Forse, leggere e scrivere è diventato inutile
Leggere e scrivere serve ancora? Oppure sono attività superate da strumenti più veloci e multitasking? Una riflessione tra dati, tecnologia e memoria.
Se ora vi citassi il dato di ISTAT secondo cui gli italiani leggono sempre meno, tutti saremmo concordi nel biasimare questo dato, pensando che un mondo di gente che non legge è un mondo destinato a finire male. Seguirebbero poi i vari “signora mia dove andremo a finire”, “tutta colpa dello smartphone”, “i giovani non hanno più voglia di fare niente” e via dicendo.
Leggere e scrivere, oggi più che mai, costa fatica, perché esistono mille sistemi che permettono di essere più veloci, più efficienti, più pratici. Già, più efficienti perché anziché scrivere un messaggio testuale, per esempio, posso mandare un messaggio vocale mentre cammino, lavo i piatti o faccio qualsiasi altro genere di attività. Vi ricordate l’ossessione per la produttività di cui parlammo tempo fa? Ecco, ormai ci è entrata talmente dentro che troviamo indispensabile fare due o più cose assieme, ma andiamo avanti.
L'ossessione per il lavoro e il mito della produttività, in Italia (ad agosto)
Tempo stimato per la lettura: 11 minuti
Leggere e scrivere, oggi che ci sono tanti sistemi alternativi, è diventato quindi faticoso. Devo scegliere di leggere un libro, così come devo scegliere di scrivere qualcosa. Io stesso ho affiancato a questa newsletter un podcast, per poter dar modo a chi non ha possibilità, tempo o voglia di leggere, di fruire comunque di quello che ho da dire in un’altra forma. Già, perché oggi esistono i podcast che si sono ampiamente diffusi su tutti i dispositivi. Così un podcast lo puoi ascoltare mentre fai sport, mentre guidi e mentre fai le faccende di casa. Di nuovo: mentre fai altro.
La lettura e la scrittura, in effetti, sono attività esclusive. O fai quello o non lo fai. Non puoi fare altro mentre scrivi o leggi. Sì, magari puoi ascoltare della musica, ma lo farai per avere un sottofondo, non per concentrarti su quello che stai ascoltando. Tutti i mezzi di comunicazione moderni, fateci caso, sono multitasking (altro neologismo tecnologico). Fare più cose insieme, l’ossessione dei tempi moderni.
Guardi la TV? Scorrono delle informazioni in “pancia”, nella parte bassa. Consulti i social o un sito web? Ti si aprono banner da tutte le parti che tentano di catturare la tua attenzione. E comunque, anche se quello che stai facendo è qualcosa di monotasking, come leggere un libro, c’è sempre l’immancabile notifica che arriva a pretendere un po’ di attenzione.
L’attenzione, già, il vero e unico bene prezioso dei tempi moderni a cui le aziende ambiscono più di qualsiasi altra cosa. Perché il cervello, che ci piaccia o meno, non è multitasking. Ne segue che soltanto chi riesce a strappare un attimo d’attenzione esclusiva, per quanto breve, potrà giocarsi la carta del far passare il messaggio attraverso le nostre sinapsi. E se è molto fortunato (o molto bravo), quel messaggio sedimenterà nella nostra memoria, ottenendo il premio sperato.
Per tutti questi motivi - l’esistenza di mezzi più veloci, più pratici, meno esclusivi - mi sono chiesto se la perdita di interesse per la scrittura e la lettura sia davvero da leggere come un peggioramento culturale delle nostre abitudini oppure - faccio fatica persino a scriverlo - non sia una normale evoluzione dell’essere umano.
Attenzione, non sto sostenendo una tesi. Tutt’altro: ho strutturato questa Insalata Mista per fornire prove a sostegno di una tesi e dell’altra. Anzi, da amante della scrittura (nonché autore di questa newsletter che va avanti ormai da due anni e mezzo), non posso che stare dalla parte di chi sostiene la lettura e la scrittura a tutti i costi. Ma non è che invece, per qualche motivo, stiamo assistendo a un cambio epocale come quelli che nella storia cambiarono definitivamente e ripetutamente costumi e cultura popolare?
