Come si fa a discutere con un cretino?
In questi giorni leggiamo e ascoltiamo continuamente di dichiarazioni folli fatte sempre a favore di telecamera. Cosa c’è realmente dietro? E come si fa a negoziare con chi non vuole farlo?
Conoscerete anche voi il celebre aforisma di Oscar Wilde che dice «Non discutere mai con un idiota: ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza», eppure ci sono mille contesti della vita quotidiana che ci costringono a venire a patti anche con chi la pensa diversamente da noi.
Il problema però non si pone mai quando di fronte abbiamo una persona civile, corretta, pronta ad argomentare le proprie tesi e a discuterne civilmente, allo scopo di arrivare a una conclusione che metta d’accordo entrambi. No, il problema si pone quando di fronte c’è un arrogante, un violento, uno che usa la falsità come arma per attaccarti e metterti in ridicolo; uno che sfrutta magari la situazione di minoranza per umiliare e far passare la vittima da carnefice.
Se anche a voi, leggendo queste parole, si sarà formata nella testa l’immagine di una persona precisa, di cui si parla quotidianamente sulle testate giornalistiche di tutto il mondo e che ha una strana capigliatura giallo paglierino, allora avrete capito perfettamente di cosa sto parlando. E però non basta pensare tutto il male possibile di una persona per risolvere il problema.
Certo, fosse toccato a me di partecipare a un incontro come quello che ha dovuto affrontare il presidente ucraino Zelens’kyj, di fronte alle accuse folli di quei due bulli intenti a umiliarmi pronunciando falsità senza vergogna, avrei risolto la questione con la violenza. Ma si sa, nei sogni tutto è permesso, nella realtà invece la questione è ben più complicata. E questo duro mestiere di trattare con gli intrattabili, qualcuno lo dovrà pure fare.
Allora mi sono chiesto come si possa discutere con una persona che non è disposta a discutere, con un violento che non ha nessuna intenzione di venire a compromessi oppure con chi argomenta utilizzando questioni che non hanno nessuna logica. Una domanda che si è posta di nuovo quando una sera, passeggiando, ho letto su un muro una scritta fresca ancora di vernice. La scritta recitava: “Agenda 2030/45 = PEDOFILIA”.
Ora, mi sono chiesto, dell’agenda 2030 dell’Onu (sempre che la scritta si riferisca a questa, perché non ho trovato traccia di agende 2045) si possono pensare tante cose, si può non essere d’accordo, ma cosa c’entra la pedofilia? Ecco, mi sono immaginato di dover discutere con una persona che ti mette davanti una critica del genere: “se credi nel programma di sviluppo sostenibile dell’Onu sei un pedofilo”. Come ci discuti con chi ha una posizione del genere? Quali armi diplomatiche puoi utilizzare?
Mi affascina molto pensare che ci sia chi per mestiere fa questo: discutere con chi non vuole discutere, trattare con gli intrattabili, negoziare con chi non vuole negoziare. Allora sono andato un po’ a fondo, per capire se esistessero delle tecniche particolari per affrontare queste situazioni. Un po’ come per i negoziatori esperti che chiamano nei film americani quando c’è un rapitore che tiene in ostaggio dei civili innocenti. Indovinate un po’? Ho scoperto che ovviamente ci sono tecniche e strategie psicologiche per ottenere un compromesso anche quando la situazione sembra disperata e che l’arte della diplomazia va molto indietro nel tempo. Quindi, cosa fa il diplomatico e come fa a convincere coloro i quali non vogliono sapere di scendere a compromessi?
Cos’è un diplomatico?
Un agente diplomatico è in estrema sintesi un funzionario di uno Stato o di un’organizzazione che intrattiene relazioni con altri Stati o enti internazionali, come l’ONU. Anche alcune ONG accreditate possono ottenere visti diplomatici specifici.
La distinzione tra diverse classi di diplomatici iniziò nel XVI secolo. Nel XVII secolo divenne comune l’istituzione di missioni diplomatiche permanenti e la distinzione tra ambasciatori e residenti. La Convenzione di Vienna del 1961 ha regolato invece le categorie diplomatiche odierne, semplificandole.
