L’auto elettrica e l’ansia del cambiamento: perché ci divide così tanto
Tra fake news, nostalgie e progressi reali: capire perché l’auto elettrica fa così discutere e perché il suo futuro è già scritto.
Rimango sempre sbigottito quando mi imbatto nelle discussioni sui social che riguardano l’auto elettrica. D’accordo, sui social tutte le discussioni si trasformano in buone occasioni per insultare, offendere e far degradare qualsiasi tentativo di dialogo in una lotta senza quartiere con il solo scopo di offendere il prossimo. Ma su alcune questioni, tra cui appunto l’auto elettrica, gli animi si accendono con moltissima facilità.
Mi stupisce perché capisco che ci possano essere delle posizioni rigide su molte questioni di principio, come l’immigrazione, le guerre o i femminicidi, per fare qualche esempio. Su tutte queste è normale che ci si accalori con una certa facilità. Ma sull’auto elettrica proprio no, non mi riesce capire perché ci si scaldi così tanto.
Per cercare di capirlo ho messo in fila le ragioni di chi, ad ogni post sull’auto elettrica — su qualsiasi auto elettrica — non riesce a non commentare qualcosa di offensivo o, nella migliore delle ipotesi, a non decretare in maniera definitiva la morte e l’inutilità di questa tecnologia.
L’ho fatto per capire come mai soltanto in questo particolare segmento dell’evoluzione tecnologica si scatenino quotidianamente gli haters peggiori che popolano i social, quando lo stesso non è accaduto col passaggio dai cellulari con la tastiera agli smartphone, oppure quando siamo passati dai TV a tubo catodico a quelli piatti o ancora quando siamo passati dai contenuti su CD, DVD o Bluray allo streaming, alla musica liquida e alle piattaforme come Spotify.
In tutti questi casi di evoluzione tecnologica — normale e persino banale — nessuno ha sentito il bisogno di commentare ogni singolo post insultando chi lo scriveva. Né di schierarsi contro il mercato, contro le aziende o, come spesso accade, contro l’Europa, che sembra sempre un comodo bersaglio per sfogare rabbie represse.
Alla fine di tutto questo mi sono chiesto: ma perché l’auto elettrica ci fa così paura? Quale solida certezza sta provando a smontare? Perché ci deve essere una ragione dietro tutto questo, altrimenti non si spiegherebbe tutto questo accanimento dietro un’automobile. C’è sicuramente, tra le cause, anche il tifo da stadio alimentato dalla solita politica becera. Una politica che non perde occasione per trasformare qualsiasi tema in un vessillo di guerra, dietro cui radunare orde di haters pronti a difendere ciecamente ciò che richiama tradizioni antiche, orgoglio nazionale o identità.
In questa Insalata Mista cercherò quindi di capire prima di tutto il fenomeno: cosa scatena gli haters e quali sono le paure che si nascondono dietro l’auto elettrica. Poi, leggendo i dati attuali del mercato, cercheremo di analizzare la crescita degli ultimi anni e infine ipotizzarne l’evoluzione prossima (che è già scritta nei piani decennali delle aziende automobilistiche), cercando di capire come potrebbe essere il mercato dell’automobile tra cinque o dieci anni.
E da tutto questo, spero che ne usciremo tutti (me compreso, scrivere l’Insalata è sempre un’occasione di studio e approfondimento) con più argomenti razionali e meno paura insensata di qualcosa che in fondo non è che una normale evoluzione tecnologica come ce ne sono state a centinaia nella storia dell’essere umano. Se vogliamo, questa non è nemmeno particolarmente sconvolgente, dato che l’auto nacque tra fine ‘800 e inizio ‘900 proprio nella doppia versione con motore a scoppio o elettrico (sembra incredibile, ma è così: ne parlai tra l’altro in una precedente Insalata sulle “tecnologie abilitanti”).
Dunque si sta parlando di una rivoluzione fino a un certo punto. Ma quando utilizziamo il termine “rivoluzione” dovremmo parlare di intelligenza artificiale, non di auto che passano da una propulsione termica a una elettrica. Non stiamo parlando di un cambio di paradigma su come l’uomo si sposterà tra cinquant’anni. No, stiamo parlando sempre di un’auto, che semplicemente utilizzerà energia elettrica anziché termica per far muovere le ruote.