Voglio dire: una volta si andava a cavallo e si usava carta e calamaio. Nei secoli abbiamo modificato il nostro modo di vivere in comunità, il nostro modo di spostarci, di viaggiare, di informarci. Non potrebbe essere che anche l’eliminazione di lettura e scrittura (non al 100%, sia chiaro) sia in realtà un passaggio obbligato verso una società del futuro che trarrà informazioni, nozioni e storie dal mix di strumenti che ci sono oggi a disposizione?
Forse non è decadenza. Forse è evoluzione
Leggere e scrivere, un tempo, erano l’unico mezzo per comunicare e informarsi. Oggi non lo sono più, soppiantati da metodi più semplici da usare, più veloci e, come dicevamo, meno esclusivi. Dunque, l’attività di leggere e scrivere si potrebbe pensare che sia destinata a diventare un’attività da élite culturale, non più attività di massa.
Questo non perché siamo peggiorati o diventati più ignoranti, ma perché sono cambiati i modi in cui possiamo fare quello che una volta facevamo con la lettura e la scrittura. Cioè, per esempio, informarci e comunicare. I podcast, i video brevi, gli assistenti vocali, le interfacce conversazionali: tutto punta a ridurre l’attrito, a rendere fluida la comunicazione, anche a costo di sacrificare la parola scritta.
Secondo il report Ofcom del 2023, i giovani tra i 18 e i 24 anni passano in media oltre 4 ore al giorno sui social, dove il testo scritto è ridotto al minimo e gran parte del tempo viene speso tra video e audio. Male? Bene? Chi può dirlo. Intanto però il dato di fatto: c’è un’alternativa al libro e alla scrittura ed è così facile da utilizzare che sarebbe folle non coglierlo.
Il Digital News Report 2024 del Reuters Institute (pozzo di informazioni interessanti) rileva che solo il 22% delle persone sotto i 35 anni sceglie ancora le “notizie scritte” come forma primaria di informazione.
Anche nel mondo del lavoro, la scrittura è sempre più delegata: dalle email “smart reply”, ovvero quelle che si compongono da sole con un clic sul suggerimento, all’AI che redige report, verbali, messaggi. E se un algoritmo può farlo per me, perché imparare a scrivere bene?
Davvero, so che suona un po’ provocatoria, ma perché se c’è qualcosa che può fare un compito ripetitivo al posto mio, devo a tutti i costi farlo alla vecchia maniera? Per caso disegniamo ancora i cerchi a mano o lavoriamo il metallo con gli utensili anziché con le macchine di precisione? L’evoluzione è anche contornarsi di protesi - automatiche, robotiche, intelligenti - che facciano meglio e più in fretta quello che una volta facevamo noi con le nostre mani e pochi utensili rudimentali.
Per caso qualcuno si è offeso quando siamo passati a usare laser e altri strumenti di precisione millimetrica nella medicina? Immagino di no, si trattava di uno step evolutivo che ci ha permesso di arrivare lì dove l’uomo e le sue mani non sarebbero riuscite ad arrivare, se non facendo enormi danni. Quindi perché lo stesso non può valere per la lettura e la scrittura?
In fondo, la civiltà orale è durata molto più di quella alfabetica, e oggi stiamo forse tornando — sotto nuova forma — a un mondo dove le storie si ascoltano, le decisioni si dettano, le emozioni si mostrano, non si scrivono.
E se tutto ciò non fosse una perdita, ma una trasformazione necessaria per vivere in un mondo più veloce, inclusivo, interconnesso?
Cambia la forma, non cambia la sostanza
Eppure, proprio perché tutto è diventato veloce, sfuggente, sovrastimolato, la lettura e la scrittura rimangono le uniche attività che rallentano il pensiero e lo rendono profondo. Sono gli unici momenti di “esclusività” che concediamo al nostro cervello. Un compito che non richiede di stare attenti a dieci cose contemporaneamente, ma che ci chiede di fare una cosa soltanto: leggere e capire quello che stiamo leggendo.