I diplomatici sono generalmente funzionari di carriera che dipendono dal Ministero degli Esteri. Tuttavia, alcuni Stati, come gli USA, assegnano incarichi diplomatici anche a persone esterne alla carriera diplomatica, seguendo logiche politiche. Il personale diplomatico può lavorare sia all’estero sia negli uffici del ministero di riferimento.
Le funzioni diplomatiche, secondo la Convenzione di Vienna del 1961, includono: rappresentare lo Stato, proteggere i suoi interessi e quelli dei cittadini, negoziare con il governo locale, raccogliere informazioni, e promuovere relazioni economiche, culturali e scientifiche. In assenza di uffici consolari, le missioni diplomatiche possono svolgere anche funzioni consolari.
Le immunità diplomatiche garantiscono ai diplomatici protezione legale per svolgere le loro funzioni senza interferenze. Queste includono: l’inviolabilità della corrispondenza e della persona, il divieto di arresto e accesso forzato alla loro residenza o sede diplomatica, l’immunità dalla giurisdizione locale e l’esenzione fiscale. Le immunità si estendono anche alle loro famiglie e al personale della missione.
L’arte della diplomazia e della negoziazione, ovviamente, prevede alcune strategie e tecniche ben codificate. La stessa Convenzione di Vienna del 1961 ha prodotto dei documenti ufficiali dove vengono codificate alcune tecniche di negoziazione, ma altrettanto importanti sono alcuni testi sull’argomento come “Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In” di Roger Fisher e William Ury, oppure "Negotiation Genius” di Deepak Malhotra e Max Bazerman.
Ho chiesto a ChatGPT di farmi un riassunto delle tecniche più note e me ne ha elencate 8, che vi ripropongo perché le ho trovate davvero interessanti e mi è sembrato di riconoscerne i tratti generali in alcune dichiarazioni che ho sentito in questi giorni:
1. Negoziazione basata sugli interessi (Win-Win o Principled Negotiation)
Focalizzata sugli interessi delle parti anziché sulle posizioni iniziali.
Mira a creare valore per entrambe le parti con soluzioni che soddisfino i bisogni di tutti. Usa tecniche come il BATNA (Best Alternative to a Negotiated Agreement, ovvero l’alternativa migliore in caso di mancato accordo).
2. Negoziazione distributiva (Win-Lose o Competitiva)
Si basa sulla divisione di una risorsa limitata (per esempio una somma di denaro). Ogni parte cerca di ottenere il massimo possibile, spesso a scapito dell’altra. Usa tattiche di pressione come l’ancoraggio (fissare un valore iniziale alto per condizionare la trattativa).
3. Negoziazione integrativa (Collaborativa)
Cerca di massimizzare i benefici complessivi trovando soluzioni creative. Si basa su una comunicazione aperta e la costruzione di fiducia tra le parti. Spesso coinvolge più questioni per facilitare concessioni reciproche.
4. Negoziazione accomodante
Una parte è disposta a cedere su alcuni punti per preservare la relazione a lungo termine. Usata in diplomazia per consolidare alleanze strategiche o evitare tensioni. Può essere rischiosa se l’altra parte diventa troppo esigente.
5. Negoziazione competitiva o hard bargaining
Le parti adottano posizioni rigide e cercano di ottenere il massimo senza compromessi. Può includere minacce, pressioni o uso della leva politica/economica. Rischiosa se compromette relazioni future.
6. Negoziazione di compromesso
Entrambe le parti fanno concessioni per raggiungere un accordo accettabile. Spesso usata quando il tempo è limitato o le differenze sono difficili da colmare. Il risultato è spesso un punto intermedio che non ottimizza i benefici per nessuna delle parti.
7. Negoziazione diplomatica (Soft Power)
Si basa su influenza, relazioni e persuasione invece che su pressioni dirette. Usa strumenti come il dialogo culturale, la mediazione e la cooperazione economica. Utile nelle relazioni internazionali e nei negoziati multilaterali.
