Molto spesso, quasi sempre, i dati mentono
La conferenza di fine anno ha dato lo spunto per discutere su alcuni dati che vengono utilizzati da governo e opposizioni a proprio piacimento. Si dice che i dati non mentano mai, ma è proprio vero?
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La parola di oggi: bias o bias cognitivo o distorsione cognitiva. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all'evidenza, sviluppata sulla base dell'interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio (da Wikipedia).
» PENSIERI FRANCHI: Rottamiamo i giovani
Mentre ci avviciniamo drammaticamente al primo compleanno di Insalata Mista, che non ha visto nemmeno una pausa durante queste 50 settimane ricche di informazioni, dati e riflessioni personali, mi trovo sempre più spesso a leggere le informazioni che mi passano davanti sui social e sugli altri mezzi con i quali mi informo, con un occhio diverso.
Le mie letture quotidiane non scorrono più così, senza altro scopo se non quello di informarmi su qualcosa, ma sono sempre lette e analizzate per capire se ci sono dei risvolti che potrebbero essere di interesse per il pubblico di Insalata Mista, che ormai conta più di 1300 iscritti.
Una volta, per esempio, avrei lasciato andare la notizia della rinuncia di Giuliano Amato - ex premier, ministro, senatore, deputato, ecc. ecc. - alla presidenza della “Commissione sull’Intelligenza Artificiale per l’Informazione” con, al massimo, un sorriso. Oggi invece mi fermo sulla questione e mi pongo delle domande che giro a voi.
Se mi seguite da un po’, nonostante abbia una forte passione e attenzione per la politica, sapete che non mischio mai le questioni personali alle questioni oggettive che mi piace trattare in questa newsletter. Perciò non commenterò il perché Amato abbia preso questa decisione in polemica con l’attuale presidente del consiglio. Mi concentrerò invece sul fatto che, all’epoca della nomina, quest’ultima fu accolta con non poche polemiche. Il motivo era l’età di Amato, 85 candeline spente nel 2023.
La stessa sorte è toccata al successore di Amato, cioè Paolo Benanti, che nella vita fa il sacerdote. Uno, a voler semplificare le cose, potrebbe dire:”Bene, prima un vecchio e poi un prete!”. E il sorriso spunta, c’è poco da fare, anche e soprattutto perché la commissione tratta temi di strettissima attualità scientifica/tecnologica. Però mi chiedo: siamo sicuri che la scienza e la tecnologia richiedano un prerequisito legato alla giovane età?
La commissione sull’intelligenza artificiale per l’informazione, anche detta “Commissione Algoritmi”, è una delle due commissioni create dal governo sul tema dell’intelligenza artificiale. La seconda è per la “Strategia nazionale sull'intelligenza artificiale”. Lo scopo delle due commissioni è radicalmente differente. Le prima infatti, quella che era presieduta da Giuliano Amato, si deve occupare: «Da un lato, la difesa del diritto d’autore, sulla quale la Commissione AI per l’Informazione farà le proprie osservazioni, che potranno costituire, tenuto conto della legislazione vigente, la base di una proposta normativa; dall’altro, la difesa dell’originalità del lavoro giornalistico e della responsabilità editoriale». A pronunciare queste parole era stato il sottosegretario Alberto Barachini, alla guida della commissione.
La commissione dunque non entrerà nel merito dei modelli di linguaggio, delle tecniche di predizione o dell’evoluzione delle reti neurali, bensì dovrà indagare sugli effetti di questi strumenti sul mondo del diritto d’autore e della riforma dell’Ordine dei giornalisti, di cui si sta parlando in questi giorni.
Il sostituto di Amato, il sacerdote Paolo Benanti, si occupa da molti anni di intelligenza artificiale ed etica delle tecnologie; si occupa inoltre di bioetica, neuroetica, etica delle tecnologie e intelligenza artificiale. Nel 2017 era stato incluso in un comitato sull’intelligenza artificiale dell’Agenzia per l’Italia digitale nel Governo Monti, e poi nel 2018 in un gruppo di 30 esperti incaricato dal ministero dello Sviluppo economico di elaborare una strategia nazionale sempre sull’intelligenza artificiale.
“Hai capito il prete?” direbbe l’uomo del popolo (cioè io). Già, forse prima di giudicare questi ruoli in base all’età o all’etichetta sociale che affibbiamo a certe figure, dovremmo indagare un po’. Perché forse la retorica dell’età, del “paese di vecchi”, ha un po’ stufato. Chi l’ha detto che i giovani, lo dico dall’alto dei miei “giovanissimi” 44 anni, siano più adatti a ricoprire certi ruoli?