È un atto silenzioso, intimo, spesso invisibile agli altri, ma potentissimo. Un atto che ci costringe a un tempo diverso, più lungo, meno frenetico. In un certo senso, leggere è l’ultimo gesto di resistenza in un mondo che ci vuole sempre connessi e accelerati. Ed è proprio in questa lentezza forzata che il cervello si riorganizza, che l’introspezione trova spazio, che la memoria a lungo termine si attiva, che le emozioni hanno il tempo di sedimentare. È un po’ come lo slow-food, che afferma il principio della lentezza come valore positivo a cui ambire per elevare il valore di quello che stiamo facendo.
La neuroscienziata Maryanne Wolf, autrice tra le altre cose del volume “Reader, Come Home: The Reading Brain in a Digital World” (esiste anche in Italiano e lo potete trovare qui, su Amazon) ha studiato per decenni l’impatto della lettura sul cervello umano: leggere un libro richiede uno sforzo cognitivo che attiva la memoria, l’empatia, la comprensione del tempo e la capacità di sospendere il giudizio. In “Reader, Come Home” avverte: stiamo perdendo la capacità di deep reading, cioè di leggere lentamente, criticamente, con attenzione sostenuta — e questo incide sulla nostra democrazia, sulla capacità di decidere, di dissentire, di immaginare alternative.
La sua analisi, scritta in forma di lettere al “Lettore”, è tanto personale quanto scientifica: Wolf mostra come il cervello, esposto quotidianamente a contenuti digitali frammentati, stia modificando le sue connessioni neuronali. Le aree una volta dedicate alla lettura profonda stanno cedendo spazio a connessioni più rapide, superficiali, funzionali alla navigazione e all’interazione rapida. Si guadagna in accesso e velocità, ma si perde qualcosa di più sottile e prezioso: la capacità di fermarsi a pensare, a immaginare, a capire l’altro.
Scrivere, poi, è pensiero in forma visibile. Se non scriviamo, probabilmente non riusciremo ad argomentare, a spiegare, a memorizzare e di conseguenza a ricordare. Chi scrive sviluppa una struttura mentale più ordinata, più consapevole. Forse chi scrive bene, in genere, pensa anche bene. Non a caso si dice: se non riesci a scriverlo, non l’hai capito davvero.
Il PISA report 2022 ci mostrava come le competenze di lettura tra i 15enni siano in forte calo in gran parte dei paesi OCSE. In Italia, il 51% non raggiungeva il livello minimo per comprendere un testo complesso, ne parlammo anche in una vecchia Insalata. Comprendere un testo complesso non significa soltanto aver difficoltà a leggere un libro o a studiarne un altro. Riguarda, al contrario, i diritti fondamentali di un essere umano. Il diritto di capire un contratto, un bugiardino medico o un programma elettorale. Il diritto di difendersi, di comprendere cosa si firma, di partecipare consapevolmente alla vita pubblica.
La lettura e la scrittura, quindi, non sono e non diventeranno mai un hobby per nostalgici: sono ancora tecnologie cognitive insostituibili, capaci di strutturare il pensiero, di formare cittadini. Anzi, forse oggi più che mai, sono diventate una barriera tra chi può capire e chi è destinato a rimanere fuori dal gioco.
Forse leggere e scrivere serve ancora. O forse serve tornare alle attività esclusive
Come spesso accade, la verità non sta né da una parte né dall’altra. Stiamo assistendo a un cambio di paradigma, in cui leggere e scrivere non spariranno, ma diventeranno qualcosa di più simile a una competenza strategica, da coltivare consapevolmente. Forse diventeranno addirittura, ancora più di adesso, elemento di discriminazione sociale. Chi potrà farlo e avrà le capacità cognitive per comprendere i testi complessi o esprimere i propri pensieri in forma scritta avrà più chance di chi, inevitabilmente, non sarà in grado di farlo (ma in fondo non è già così?).
Il rischio è che si crei un’élite di “lettori e scrittori competenti” e una massa di “fruitori passivi”, che si affidano a contenuti preconfezionati, video semplici, risposte vocali, notifiche automatiche.
Oppure rimarrà tutto uguale, ma ciò che cambierà sarà il perché e il come. Leggeremo forse meno libri, ma più contenuti multiformato; scriveremo meno con la penna, ma dovremo capire come dare istruzioni a una macchina, come scegliere le parole giuste per farci capire e ottenere il risultato migliore. Perché anche le chat basate su intelligenza artificiale - anche questo lo scrivemmo qui su Insalata Mista - producono risultati rilevanti soltanto se ci esprimiamo nel modo più comprensibile possibile. E quindi, in quel contesto, la precisione delle parole sarà ancora più importante di prima.
