento) per tutta la famiglia e non era così raro trovarsi ad accenderla dopo una cena tra amici, per sfidarsi con qualche esperienza multimediale che di videogioco aveva poco.
La storia di PlayStation però ci racconta anche altro, e vorrei che fosse questo il succo di questi Pensieri Franchi. Ci racconta una storia di coraggio e competizione aziendale, con un pizzico di follia giapponese. Sony infatti era fornitrice di componenti per Nintendo, il colosso di videogiochi che dominava, insieme ad altri protagonisti, un mercato che all’epoca era prettamente giapponese (vedi Sega, ma anche NEC, Bandai, ecc.).
Sony, col marchio PlayStation, doveva essere inizialmente un eccessorio per il Super Nintendo, la console a 16 bit di Nintendo. Se cercate in rete non faticherete a trovare le foto di un lettore CD che si posizionava sotto al Super Nintendo e che riportava non solo il logo Sony, ma addirittura il logo PlayStation.
Le due aziende però avevano una visione molto differente dell’approccio al mercato, un approccio che del resto conservano tutt’oggi: più aperto al mercato la prima, Sony, e più conservativo la seconda, Nintendo. Posso immaginare, senza saperlo, che il terreno di scontro fosse proprio il CD, perché Nintendo è sempre stata riluttante all’uso di un supporto facilmente violabile (leggasi “piratabile”) e infatti non l’ha mai sposato. L’unica console ad averne uno fu il Gamecube, che tuttavia impiegava un formato proprietario.
Sony invece fece della facilità e della diffusione del CD una sua arma, che certamente contribuì a far diffondere PlayStation oltre ogni aspettativa. In ogni caso, pensare di separarsi dal più grande produttore di videogiochi per lanciarsi in un mercato completamente nuovo non solo per Sony, ma anche per il mondo intero (le console domestiche erano appena alla seconda generazione e la crisi del 1983 era ancora fresca, per cui il mercato videoludico era qualcosa di tutto fuorché solido), deve essere vista dagli amministratori di Sony come una totale follia. Tra l’altro separarsi da Nintendo per produrre una console a marchio proprio significava di fatto mettersi contro Nintendo, che era un colosso del settore, non solo nella produzione di hardware e videogiochi, ma anche nella distribuzione.
Sony poteva quindi continuare a fornire componenti a Nintendo e sfruttare la sua forza e la sua penetrazione sul mercato per sviluppare un settore industriale in cui era già forte e consolidarsi quindi come principale fornitore di componenti e invece decise di voler correre da sola, entrando in un mercato completamente sconosciuto. Un mercato anche nuovo, che già pochi anni prima aveva visto un crack molto importante che aveva compromesso una delle più importanti aziende protagoniste: Atari. E tutto questo, Sony ha deciso di farlo di fatto andando contro quello che era leader di mercato e suo cliente.
Eppure, contro ogni previsione - basta leggere gli articoli di quegli anni che vedevano PlayStation come l’ennesimo tentativo di un’azienda esterna al mondo dei videogiochi di prendersi una fetta - Sony non solo si impose sul mercato, ma ne conquistò la fetta più grande, diventato essa stessa sinonimo di videogioco. Imprimendo nella testa di tutti il solido binomio PlayStation/videogioco.
Una storia dunque di apparente follia strategica e industriale. Un coraggio che forse, ai nostri giorni, non ci capiterà più di vedere in aziende di queste dimensioni. O forse sì. Ma in ogni caso, buon compleanno PlayStation e buon compleanno a noi, eterni adolescenti che ancora oggi non rinunciamo a una partita tra un’impegno di lavoro e uno familiare.
Franco A.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
» Internet lento? Dal 2025 la connessione in rame costerà il 10% in più
Un emendamento presentato dalla maggioranza di governo potrebbe aggiungere una tassa del 10% sulle connessioni Internet basate su rete in rame, come Adsl e misto fibra, dal 1° gennaio 2025. L’obiettivo è accelerare la transizione verso la fibra ottica, destinando i fondi raccolti a progetti per migliorare la banda ultralarga. Tuttavia, la misura ha sollevato polemiche: l’AIIP la definisce "irragionevole", sostenendo che penalizzi chi è costretto a usare connessioni in rame per mancanza di alternative. Anche Azione critica l’iniziativa, definendola una "beffa" per chi non ha accesso alla fibra ottica.
[Fonte: Wired]
» OpenAI lancia ChatGPT Pro: 200 dollari al mese per prestazioni premium
Durante il primo giorno della "dodici-giorni di annunci", OpenAI ha presentato il nuovo piano ChatGPT Pro al costo di 200 dollari al mese. L’abbonamento sblocca funzionalità avanzate per il modello o1, ora uscito dalla fase di anteprima, promettendo maggiore velocità, precisione e potenza computazionale. Ideale per compiti complessi, il piano Pro include anche accesso ai modelli GPT-4o e alla Modalità Vocale Avanzata.
[Fonte: DDAY.it]
» "My First Gran Turismo": prova gratuita di Gran Turismo 7 su PS5 e PS4 dal 6 dicembre
Dal 6 dicembre è disponibile gratuitamente "My First Gran Turismo" su PlayStation Store per PS5 e PS4. Questa versione offre un'anteprima di Gran Turismo 7, permettendo di guadagnare patenti e sbloccare fino a 18 auto, trasferibili al gioco completo. Include modalità come Music Rally, prove a tempo e sessioni di test. Il download richiede 15 GB su PS5 e 12 GB su PS4, con supporto per PlayStation VR2.
[Fonte: DDAY.it]
» Amnesty denuncia: la filiera delle batterie viola i diritti umani, produttori di auto elettriche sotto accusa
Amnesty International ha valutato gli sforzi di 13 produttori di auto elettriche per garantire che i materiali delle batterie siano ottenuti rispettando i diritti umani. Nessuno ha ottenuto la sufficienza: Mercedes e Tesla sono le migliori, con rispettivamente 51 e 49 punti su 90, mentre BYD è la peggiore con 11 punti. L'ONG denuncia gravi violazioni nei siti minerari, come sfratti forzati e inquinamento, chiedendo alle aziende di garantire filiere più etiche.
[Fonte: Amnesty]
» Stellantis e Zeta Energy insieme per sviluppare batterie Litio-Zolfo: novità in vista per le auto elettriche
Stellantis rafforza la sua strategia di elettrificazione con un accordo con Zeta Energy per lo sviluppo e la produzione di batterie Litio-Zolfo. Queste promettono una densità energetica fino a 500 Wh/kg, maggiore autonomia, e utilizzo di materiali abbondanti come lo zolfo, eliminando elementi critici come nichel e cobalto. L’obiettivo è integrare questa tecnologia nelle elettriche Stellantis dal 2030, riducendo significativamente le emissioni di CO2 e migliorando le prestazioni dei veicoli.
[Fonte: Dmove.it]
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.