Forse per il fatto che c’è di mezzo la tecnologia allora siamo portati a pensare che sia una questione da nerdoni incalliti con i chip sottopelle? Eppure, a illuminare il futuro della tecnologia, oggi ci sono uomini dalla grande esperienza e dalla non più giovanissima età, come Bill Gates, che di anni ne ha 68. Anzi, mi correggo, guai a mettere alla guida di questi comitati persone troppo giovani. L’entusiasmo giovanile su temi così eticamente delicati può rappresentare un pericolo. Le decisioni prese oggi su questi temi, si riverseranno sulle prossime generazioni e condizioneranno i prossimi decenni.
D’altronde, se vi trovaste sotto i ferri per un’operazione dalla quale dipende la vostra sopravvivenza, preferireste affidarvi a un chirurgo anziano, di comprovata esperienza, o a un giovane rampante che mentre armeggia con i ferri occhieggia lo smartphone?
Buona lettura.
Franco A.
» MENTIRE CON I DATI
In questi giorni mi hanno colpito due dati che ho letto sui giornali e sui social. Il primo riguardava la conferenza stampa del Primo Ministro (o Prima Ministra) e del fact-checking che diversi giornali hanno fatto, evidenziandone le storture (chiamatele bugie o come meglio preferite). La seconda è stato un tweet arrabbiato di Alessandro Gassmann contro chi evade le tasse.
Entrambe i casi mi hanno portato a pensare ai dati e a come una diversa interpretazione possa del tutto distorcere il risultato finale di un’analisi. Lo stesso set di dati, se messo in mani capaci, può essere utilizzato per sostenere una tesi o la tesi completamente opposta. Forse non vi sto dicendo nulla di particolarmente nuovo e originale, ma datemi un attimo di tempo e cercherò di darvi qualche informazione interessante a riguardo.
Riprendo un secondo i casi di cui parlavo. Parlando delle tasse, Giorgia Meloni ha sostenuto di non averle alzate. L’opposizione invece sostiene che l’abbia fatto, perché di fatto sono salite le accise sui carburanti, l’iva su pannolini e sugli assorbenti, etc. Si tratta però di uno “sconto” che non è stato rinnovato, quindi di fatto sarebbe più corretto dire che non si è continuato a tagliare certi tipi di tasse, piuttosto che dire che sono state sono alzate.
Di fatto, però, al consumatore che deve passare alla cassa del supermercato, una cosa risulterà: che i prodotti che ha acquistato costano di più. Chi ha ragione? L’evidenza è che alcuni prodotti costano di più, ma a cambiare è stato uno sconto temporaneo che oggi non c’è più. E come se considerassimo lo stipendio di gennaio più basso di quello di dicembre perché c’era dentro la tredicesima (per chi ce l’ha). Non è quello di gennaio a essere più basso, è quello di dicembre a essere più alto. Però, di nuovo, i fatti parlano di una busta paga con meno soldi.
Come si calcola l’evasione?
Gassmann, nel suo tweet che sposo fino all’ultima parola, se la prende con chi non contribuisce alla collettività evadendo il fisco e ha parlato di una cifra: 83 miliardi e mezzo. Mi è sembrata una cifra troppo bassa per rappresentare il totale dell’evasione del nostro paese che, ormai lo sappiamo, quando si parla di evasione è in pole position.
Perché ha parlato di 83,5 miliardi? E soprattutto: come fa lo Stato a calcolare qualcosa che, se non esiste, in teoria non dovrebbe essere calcolabile? Sono andato un po’ a fondo sulla questione e ho trovato un bellissimo documento, “RELAZIONE SULL’ECONOMIA NON OSSERVATA E SULL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA ANNO 2023” pubblicato sul sito del Ministero delle Finanze.
Ho imparato quindi che “evasione” è un termine molto generico e che in realtà il termine corretto sarebbe NoE, che sta per Non-Observed Economy, appunto “Economia non osservata”. All’interno di questo termine c’è un po’ tutto: le tasse non dichiarate, quella che chiamiamo comunemente “evasione”. Poi ci sono le tasse dichiarate ma non pagate; c’è l’elusione, che sfrutta le lacune o le ambiguità delle leggi fiscali per ridurre il carico fiscale. C’è poi il mancato versamento per il lavoro non in regola, ci sono gli affitti non regolari, il canone Rai e poi tutta una serie di atteggiamenti complicati da intercettare, come per esempio far lavorare un parente in una piccola attività familiare, senza regolarizzarlo perché magari non lavora a tempo pieno.