Un errore al quale stare attenti: la miopia tecnologica
Quali sono quindi i motivi che spingono orde di commentatori imbufaliti a schierarsi contro chiunque parli di auto elettrica sui giornali o sui media? Me lo sono chiesto a lungo e alla fine ho stilato un elenco leggendo decine, forse centinaia di commenti.
Devo dire altresì che anche io — chi legge Insalata Mista da un po’ lo sa — all’inizio della diffusione dei primi modelli Tesla, sono stato fortemente scettico e critico su questa evoluzione dell’auto. Anche in quel caso, a muovere le mie critiche, erano fondamentalmente due cose: il fondamentalismo fanatico dei sostenitori dell’auto elettrica a tutti i costi (io odio i fanatismi in generale e la prima reazione che ho, come molte altre persone, è sempre quella opposta e contraria) e una certa ignoranza di fondo sull’argomento.
Non sono un fanatico del “non puoi parlare finché non provi”, perché allora bisognerebbe leggere e provare tutto prima di commentare. Impossibile. Però, con l’auto elettrica più di ogni altra cosa, fare una prova esaustiva è fondamentale perché facilmente si riesce a sgretolare tutti i miti, le leggende e le convinzioni di cui ci si era riempiti la testa a forza di leggere o ascoltare cose che sono prima di tutte intellettualmente disoneste.
Chi vi scrive non è un sostenitore a spada tratta della mobilità elettrica, tutt’altro. Ho provato con mano, letto, analizzato, testato e infine ho applicato un metodo che applico sempre con tutti i cambi tecnologici che impattano sulla quotidianità: l’ho messo in prospettiva.
Questo esercizio mentale è sempre importante quando si approccia una nuova tecnologia a cui non siamo abituati. Oggi chi giudica l’auto elettrica lo fa secondo lo stato attuale delle cose, per esempio lo stato di diffusione delle colonnine in questo momento. Lo stato dell’autonomia delle batterie di oggi e l’attuale velocità di ricarica. Ma quella dell’auto elettrica è una tecnologia ancora agli albori e l’evoluzione che c’è stata nell’ultimo decennio ci dice che i prossimi decenni ci porteranno a un livello che oggi non è nemmeno immaginabile.
Viceversa, l’auto con propulsione termica ha visto ormai esaurirsi completamente (o quasi) l’evoluzione tecnologica. È un po’ come quando dai TV a tubo catodico si è passati a quelli piatti: mentre i primi erano arrivati allo stato dell’arte della tecnologia (e chi non ricorda con nostalgia gli ultimi modelli di Sony Trinitron con schermo 16:9?), i primi tv a schermo piatto era inguardabili. Chiunque avesse un minimo di occhio attento si rendeva conto di come la qualità fosse incredibilmente più bassa nel caso degli schermi piatti. Piatti poi per modo di dire, visto che conservavano tutta l’elettronica in uno scatolone antiestetico da piazzare da qualche parte nelle vicinanze. E, ultimo dettaglio, i primi modelli costavano più di trenta milioni di lire.
Poi arrivarono i contenuti in HD e la qualità dei pannelli al plasma crebbe incredibilmente. Nel giro di pochi anni arrivarono anche gli schermi LCD, ancora peggiori da guardare. Ricordo con orrore le trasmissioni broadcast in bassa definizione della tv via antenna sui primi modelli LCD. Non c’era paragone rispetto ai migliori modelli a tubo catodico. Ora vi chiedo: c’è qualcuno di voi che tornerebbe indietro da qualsiasi modelli di TV con risoluzione 4K al tubo catodico? I modelli attuali di TV, che hanno raggiunto la maturità in tutte le tecnologie in commercio, sono sottilissimi, belli da vedere, enormi come diagonale, con un dettaglio e una fedeltà dei colori incomparabili e soprattutto consumano pochissimo e costano pochissimo. Tutto questo è successo in circa vent’anni, non molto di più.