8. Negoziazione multilaterale
Coinvolge più parti con interessi diversi, tipica delle trattative internazionali (per esempio l’ONU o l’Unione Europea). Richiede alleanze strategiche, compromessi e gestione di coalizioni.
In pratica, i negoziatori esperti combinano più strategie a seconda del contesto, dell’interlocutore e degli obiettivi della trattativa.
Sicuramente, leggendo queste tecniche di negoziazione, vi saranno venuti in mente avvenimenti capitati anche recentemente. Come la COP29 dove, in pratica, si è andati a parlare con i maggiori produttori di gas e petrolio del mondo, in un paese come l’Azerbaigian che vive di esportazione di gas, di ambiente, di futuro e di paesi emergenti che dovranno investire in soluzioni più ecologiche e più in generale di convergere verso un futuro con un minor consumo di combustibili fossili. Quale impresa più difficile e inarrivabile avrebbe potuto pensare l’uomo? Eppure a qualcosa si è arrivati, forse proprio seguendo una delle strategie suddette.
Si può pensare quello che si vuole, che siano delle concessioni di comodo, che siano tutte stupidaggini e che siano soltanto dichiarazioni fatte a favore di telecamere, ma la diplomazia è anche questo: strette di mano che evitano guerre, sorrisi falsi che tengono in piedi relazioni multilaterali, odio velato di cortesia che genera contratti economici che a loro volta tengono in stabilità il PIL di un paese.
La tecnica delle tre A
Tra le tante tecniche di negoziazione, ce n’è una che mi ha colpito particolarmente: la tecnica delle tre A. Le tre A stanno per Attend, Assess e Address. Si tratta di un metodo comunicativo utilizzato per gestire conflitti e divergenze senza compromettere le relazioni. Si sviluppa in tre fasi:
1. Ascoltare, accogliere – consiste nel mettersi nei panni dell’altro, comprendere il suo punto di vista e farlo proprio, senza giudicare o respingere le sue idee;
2. Valutare, riflettere – questa fase riguarda il rafforzamento dell’intesa e la comprensione reciproca, analizzando il ragionamento dell’altro e cercando di cogliere i punti di forza delle sue idee;
3. Indirizzare – Infine bisogna esaminare i vincoli e i limiti oggettivi della situazione, cercando soluzioni costruttive che tengano conto della realtà senza invalidare il punto di vista dell’altro.
Questa tecnica si distingue dalle strategie passive costruttive, come il lasciar correre o il cercare di essere meno rigidi. Invece di focalizzarsi sul cercare un’intesa a tutti i costi, la tecnica delle tre A permette di separare il piano delle idee da quello della relazione concreta, mantenendo un buon rapporto anche in presenza di divergenze radicali.
Questo approccio aiuta a concentrarsi sulla relazione, senza sentirsi obbligati ad accettare o respingere completamente il punto di vista dell’altro. È una situazione questa che probabilmente si sposa bene con un negoziato importante come quello di un cessate il fuoco. Ovvero di una situazione in cui ai poli opposti di un tavolo di negoziazione siedono due persone, due leader, che non devono arrivare a starsi simpatici, tutt’altro, ma che in qualche modo devono arrivare a un fine che hanno deciso essere necessario. Quest’ultimo punto è peraltro fondamentale: nessuna negoziazione è possibile se uno dei due ritiene di essere in una condizione di vantaggio e superiorità e che nessun negoziato gli possa portare vantaggio.
L’uso della tecnica delle tre A è una pratica comune anche nelle relazioni profonde, come amicizie e rapporti affettivi, spesso adottata inconsapevolmente. E infatti avrete notato come spesso inconsciamente lo facciamo anche noi, relazionandoci magari con una persona cara con la quale dobbiamo raggiungere un compromesso. Tuttavia, si differenzia da altri schemi comunicativi perché evita la fusione tra le idee personali e il valore della relazione, permettendo di gestire meglio il disaccordo.