Insomma, l’evasione è un tema molto complesso che si studia con sistemi altrettanto complessi. Se vi interessa, il documento è pieno zeppo di dati. Tra questi, ho ritrovato anche il dato che citava Alessandro Gassman (e che deve essere finito su qualche sintesi di qualche giornalista). Si legge nel documento che:”per il triennio 2018-2020, per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni, il gap complessivo risulta di circa 96,3 miliardi di euro, di cui 84,4 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,9 miliardi di mancate entrate contributive”.
84,4 miliardi sono quindi le mancate entrate tributarie, l’evasione pura delle tasse non dichiarate, mentre 11,9 sono i mancati contributi versati per il lavoro dipendente. Avrete notato però anche voi la presenza del termine “gap”, che non è messo lì a caso. Infatti gli stati non ragionano in termini di “evasione” che, come abbiamo visto, è un concetto troppo ampio e scarsamente oggettivo. Al contrario, si tiene conto di un parametro, il tax-gap e la propensione al tax-gap. Ora cercherò di spiegare cos’è.
Il tax-gap non è altro che un parametro sintetico, espresso in percentuale, che identifica la differenza tra quello che lo Stato dovrebbe riscuotere e quello che effettivamente entra nelle casse. A questo tax-gap contribuiscono i fattori che dicevamo prima, vi faccio un breve elenco per chiarezza:
Evasione fiscale: È la mancata dichiarazione di redditi o la dichiarazione di redditi inferiori a quelli reali, portando al mancato pagamento delle tasse dovute.
Elusione fiscale: Si verifica quando individui o aziende sfruttano le lacune o le ambiguità nelle leggi fiscali per ridurre il loro carico fiscale, rimanendo formalmente all'interno dei limiti legali.
Inefficienze amministrative: Queste possono includere l'inefficacia nel riscuotere le tasse, l'inefficienza dei sistemi di monitoraggio e controllo, o l'insufficienza delle risorse dedicate alla riscossione fiscale.
Economia sommersa: Rappresenta l'insieme di attività economiche che sfuggono al controllo fiscale perché non vengono registrate o dichiarate.
Lo scopo di ogni Governo, attraverso Agenzia delle Entrate, delle Dogane, Guardia di Finanzia, l’Ispettorato del lavoro e molti altri, è quello di abbassare questa percentuale. Più è basso il tax-gap, più lo Stato (e quindi il Governo pro tempore) sta facendo un buon lavoro.
Già qui possiamo notare una prima falla: avrete letto il titolo di questa Insalata e quindi saprete dove voglio andare a parare. Questi stessi dati sul tax-gap possono dirci due cose opposte, a seconda di quello che vogliamo leggerci. Se il goal alla fine è uno soltanto, cioè quello di abbassare questa percentuale, si potrebbe ottenerla anche azzerando del tutto l’evasione contributiva (quella sul lavoro), ma nel tempo stesso allentando i controlli sull’evasione tributaria, cioè la mancata dichiarazione.
Seguitemi: abbiamo detto che la media del triennio 2018-2020 è stato di 84,4 miliardi per l’evasione tributaria e 11,9 miliardi per quella contributiva. Il totale fa 96,3 miliardi. Se io portassi l’evasione contributiva a zero e contemporaneamente lasciassi salire quella tributaria a 90 miliardi, potrei dire che il tax-gap, il cui totale sarebbe di 90 miliardi, è sceso di circa il 7%, dichiarando il vero. Potremmo stappare champagne e gridare a un grandissimo risultato, ma la verità e che l’evasione, quella propriamente detta, sarebbe cresciuta un bel po’ (un po’ più del 6%). In definitiva, l’evasione sarebbe scesa del 7% o cresciuta del 6%? Difficile dirlo.
L’evasione è scesa, anzi è salita
Ora prendiamo i dati reali, perché per un caso quasi fortuito, nel documento del Ministero si presenta proprio un caso simile. Si dice infatti che “Appare, dunque, confermata la tendenza alla contrazione dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale nel medio periodo, a beneficio dell’efficienza e dell’equità dell’intero sistema economico con conseguenti impatti positivi sulla finanza pubblica”. Perché in effetti la propensione al tax-gap (ovvero la propensione all’evasione in genere) è passata dal 21,2% del 2016 al 17,2% del 2020.
Continuo dal documento:"Il presupposto è il calcolo della riduzione del tax gap “riferita al terzo anno precedente alla predisposizione della legge di bilancio”. Questo calcolo si basa sul confronto tra il tax gap del 2020 (che è appunto il terzo anno precedente il 2023) e il tax gap del 2019, a parità di base imponibile potenziale”.