Ora provate a immaginare lo stesso percorso applicato all’auto nei prossimi vent’anni. Autonomie di 2.000 o persino 3.000 km — non è fantascienza, Huawei ha già annunciato un prototipo. Ricariche di 5 minuti per guadagnare 300 km. Guida autonoma capace di lasciarvi sotto casa e andare a parcheggiare da sola. Tutte tecnologie già esistenti, oggi in attesa solo di regolamentazioni. In quel contesto, l’auto a combustione non vi sembrerà forse un reperto di antiquariato?
I motivi di odio verso l’auto elettrica, elencati
Ed ecco quindi la collezione dei motivi di odio più comuni verso l’auto elettrica, ricavati sul campo leggendo opinioni, commenti e ascoltando conversazioni.
“Ce l’ha imposta l’Europa”
È forse l’argomento più citato: «Ce l’hanno imposta dall’alto, non la vuole nessuno, è solo un complotto di Bruxelles». D’altronde, quando non si sa a chi dare la colpa, l’Europa funziona sempre bene, tanto nessuno andrà poi a controllare effettivamente cosa “ci ha chiesto l’Europa”.
In realtà, non è così. La Commissione Europea non ha imposto un obbligo di acquistare auto elettriche, ma ha fissato obiettivi di riduzione delle emissioni per rispettare l’Accordo di Parigi e il Green Deal. Che questo obiettivo venga raggiunto con la propulsione elettrica, con l’idrogeno, con il bio-fuel o semplicemente eliminando le auto e tornando al cavallo, all’Europa interessa poco.
È stata piuttosto l’industria automobilistica a prendere questa strada. Il perché poi è facile da capire: innanzitutto la propulsione elettrica nasce con l’auto stessa. Anzi, quando nacquero i primi modelli di auto, nei primi anni del ‘900, inizialmente fu proprio la propulsione elettrica quella favorita. Ferdinand Porsche ne presentò due modelli a Parigi proprio nel 1900 (per approfondire c’è sempre l’Insalata Mista sulle tecnologie abilitanti). Secondo perché l’evoluzione delle batterie al litio ha reso molto più concreta la possibilità di passare effettivamente a questa tecnologia e in ultimo, come sempre, c’è di mezzo la Cina.
Apriamo una piccola parentesi sulla Cina, che ormai detiene il primato tecnologico in molti campi e sul fronte dell’automobile ha addirittura distanziato il resto del mondo di un bel pezzo. Se gli Stati Uniti possono vantare un primato importante grazie a Tesla, la Cina ha ormai ottenuto un livello tecnologico e prestazionale inarrivabile, ma soprattutto è riuscita a fare il grande salto sul fronte produttivo, ottenendo dei costi di produzione inferiori del 30% rispetto al resto del mondo (escludendo gli aiuti di Stato, con quelli si arriva addirittura al 50%, sono dati presi da un panel dal Festival dell’Economia di Trento 2025).
La Cina è arrivata a questo livello perché ha iniziato a investire massicciamente (senza dubbio alcuno, lì quando si prende una decisione si discute poco, piaccia o meno il metodo) addirittura negli anni novanta. Quindi, quando si è trattato di guardarsi attorno per decidere quale sarebbe stata l’evoluzione futura dell’automobile, le aziende occidentali non hanno avuto dubbi, perché avevano già una storia di successo da prendere a modello: l’industria cinese, appunto, che seppure ancora agli albori, aveva già lasciato intravedere l’evoluzione possibile, soprattutto sul fronte delle batterie e dell’autonomia.
In ogni caso, l’industria automobilistica è responsabile di circa il 15% delle emissioni di CO₂ in Europa (dati EEA 2023). Se l’Europa non spingesse su questa transizione, non raggiungeremmo mai gli obiettivi climatici. Non si tratta quindi di un’imposizione politica ideologica, ma di un percorso obbligato per ridurre l’inquinamento. E infatti, anche Stati Uniti, Cina, Giappone e persino l’India hanno programmi analoghi: non è “l’Europa cattiva”, è il mondo intero che si sta muovendo in quella direzione. Perché, che ci piaccia o meno l’idea, l’auto elettrica inquina meno, su questo non ci sono proprio più dubbi, anche se una delle argomentazioni più frequenti è che in realtà questo punto sia falso. Analizziamolo.