La tecnica delle tre A è particolarmente utile anche in contesti lavorativi, specialmente nei servizi dove si è in rapporto diretto con la clientela, dove gli operatori devono gestire le aspettative degli utenti senza entrare in conflitto né perdere la propria posizione istituzionale.
L’adozione della tecnica delle tre A consente di evitare sia lo scontro sia un’eccessiva accondiscendenza. Alcuni professionisti, con alto self-monitoring (cioè la capacità di adattare il proprio comportamento alle situazioni), usano questa tecnica spontaneamente, ma per la maggior parte degli operatori è necessaria una formazione specifica. Questo approccio è particolarmente efficace in contesti delicati, come un Pronto Soccorso, dove la gestione delle interazioni con gli utenti può essere complessa e carica di tensione emotiva. Oppure nella gestione del post vendita in una fase in cui il cliente è quasi sempre maldisposto. Pensate, per esempio, a chi deve gestire un’agenzia di recupero crediti o simili.
In sintesi, la tecnica delle tre A è uno strumento utile per affrontare contrasti senza compromettere la relazione, applicabile sia nella vita privata che in ambiti professionali, specialmente nei settori in cui la comunicazione con il pubblico è cruciale.
L’educazione tra pari
Nel solito percorso di scoperta delle informazioni che faccio nel raccogliere materiale per Insalata Mista sono incappato in una tecnica particolare di formazione che mi ha incuriosito molto. Anche se ha poco a che fare con l’argomento in sé, ve ne voglio parlare perché è in effetti una tecnica molto efficace che, seppure non applicabile a situazioni di conflitto tra due parti, può essere interessante se se ne considera l’applicazione in contesti differenti sempre con lo stesso fine: arrivare a un compromesso e convincere una certa quantità di persone a svolgere un determinato compito o a comportarsi in una determinata maniera.
Si tratta della Peer Education, o educazione tra pari, ed è un metodo educativo in cui una persona, opportunamente formata, svolge attività formative con altri individui simili a lei per età, condizione, cultura o esperienze. Rientra nei metodi di apprendimento a mediazione sociale, come l’apprendimento cooperativo e il peer tutoring.
La peer education è ampiamente utilizzata per esempio nella promozione della salute e prevenzione di comportamenti a rischio, come l’uso di droghe, il consumo di alcol, la guida spericolata e il bullismo. L’obiettivo principale è potenziare le conoscenze e le competenze dei partecipanti, aiutandoli a prendere decisioni più consapevoli e responsabili sul proprio benessere fisico, psicologico e sociale.
Si basa sul principio che le persone tendono a fidarsi di chi percepiscono come simile a loro, rendendo i pari modelli credibili ed efficaci quanto, se non più, dei professionisti del settore. A differenza di un’educazione verticale, la peer education promuove una trasmissione orizzontale di conoscenze, emozioni ed esperienze, rendendo i partecipanti soggetti attivi del loro apprendimento, piuttosto che semplici destinatari di informazioni.
Se ci pensate bene, è la classica situazione da oratorio di quartiere, dove il giovane parroco o i ragazzi più grandi, investiti di un ruolo particolare dall’adulto, svolgono proprio il ruolo di peer educator.
Storicamente, la peer education si ricollega al mutuo insegnamento, ma ha iniziato a diffondersi su larga scala negli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti, con progetti di prevenzione delle droghe e promozione della salute. Dagli anni ’70 si è espansa in tutto il mondo, trovando applicazione in diversi contesti come scuole, ospedali, carceri, comunità terapeutiche e ambienti di lavoro.
Sebbene il suo ambito principale sia stato la prevenzione dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili, oggi si occupa di un’ampia gamma di tematiche, come il contrasto alla violenza, la promozione di stili di vita sani e il rafforzamento delle competenze psicosociali. Recentemente, si è sviluppata anche la peer education 2.0, che sfrutta il web per sensibilizzare e prevenire comportamenti a rischio online.