E forse è proprio questo il punto: non si tratta di difendere il testo scritto, ma di reinventarne il senso. Di non togliere profondità a un’attività profondamente introspettiva e cognitiva. Voglio dire: se anziché scrivere di mio pugno questa Insalata la facessi scrivere a un’IA, ma soltanto dopo aver fatto una ricerca seria e scrupolosa e averle dato in pasto un prompt molto preciso, corredato di dati e informazioni, probabilmente avrei ottenuto lo stesso risultato a livello cognitivo che avrei ottenuto scrivendola interamente a mano. Il valore, insomma, starebbe nella riflessione che precede, non nel gesto tecnico in sé.
Ma è indubbio che leggere e scrivere servano ancora, eccome. Solo che serviranno in modi nuovi, in contesti nuovi, con strumenti nuovi. E noi, nel frattempo, possiamo scegliere se restare lettori, o diventare lettori di nuove forme. Persone capaci di decifrare un contenuto scritto, certo, ma anche di metterlo in relazione con i tanti altri mezzi di cui la tecnologia ci ha contornato. In fondo, leggere e scrivere sono attività alla base di tutto questo, non banali alternative.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Buongiorno Franco.
Ho 58 anni, vecchia scuola, leggo e scrivo, grazie anche al mio lavoro mi mantengo allenato sia nelle comprensione dei testi e sia nelle risposte che devo dare.
Devo ringraziare mio papà se mi piace leggere perchè fin da piccolo mi ha abituato a leggere libri ma sorattutto quotidiani, poi insieme commentavamo le notizie, questo ha sviluppato in me un forte senso critico che poi in età adolescenziale - ovviamente - è diventato contrasto, ma sempre dentro i confini della "normalità" all'interno di una famiglia con un figlio po' rivoluzionario.
A me non piace troppo guardare reel su Instagram o video su YouTube, tendenzialmente - con le dovute eccezioni - mi annoiano e li trovo una perdita di tempo.
Penso che molti video che mi mandano gli amici siano artefatti; non c'è modo di provare o meno che siano veri e io non mi fido che lo siano, quindi parto sempre dal presupposto che siano fasulli e generati o ritoccati con l'AI.
Dicevo che sono vecchia scuola, quindi ho il bisogno di verificarne sempre le fonti, ma non ho tutta la giornata per farlo quindi se non sono video di argomenti specifici che mi interessano, evito di vederli.
Purtoppo ho notato che amici e conoscenti che guardano in continuazione video hanno perso la capacità critica, visto che gli algolitmi che orchestrano la visione ad un utente gli fanno vedere sempre video legati a "quell'idea" che solitamente è complottista o legata ad una visione “distorta” della realtà.
La cosa mi disturba molto soprattutto quando mi si dice che a prova di quello che dicono/guardano ci sono migliaia di video che lo testimoniano...per forza, se cerchi solo quello ti fanno vedere solo quello...eh...ma prova a spiegarglielo...
Il fatto di prendersi del tempo per leggere, rileggere, soffermarsi, ritornarwe indietro per capire meglio – chi lo fa con un video? - per capire chi sia l’autore, di certo ti fornisce una visione diversa del mondo e aumenta lo spirito critico, alimenta dubbi, perplessità e magari induce ad approffondire leggendo dell’altro di diverso.
Credo che siamo già di fronte ad una netta divisione tra la popolazione sempre più anestetizzata dalla fruizione di video più o meno idioti e da una minoranza, non ancora elitaria, che invece continua a leggere e scrivere; temo che questo porterà ad una sorta di dittatuta della maggioranza che terrà politicamente in scacco una minoranza più istruita e pensante che ad un certo punto e in qualche modo dovrà ribellarsi se non vorrà soccombere.
Insomma vedo tempi duri per la società e la democrazia così come la conosciamo e ho forti dubbi che l’AI – da come ora è usata - possa intervenire a nostro vantaggio.
Come sempre grazie per le tue belle newsletter.
Ivano