Non è vero che le auto elettriche inquinano di meno
Altro cavallo di battaglia degli haters. È vero: produrre un’auto elettrica, soprattutto la batteria, ha un impatto iniziale maggiore rispetto a un’auto termica. Ma tutti gli studi scientifici – dall’International Council on Clean Transportation (ICCT, 2022) all’Agenzia Europea dell’Ambiente – mostrano che, considerando l’intero ciclo di vita, l’auto elettrica emette dal 55% al 70% in meno di CO₂ rispetto a una a benzina o diesel.
Il vantaggio cresce man mano che la rete elettrica si decarbonizza. In Italia, già oggi un’auto elettrica emette meno della metà della CO₂ di una termica se alimentata con l’attuale mix energetico. E anche in questo caso è bene mettere tutto in prospettiva. È evidente che anche la tecnologia per produrre le batterie evolverà. Si stanno già facendo degli esperimenti su modelli che non richiedono le famose “terre rare”, di cui in Europa non abbiamo giacimenti (o sono comunque scarsi).
È anche evidente che tutto questo deve andare di pari passo con un altro obiettivo che già stiamo perseguendo, in Europa forse più che altrove: la decarbonizzazione delle fonti energetiche. Su questo punto di vista sono stati fatti enormi passi in avanti, arrivando a picchi di energia prodotta con fonti rinnovabili che fino a qualche anno fa erano impensabili. Certamente il mix (con l’irrinunciabile nucleare, anche qui c’è ormai poco da discutere) ci consentirà di arrivare nel giro di qualche decennio al 100% di energia prodotta in maniera “pulita”.
Anche in questo caso, quindi, bisogna mettere le cose in prospettiva: se è vero che oggi una buona percentuale di energia elettrica viene prodotta con fonti fossili, è altrettanto vero che con le percentuali di evoluzione delle fonti rinnovabili e/o pulite (il nucleare è pulita ma non rinnovabile) si arriverà nel giro di pochi anni a decarbonizzare completamente la produzione di energia che, ricordiamocelo, dovrà soddisfare una domanda che crescerà naturalmente, al di là delle auto elettriche. E lo farà perché tutta la tecnologia richiede molta energia (chi ha detto intelligenza artificiale?). Quindi, cosa vogliamo fare? Regredire o fare in modo di soddisfare la domanda di energia senza distruggere il pianeta? Le soluzioni ci sono, basta applicarle.
L’auto elettrica è una moda da radical-chic di sinistra
Una delle accuse più curiose: l’auto elettrica come oggetto ideologico. E in questo c’entrano i soggetti che citavo prima, quei fanatici un po’ talebani che hanno sposato l’auto elettrica facendone un feticcio da eletti che salvano il pianeta viaggiando su una Tesla da centomila euro (come dimenticare gli appellativi dati alle auto termiche? Dalla “caldaia con le ruote” alla “scatola puzzolente con le ruote”).
Però non ci possiamo far influenzare da qualche soggetto che ha fatto dell’auto elettrica una questione ideologica. Quello si può classificare tuttalpiù come un fenomeno di costume da prendere come tale, con un sorriso e una scrollata di spalle. I numeri, infatti, raccontano altro. La Cina è il più grande mercato di auto elettriche al mondo (oltre il 35% delle vendite nel 2023, secondo BloombergNEF), e non è certo un Paese governato dalla sinistra “radical chic”. Negli USA, Tesla ha avuto come primo acquirente medio uomini di mezza età con reddito medio-alto e spesso orientamento politico conservatore (non c’è bisogno che vi ricordi il ruolo che ha avuto Musk nelle ultime elezioni presidenziali, vero?).
Oggi le auto elettriche sono scelte anche per motivi pratici: costi di gestione più bassi (manutenzione ridotta, niente olio, freni che durano di più), accesso a ZTL, e – nei Paesi dove il carburante costa caro – un risparmio economico diretto. Non è moda, è convenienza.