Gli adolescenti sono tra i principali destinatari della peer education, poiché il gruppo dei pari ha un ruolo cruciale in questa fase di vita, in cui si sviluppano identità, autonomia e relazioni sociali. Essi tendono a rivolgersi ai coetanei per consigli e supporto, rendendoli interlocutori privilegiati per la trasmissione di informazioni ed esperienze. La peer education organizza quindi in modo strutturato un processo già naturale, trasformando l’influenza tra pari in uno strumento educativo efficace e credibile. Allo stesso tempo, lo capiterete da soli, può essere un metodo molto pericoloso perché straordinariamente efficace sulle menti dei più giovani. Un cattivo educatore, sfruttando questo metodo, potrebbe portare moltissimi giovani a comportamenti scorretti e negativi.
Sparare alto per ottenere qualcosa
Arrivati qui, molti di voi potranno aver rafforzato la convinzione che l’attuale presidente americano utilizzi i titoli di giornale per fissare l’asticella molto in alto e ottenere poi meno, ma sempre di più di quello che avrebbe potuto ottenere senza le minacce. Può essere, nessuno di noi lo saprà mai, ma di certo il navigare ogni giorno tra dichiarazioni al limite del criminale non fa bene ai popoli, all’America stessa, ai mercati azionari che poi reagiscono male, spesso bruciando miliardi di dollari, e infine generano un’instabilità che a lungo termine sfibra e logora tutti: alleati e non.
Sono miei pensieri, ovviamente, ognuno si farà il suo. Mi faceva piacere però condividere con voi quel poco che ho scoperto su un mestiere che a questo punto ritengo essere uno dei più complicati e delicati del mondo, cioè quello del diplomatico o del negoziatore. Cioè il lavoro di chi fa per mestiere quello che nei rapporti di tutti i giorni cerchiamo sempre di evitare: la discussione, il conflitto, il compromesso.
Quello che mi interessava sottolineare, più di ogni altra cosa, è come spesso qualsiasi gesto compiuto, qualsiasi parola pronunciata a favore di giornalisti o telecamere, abbia sempre un fine preciso, rappresenti sempre un messaggio molto chiaro. Un saluto, una stretta di mano, la posizione in una foto, una parola utilizzata al posto di un’altra possono essere lette da un esperto di relazioni internazionali come un gesto di avvicinamento o una minaccia. A noi stanno le interpretazioni più semplici e banali, ma c’è chi per mestiere deve leggere e decodificare tutto questo. Ed evidentemente, nonostante in Italia il Ministero degli Esteri l’abbia guidato anche qualche personaggio la cui scarsa esperienza credo non abbia bisogno di essere comprovata, è un mestiere che richiede molta, moltissima preparazione e self control.
» PENSIERI FRANCHI: La Tesla dei comunisti e la borsetta dei capitalisti
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale. O meglio, i miei pensieri in libertà.
Ho scoperto recentemente che se sei di sinistra non puoi avere la Tesla perché la Tesla è di Elon Musk e Elon Musk sta dimostrando un orientamento piuttosto, diciamo così, particolare e quindi non è il caso. E poi la Tesla è un’auto elettrica che costa qualcosa, che non è una vecchia Fiat Punto usata insomma, e quindi non è adatta al vero uomo di sinistra duro e puro che evidentemente dovrebbe circolare come i professori di matematica dei miei tempi, con la Skoda di 15 anni tutta rotta e cigolante.
Mi sto riferendo ovviamente al “caso” sollevato da Il foglio, che qualcuno ha addirittura chiamato Tesla-gate, nato dalla scoperta che due parlamentari - Nicola Fratoianni e Elisabetta Piccolotti, entrambi deputati di Sinistra Italiana - possedevano una Tesla. È la cosa che fa davvero notizia, è che in Italia questa sia una notizia. Ma non una notizia così, tanto per riempire uno spazio vuoto su un quotidiano di carta, bensì un fatto che poi viene ripreso da tutte le testate e alimenta trasmissioni e talk-show. Tanto da arrivare a meritare il commento di illustri editorialisti.