Ebbene, nonostante l’economia sommersa sia definitivamente in calo (una percentuale è una percentuale), passando dal 11,2% del PIL nel 2017 al 9,5% nel 2020, si può davvero non considerare il contesto? Nonostante tutti i calcoli tengano conto delle dinamiche inflazionistiche, c’è un dettaglio importante che riguarda il 2020: eravamo in piena pandemia e molte attività erano chiuse. Se sei chiuso, non lavori e dunque non fai nemmeno nero. Non fai lavorare gente in nero. Dunque come si sgonfia l’economia reale, si sgonfia anche quella sommersa, da qui il calo in percentuale rispetto al PIL. Ma andiamo a guardare alcuni valori specifici dell’IRPEF per il lavoro autonomo, per esempio:
Se esprimiamo questo valore in termini di milioni di euro, otteniamo un calo, che è coerente con i dati analizzati fino a qui. Da 32 miliardi del 2019, se si sommano le imposte non dichiarate e quelle non versate, si scende a 28 nel 2020. Poi, appena più in basso, c’è il dato in percentuale rispetto al potenziale, e allora scopriamo che il tax-gap (potenziale) in realtà è salito dal 69,2% al 69,7%.
D’accordo, ho preso soltanto un valore dei tanti, quello dell’IRPEF dei lavoratori autonomi, ma quello che sto cercando di dire non è tanto se il Ministero ha ragione o meno a parlare di calo, quello c’è stato evidentemente e i calcoli del Ministero sono sicuramente giusti, piuttosto quanto si potrebbe sbandierare questo dato in un modo o nell’altro. Se fossi un membro del governo potrei dire che l’evasione dell’IRPEF in proporzione al PIL è calata dall’1,8% all’1,7%. Se fossi un membro dell’opposizione potrei dire che l’evasione dell’IRPEF potenziale è cresciuta dal 69,2% al 69,7%. Chi avrebbe ragione? Entrambi, ovviamente.
Mentire con le statistiche
C’è un testo del 1954 che ormai è diventato più religioso che scientifico. Si intitola "How to Lie with Statistics” ed è stato scritto da Darrell Huff, che non è uno statistico o un matematico, bensì un giornalista. Nonostante ciò, riporto da Wikipedia: “Presentato ironicamente dall'autore come «una specie di breviario su come usare le statistiche per ingannare», il libro è in effetti un brillante corso di autodifesa contro distorsioni e manipolazioni dell'informazione attraverso l'uso di dati statistici, e appartiene a tutti gli effetti al genere della divulgazione scientifica.
Pubblicato per la prima volta nel 1954, ha venduto nella sola edizione inglese più di mezzo milione di copie, diventando il testo sulla statistica più letto di tutti i tempi.
Nel corso degli anni, molte edizioni si sono succedute, in inglese come in altre lingue. Nel 2003, la prima edizione cinese è stata pubblicata dal Department of Economics of Shanghai University. Nel 2005, in occasione del cinquantesimo anniversario della prima edizione, il prestigioso Institute of Mathematical Statistics ha dedicato al libro di Huff una sezione speciale della sua rivista”.
Ecco, vi faccio un rapido sunto di quello che Huff descrive in maniera molto chiara nei vari capitoli. Le statistiche e più in generale i dati, possono mentire in diversi modi. Per esempio costruendo male il campione e selezionando male i dati. Questa è la madre di tutti gli errori, che può essere casuale o anche voluta. In ogni modo, i dati daranno un risultato non corretto.
Si può decidere di omettere certi dati e mostrarne solo altri. Per esempio se fornisco il numero degli omicidi avvenuti in un territorio senza mettere questo dato in relazione con gli anni passati o in percentuale rispetto alla popolazione, per esempio. Pensate soltanto a quando si parla di immigrazione: si parla sempre di ingressi irregolari ma in pochissimi citano quanti poi effettivamente escono (sempre in maniera irregolare). Sarebbe interessante sapere quanti rimangono, insomma, piuttosto che sapere quanti sono di passaggio.
Utilizzare un campione troppo piccolo! Questo è un altro metodo molto utilizzato per manipolare i dati. Una volta Beppe Grillo fece una battuta molto efficace, citando non so più quale ministro o governante. Cerco di riportarla come posso, sicuramente sbagliato. Il concetto era: se annuncio il raddoppio delle corsie di una strada che passerà da due a quattro, dichiaro che aumenterò le corsie del 100%. Poi però, se questo raddoppio non avviene, dichiaro di aver rivisto il progetto diminuendo l’obiettivo tagliandolo del 50% (da 4 a 2 corsie). Dunque avrò comunque fatto il 50% del lavoro, senza aver fatto in realtà niente.