Non ha futuro perché fa pochi chilometri, ci vuole tantissimo per ricaricarsi e non ci sono colonnine
Anche questo era vero dieci anni fa, oggi molto meno. L’autonomia media delle auto elettriche vendute in Europa nel 2024 supera i 400 km reali (dati Motus-E). Le ricariche ultra-fast permettono di recuperare 200 km in 15 minuti. In Italia ci sono circa 67.500 punti di ricarica pubblici (Motus-E, giugno 2025), più che raddoppiati negli ultimi tre anni. In autostrada il piano Autostrade per l’Italia prevede una colonnina veloce ogni 50 km entro il 2026. L’ansia da ricarica resta più psicologica che reale: secondo le statistiche, oltre l’80% delle ricariche avviene a casa o in ufficio, non in strada.
Anche qui, vi chiedo di fare lo sforzo mentale a mettere tutto in prospettiva. Come dicevo prima, e come vedremo tra poco, le auto elettriche stanno conoscendo un’evoluzione tecnologia incredibile ed è sicuro che l’autonomia, così come la velocità di ricarica, aumenterà drasticamente nei prossimi anni. Così come la diffusione di colonnine e punti di ricarica pubblici.
Mi piace fare un altro parallelo, quando si parla di sicurezza dell’auto e capillarità della rete di ricarica. Provate a pensare a quando l’energia elettrica è arrivata nelle case. In Italia si parla del novecento. All’epoca non c’erano le norme sulla sicurezza che ci sono oggi e i casi di incidenti mortali, incendi e morti per fulminazione furono all’ordine del giorno. In più, la rete elettrica era completamente da costruire. Bisognava arrivare con tralicci e cavi in tutta Italia, costruire centrali elettriche, coprendo territori anche complicati da raggiungere (l’Italia è un incubo da questo punto di vista, tagliata com’è da montagne sia in larghezza che in lunghezza).
Potete immaginare lo scetticismo e le proteste di chi all’inizio si scagliava contro qualcosa che uccideva con facilità, richiedeva un enorme investimento per poter arrivare in ogni casa e in ultimo per fare cosa? Accendere una lampadina? Molto meglio una lampada a gas o una candela, no? Certo, chi avrebbe potuto immaginare il forno a microonde e la lavastoviglie, in quegli anni?
La tecnologia funziona da sempre così: sono le infrastrutture a facilitare il progresso, non il contrario. Si sono costruite le autostrade e successivamente si è sviluppato il mercato delle automobili; è nata internet a banda larga e poi sono nati gli smartphone e le piattaforme di streaming. Senza le infrastrutture, la tecnologia non può evolvere, anche se quando vengono realizzate la tecnologia non solo non esiste, ma non è nemmeno immaginabile.
Cos’è un auto, a cosa serve e perché l’auto elettrica è l’unica evoluzione possibile
Un’automobile, al di là di tutto il mito culturale che l’ha sempre circondata, è prima di tutto uno strumento. Serve a portarci da un punto A a un punto B in modo sicuro, relativamente economico e possibilmente comodo. Tutto il resto — il rombo del motore, l’odore della benzina, la leva del cambio — appartiene al mondo delle emozioni e dell’immaginario collettivo, non alla funzione.
Sotto questo punto di vista, l’auto ideale deve rispondere a tre esigenze fondamentali: trasportarci da un posto all’altro nel modo più confortevole possibile; consumare il meno possibile; inquinare il meno possibile. Se guardiamo l’auto sotto questo punto di vista, la propulsione elettrica è semplicemente la più efficiente e logica: un motore elettrico ha un rendimento medio vicino all’85-90%, contro il 35-40% di un motore a combustione interna (fonte: nrdc.org). Significa che per ogni unità di energia immessa, il motore elettrico trasforma quasi tutto in movimento, mentre il termico spreca la maggior parte sotto forma di calore.
Questa superiorità tecnica diventa ancora più evidente se guardiamo all’evoluzione delle batterie. Oggi la maggior parte delle auto elettriche utilizza celle agli ioni di litio, con densità energetiche tra 250 e 300 Wh/kg e autonomie reali che oscillano mediamente tra i 350 e i 500 km. Ma la frontiera è ormai vicina: le batterie allo stato solido (SSB) promettono di raddoppiare questi valori.