Ci sono due cose che si agitano nella mia testa, oltre l’inevitabile fastidio di base: la prima è la solita, trita e ritrita idea stereotipata secondo cui l’uomo o la donna di sinistra deve per forza vivere in povertà. Non può guadagnare molto e non può spendere molto, perché il capitalismo è di destra. In pratica, secondo un luogo comune di cui non riusciamo proprio a liberarci, è che la donna di sinistra sia incarnata dallo stereotipo di Rosi Bindi (che pure qualche proprietà ce l’avrà) e la donna di destra sia incarnata dalla Santanché.
Ecco, se già gli stereotipi mi fanno venire il ribrezzo, forse questo è tra i più odiosi, perché mai e poi mai sono stati formalizzati i tratti di queste due figure appartenenti a un emisfero o all’altro del parlamento. Certo, uno potrebbe pensare che l’uomo di sinistra, qualora fosse anche comunista e dunque per sua natura contrario al capitale e alla proprietà privata, sia contrario anche al possedimento di beni considerarti “di lusso”. Ma davvero dobbiamo ancora pensare una banalità del genere? Possibile che non ci sia evoluti nemmeno quel tanto da capire che 1) viviamo in un sistema capitalistico e quindi, che piaccia o meno, non potremmo (se pur volessimo) viverne fuori. 2) quella grandissima illusione della proprietà privata, con cui molta gente si riempi la bocca ma che ignora totalmente che in fondo non esiste, è stata ormai interiorizzata anche dai comunisti più duri e puri e fatemi dire anche da un bel po’ di anni. Per essere chiari, penso che non sia mai esistito un comunista italiano che sia mai stato contro il concetto di proprietà privata. Che questo sia dovuto a un fatto ideologico o di semplice convenienza.
Torniamo per un attimo però alla Tesla, perché c’è il secondo fatto che mi frulla in testa. La Tesla sarebbe da ricchi. E di nuovo c’è un grosso problema: la percezione di un oggetto costoso in quanto acquistabile soltanto da persone molto facoltose. Questo ovviamente vale per molte cose, ricordo ancora quando mi guardarono come un ricco possidente quando acquistai il primo iPhone, senza considerare che costava meno del Nokia che avevo dato in permuta, ma questa è un’altra storia.
Tesla, grazie anche agli incentivi che per molto tempo sono stati associati all’acquisto di un’auto elettrica, è stata un’auto molto conveniente, persino economica. Ci sono stati momenti in cui una Model 3 era acquistabile a circa 35.000€ che, per una berlina, oggi sono obiettivamente pochi. Se poi ci mettete il risparmio che genera nel tempo (anche questo, un fatto oggettivo) - fatto di sconti sul bollo, manutenzione molto più economica e un costo di esercizio parecchio più basso rispetto a un’auto a combustione - ne risulta un acquisto intelligente anche per chi è bravo a farsi due conti. Chiaramente devi avere quella capacità di spesa, ma qui viene fuori un altro fatto, cioè che la maggior parte della gente che critica (e dei giornalisti che scrive) non vive nel mondo reale, altrimenti saprebbe che ormai con difficoltà si porta a casa un’auto di quel segmento con quella cifra.
Poi c’è tutta la questione etico-morale, cioè che l’azienda appartenga a un personaggio sul quale non voglio spendere nemmeno una parola, perché penso che il mio e il vostro tempo valga di più. Però vi dico: forse giudichiamo il prodotto Tesla in base al suo capo perché il suo capo si è fatto conoscere pubblicamente. Siete sicuri che il numero 1 di Microsoft che vi vende il sistema operativo del computer che usate tutti i giorni, il numero 1 di Amazon dove acquistate tutti i minuti, il numero 1 dell’azienda di cui comprate i vostri abiti preferiti, sia una persona specchiata e dalla morale irreprensibile? Io non lo so, probabilmente nemmeno voi, ma la domanda di fondo è: davvero dobbiamo fare un’indagine su ogni capo d’azienda di cui acquistiamo un prodotto? Perché se è così, la sensazione è che ci rimarrebbe da comprare ben poco.