La realtà non è evidentemente così e sicuramente non ho nemmeno riportato correttamente la battuta, ma capite come, con un campione molto piccolo, si fa in fretta a parlare di percentuali di crescita o decrescita importanti, no?
Si possono poi usare i grafici a proprio piacimento. Pensate soltanto quanto si può mentire variando la scala, e quindi facendo apparire una crescita o una decrescita molto maggiore ottenendo colonne di dimensione completamente differente.
Nell’ultimo capitolo, Huff ci dà una serie di strumenti per combattere il vero nemico nell’analisi statistica dei dati: il bias, ovvero il pregiudizio nella raccolta e nell’analisi del dato.
Scrive Huff:«La prima cosa da scovare è il pregiudizio: il laboratorio con qualcosa da dimostrare per supportare una teoria, la reputazione o una tassa; il giornale il cui scopo è ottenere una buona storia; un lavoratore o un manager con un livello salariale in gioco».
Che cosa ci sta dicendo Huff? Che la prima cosa da fare è diffidare delle statistiche offerte da chi ha un interesse in gioco. Di stare attenti ai bias consapevoli, ma soprattutto a quelli inconsapevoli, che sono spesso ancora più pericolosi perché difficili da individuare (proprio perché non intenzionali).
Insomma, la tecnologia ci ha abituato a lavorare con i dati, anzi con i big data, che sono soltanto una delle possibilità che il progresso tecnologico ci ha offerto. Lavorare con una grande mole di dati permette di essere più precisi, di arrivare a risultati migliori e di avere una conoscenza più specifica dei fenomeni.
Al tempo stesso, però, oggi che stiamo spingendo tanto sul pedale dell’evoluzione delle intelligenze artificiali, addestrate analizzando enormi quantità di dati, bisogna stare molto attenti ai dati stessi che vengono dati in pasto a questi enormi modelli di apprendimento. Se il dato è viziato all’origine, non potremo che ottenere un risultato ancora più distante dalla realtà. Se addestro i modelli di linguaggio con notizie false, non potrò che ottenere risposte altrettanto false alle mie domande.
E dunque, al termine di tutta questa chiacchierata, mi chiedo: siamo sicuri che non fosse più adatto un signore di 85 anni alla guida di una commissione sull’intelligenza artificiale piuttosto che un giovane? Non entro nel merito della persona in sé, non sto parlando di Giuliano Amato, sto parlando invece del sorriso che nasce spontaneo sul muso di chi, come me, legge la notizia di un uomo anziano legato alla punta di diamante di una tecnologia, che però ha risvolti etici non indifferenti. Ecco, torno a chiedervi: di fronte a un intervento vitale, scegliereste il chirurgo anziano o quello giovane?
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Il New York Times parla questa volta di Cinepanettone, tra l’altro per mano di un giornalista non italiano, mettendo in copertina una bella immagine di Jerry Calà mentre suona e canta.
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Il tasto lancerà direttamente l'assistente, che quindi sarà ancora più facile da invocare e utilizzare. Ne avevamo già parlato in una precedente Insalata, ma questo strumento rischia veramente di cambiare il PC come l’abbiamo visto e utilizzato fino ad oggi.
» FIAT Topolino, da 39€ al mese dai 14 anni in sù
È finalmente disponibile il leasing col quale sarà possibile acquistare la nuova Fiat Topolino, auto elettrica basata sulla Citroen Ami, con 47 rate da 39€ al mese e anticipo di 2.582,70 euro. È previsto naturalmente un valore di riscatto di 4.170,92 euro e un quantitativo di 5000 Km annui, al superamento dei quali bisognerà pagare 5€ ogni 100 Km.
È importante come Fiat Topolino può essere guidata già a partire dai 14 anni con la patente AM, che vale per la guida dei ciclomotori a due ruote di cilindrata inferiore o pari a 50 cm3 o quadricicli leggeri la cui massa a vuoto è inferiore o pari a 350 kg.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Se non sbaglio è di Huff una citazione che mi ripeteva sempre una mia collega anni fa: "Se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi". Avendo spesso avuto a che fare con i dati per lavoro, non posso che confermare e congratularmi con te per questa ottima puntata.
PS: su padre Benanti avevo avuto anche io una reazione spiazzata, ma per fortuna sono incappato in un post su Threads che faceva un po' di chiarezza sulla sua figura. Questo per dire che i bias sono sempre dietro l'angolo 😉