Secondo le roadmap ufficiali, Toyota e Nissan lanceranno i primi modelli con batterie allo stato solido entro il 2027-2028, con autonomie di 800-1000 km e tempi di ricarica ridotti a 10-15 minuti per un pieno (dati Toyota, giugno 2023). Honda mira al 2030 con celle da oltre 1000 km di autonomia, mentre colossi come Volkswagen, BMW e Stellantis stanno sviluppando prototipi in collaborazione con startup come QuantumScape e Factorial Energy.
Ma è soprattutto la Cina, come vedevamo prima, a spingere sull’acceleratore. BYD, oggi il più grande produttore mondiale di auto elettriche e di batterie, ha già annunciato per il 2027 modelli di serie con accumulatori allo stato solido. Huawei ha depositato brevetti che promettono densità tripla rispetto alle attuali LFP (litio-ferro-fosfato), con autonomie teoriche fino a 3000 km e ricariche in 5 minuti. Chery ha sperimentato prototipi con densità record di 600 Wh/kg, che significherebbero 1500 km con una sola carica. Persino Xiaomi, appena entrata nel mercato automotive, ha brevettato soluzioni che potrebbero garantire 1200 km con una sola ricarica e 800 km recuperati in 15 minuti di fast charge.
Non è fantascienza: è una tabella di marcia industriale. E il vantaggio competitivo della Cina è enorme e soprattutto, come dicevamo prima, non solo è tecnologico ma anche produttivo. Nel 2025 la quota di mercato delle auto elettriche in Cina ha superato il 50%, mentre in Europa raggiungeremo il 25% entro la fine del 2025 e negli Stati Uniti si è raggiunto il 10% (fonte). La Cina controlla oltre il 70% della produzione mondiale di batterie (dati IEA 2024) e può permettersi prezzi che in Europa appaiono impensabili: una compatta elettrica BYD Dolphin si trova a meno di 10.000 euro, una Xiaomi SU7 a meno di 29.000 euro, contro i 30-40.000 di un modello equivalente europeo.
Bisogna anche menzionare la circolarità dell’evoluzione tecnologica. Ogni evoluzione tecnologica ne influenza un’altra, aumentando esponenzialmente la velocità con cui uno step evolutivo ne favorisce un altro e un altro ancora. L’evoluzione della potenza di calcolo dei processori (in realtà dei SoC) che ha spinto il mercato degli smartphone ha permesso di portare a bordo delle auto un’enorme capacità di calcolo, che oggi permette a tutte le auto di essere molto più intelligenti (e di guidare in maniera del tutto autonoma anche in contesti urbani complicati). Così come l’evoluzione delle batterie per il mercato della auto elettriche ha reso più abbordabili gli impianti domestici di produzione di energia fotovoltaica con accumulo (alla fine, sempre di batterie si parla). La diffusione e la democratizzazione di questi impianti ha aumentato la capacità di produzione con energia rinnovabile, rendendo più sostenibile la produzione di energia elettrica per alimentare le auto.
Di fronte a questo scenario, l’auto elettrica non è una moda né un’ideologia: è la logica conseguenza dell’evoluzione tecnologica e industriale. Più efficiente dal punto di vista energetico, più pulita nelle città, sempre più conveniente da produrre e acquistare. L’auto a combustione interna non scomparirà domani mattina, ma è destinata a diventare una nicchia, come accadde ai treni a vapore dopo l’arrivo di quelli elettrici. Perché, in definitiva, l’auto non è il rumore del motore: è mobilità. E la mobilità del futuro, inevitabilmente, sarà elettrica.
Perché combattere contro l’evoluzione tecnologica non ha senso
Ogni nuova tecnologia ha incontrato resistenze, spesso motivate dalla paura dell’ignoto o dall’attaccamento a ciò che era familiare. Quando l’energia elettrica arrivò nelle case italiane a inizio Novecento, le famiglie temevano incendi, scosse mortali e addirittura che “l’aria elettrificata” potesse provocare malattie. La rete elettrica era tutta da costruire: sembrava un’utopia, un progetto più grande delle possibilità del Paese. Eppure, nel giro di pochi decenni, la luce elettrica sostituì le candele e il gas di città, diventando la normalità di cui oggi non potremmo fare a meno.