Un’ultima questione e poi chiudo. Scrive Ferdinando Cotugno su Domani “In questo scenario, noi siamo qui a fare stand-up comedy come in una versione aggiornata della canzone di Giorgio Gaber, in cui il politico di sinistra dovrebbe per forza avere una utilitaria autarchica e popolare a diesel per essere considerato tale, inoltre Enrico Berlinguer non lo avrebbe fatto (Massimo Gramellini) e così via…” e ancora “Il problema è che in gioco qui c'è molto più di Tesla, ed è la reputazione dell'auto elettrica come tecnologia chiave sia per la transizione energetica sia per la reindustrializzazione europea. La vergogna elettrica che si sta diffondendo in Europa è un'ottima notizia per i petrolieri.”
Ecco, il problema sta tutto qui: siamo ancora a fare questioni sull’auto elettrica ma amici miei, vi svelo una cosa: l’auto elettrica è il futuro e se state ancora qui a contestarla e a fare polemica, siete semplicemente rimasti indietro di dieci anni buoni. Si, perché i piani che l’industria dell’automobile di oggi, giusti o meno che siano - sono stati decisi dieci e più anni fa. Ormai le industri si sono riconvertite, le catene di montaggio sono state adattate, la rete di vendita è stata trasformata, i piani pluriennali sono tutti basati sull’auto elettrica e l’auto elettrica è qui per rimanere. Non c’è alternativa come non c’è stata alternativa quando dall’analogico si è passati al digitale, come quando dal telefono cellulare si è passati allo smartphone, come quando dal CD si è passati all’MP3. Ci saranno degli svantaggi? Può essere. Ci saranno dei disagi? Sicuramente. Ci potrà essere un futuro alternativo in cui l’industria tornerà indietro? No.
Per tornare quindi alla polemica su politico di sinistra che acquista auto “di lusso” prodotta da un miliardario pazzo, fatemi dire: per quanto tempo ancora vogliamo alimentare il dibattito pubblico su queste stupidaggini che manco più al bar creano interesse e discussione? Per quanto ancora dobbiamo apparire agli occhi del mondo come quel popolino di stupidi che vivono di luoghi comuni ancorati al passato e di sciocca polemica da strada quando ci sarebbe da discutere invece di questioni - quelle si - che possono determinare le sorti del pianeta? E non è benaltrismo il mio, non è quel “ci sono benaltri problemi di cui parlare!” Che viene tirato fuori quando la discussione diventa scomoda, è più un far notare come, a volte, la polemica di basso livello non faccia che abbassare il livello generare della discussione.
Forse, mi viene da pensare, che non siano i reality show e la tv spazzatura ad abbassare il livello culturale di un paese, ma che sia un certo giornalismo, che si fregia anche di appartenere a quella cerchia ristretta di intelligentia che invece è proprio quella che rilancia la polemica più bassa, più becera, più triste. Che sguazza nel luogo comune e rimesta nel torbido liquido dell’ignoranza più profonda.
Ecco, forse se sempre meno persone si rivolgono alla carta stampata e ai giornali, un motivo c’è e non ha a che fare con lo scarso livello culturale di chi legge, ma di chi scrive.
Franco A.
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Cos’è la F.O.M.O.?1
Huawei sotto indagine per corruzione: europarlamentari coinvolti in viaggi e favori di lusso
Huawei è sotto indagine per presunta corruzione di almeno 15 europarlamentari, sia ex che in carica, con offerte di viaggi di lusso, biglietti per eventi sportivi e denaro in cambio del loro supporto politico. L’inchiesta, condotta dalle autorità belghe, è partita due anni fa e ha già portato a perquisizioni in 21 indirizzi e ad alcuni arresti. Fra gli indagati figura Valerio Otatti, ex assistente di europarlamentari italiani e oggi direttore degli affari pubblici UE di Huawei. Il Parlamento Europeo ha dichiarato di essere a conoscenza dell’indagine e di collaborare con le autorità giudiziarie.
Fonte: DDay.it
Apple TV+ sbarca su Prime Video: tutti i contenuti accessibili da un’unica app, ma con abbonamento separato
Apple TV+ è ora disponibile come canale su Prime Video, permettendo agli utenti di guardare i suoi contenuti direttamente dall’app di Amazon. Tuttavia, l’abbonamento non è incluso in Prime e va pagato separatamente al costo di 9,99 euro al mese. Il vantaggio principale è l’accesso facilitato su tutti i dispositivi compatibili con Prime Video, come già avviene per servizi come Paramount+ e Crunchyroll. Dopo il debutto negli Stati Uniti, la funzione arriva ora in Italia, Germania e Spagna, con Apple che sottolinea il buon riscontro ottenuto dal pubblico americano.
Fonte: DDay.it
Xbox punta sul futuro: console portatile in arrivo nel 2025 e una nuova generazione basata su Windows
Microsoft starebbe lavorando a una console portatile Xbox, simile a dispositivi come Lenovo Legion Go e ROG Ally, con sistema operativo Windows e accesso a PC Game Pass. Secondo Windows Central, il progetto, nome in codice Keenan, sarebbe sviluppato con un produttore OEM e potrebbe arrivare entro la fine del 2025. Intanto, le nuove Xbox tradizionali, previste per il 2027, saranno sempre più integrate con Windows, facilitando il porting dei giochi e garantendo piena retrocompatibilità. Questa evoluzione potrebbe trasformare Xbox in un ecosistema gaming più vicino a un PC da gioco di fascia alta, ma con la semplicità di una console.
Fonte: DDay.it
Northvolt dichiara fallimento: il gigante europeo delle batterie crolla sotto il peso dei debiti
Northvolt, la startup svedese che prometteva di sfidare i giganti asiatici delle batterie, ha dichiarato bancarotta dopo anni di difficoltà produttive e finanziarie. Nonostante miliardi di investimenti da Volkswagen e Goldman Sachs, l’azienda non è riuscita a rispettare gli impegni, accumulando un debito di 7,5 miliardi di euro. Il fallimento mette in crisi oltre 5.000 lavoratori e lascia le case automobilistiche europee senza un fornitore chiave. Con la domanda di auto elettriche in calo e la concorrenza cinese sempre più forte, il sogno europeo di un’industria delle batterie autonoma subisce un duro colpo.
Fonte: DMove.it
UE investe 2,8 miliardi nell’auto: incentivi all’elettrico, flessibilità sulle emissioni e focus sulle flotte aziendali
La Commissione Europea ha presentato un piano da 2,8 miliardi di euro per rafforzare il settore automotive, con 1,8 miliardi destinati alle materie prime per batterie e 1 miliardo per veicoli connessi e autonomi. Prevista maggiore flessibilità sulle emissioni di CO2, con una media calcolata su tre anni invece che annualmente. Per incentivare l’elettrico, Bruxelles punta sull’elettrificazione delle flotte aziendali e incentivi fiscali, mentre accelera la revisione sugli e-fuels. Tuttavia, le misure non affrontano lo strapotere cinese e le sfide legate alla guida autonoma, sollevando critiche su un approccio troppo ideologico e poco concreto.
Fonte: DMove.it
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
grazie per la versione audio: se posso, il tuo discorso su musk mi convince poco. o meglio: concordo totalmente sule polemiche sterili verso fratoianni. sul discorso della tesla, detto giustamente che il futuro è l'auto elettrica, il boicottaggio è l'unica arma reale e pacifica a disposizione per guidare il mercato, credo.
musk di fatto rappresenta la feccia della feccia, e distruggere le sue aziende, ammesso che sia possibile e realizzabile, è l'unica soluzione per depotenziarlo almeno un pò.
poi, certo che gates (che non è più capo della microsoft da un pò) non sarà specchiato (beh, gates forse è l'unico forse di cui al momento si può parlare solo bene) ma ecco "siamo sicuri che gli altri" sa un pò di benaltrismo.
gli altri capitalisti saranno male ma senza dubbio musk e il peggio del peggio, e comunque: colpirne uno per educarne 100!
ciao, podcast non è uscito? non ho visto niente nel feed non so se per via di un problema tecnico o per altri motivi