La stessa diffidenza si è ripetuta molte altre volte. Quando arrivarono i primi smartphone, le batterie duravano mezza giornata, le tastiere touch erano considerate “scomode e inutilizzabili” rispetto ad altri modelli di telefono (ricordate i Blackberry con la loro tastiera estesa?) e le app erano poche e acerbe. Molti dicevano: «Non prenderanno mai piede, meglio il vecchio Nokia che non si scarica mai». Oggi non solo sono diventati indispensabili, ma hanno rivoluzionato lavoro, comunicazione e intrattenimento al punto che non riusciamo più a immaginare una vita senza di loro. E fanno decisamente molto di più di quello che facevano i telefoni cellulari.
Lo stesso accadde con i computer: i primi personal computer degli anni ’80 erano macchine costose, lente e con pochissimi programmi disponibili. All’epoca sembravano giocattoli per appassionati, incapaci di sostituire le macchine da scrivere. Eppure, con l’evoluzione del software e di Internet, hanno cambiato radicalmente il modo in cui produciamo, studiamo e persino socializziamo. O ancora: quando i televisori piatti arrivarono sul mercato, costavano dieci volte più di un tubo catodico, offrivano una resa visiva decisamente peggiore e spesso si guastavano facilmente. Oggi, nessuno rimpiange davvero il vecchio televisore a tubo catodico o le trasmissioni in bassa definizione e i pannelli LCD o OLED sono diventati un oggetto comune nelle case.
Le resistenze non sono mai mancate nemmeno in campo industriale. La Olivetti, quando lanciò le prime macchine da scrivere elettroniche, fu accusata di “uccidere” l’anima delle macchine meccaniche, più robuste e più romantiche. Al suo interno furono addirittura separate le due divisioni meccanica e elettronica, con l’una in antitesi all’altra. Eppure la scrittura elettronica aprì la strada ai word processor, al desktop publishing e infine alla digitalizzazione totale del lavoro d’ufficio. Lo stesso avvenne nel settore musicale: i CD vennero considerati “freddi” rispetto al vinile (e all’inizio lo erano, la digitalizzazione era pessima), e lo streaming addirittura “la morte della musica”. Eppure, se guardiamo oggi, il digitale ha reso l’accesso alla musica universale e immediato, pur lasciando spazio a nicchie di collezionisti e nostalgici.
Combattere l’auto elettrica, oggi, significa opporsi a un processo inevitabile e ripetere le stesse resistenze che la storia ha già visto e superato decine di volte. Non perché “lo dice Bruxelles” o “lo impone Greta”, ma perché la tecnologia elettrica è semplicemente più efficiente, più sostenibile e progressivamente più economica. Come tutte le innovazioni, oggi ha difetti e limiti, ma questi difetti verranno progressivamente risolti, proprio come è successo con le batterie degli smartphone, con i colori dei televisori piatti, o con la lentezza dei primi computer.
La storia insegna che resistere all’innovazione non ha mai funzionato: si può rallentarla, ostacolarla, denigrarla, ma non fermarla. Il futuro non chiede permesso, arriva e basta. E spesso, quando ci guardiamo indietro, ci chiediamo come fosse possibile averne avuto così tanta paura.
» PENSIERI FRANCHI: Le ferie servono a staccare
Per lungo tempo ho odiato la formula “ho bisogno di staccare”. Staccare da che? Da cosa? L’ho odiata profondamente perché mi sapeva di figura retorica inutile, di luogo comune ripetuto a pappagallo più per atteggiarsi a persona piena di impegni che per reale esigenza di una pausa, di riposo.
“Staccare” è diventato un tormentone, un modo di dire fastidioso, applicato senza senso a ogni situazione per dire che non si ha più tempo o voglia di fare qualcosa. Presto ha anche generato delle sotto versioni, ancor più fastidiose. Per esempio “al lavoro uso già il computer tutto il giorno, quando torno a casa ho bisogno di staccare”. Che è, se possibile, un’affermazione ancora più insensata. Come se ci fosse un massimo di ore, un tetto al di sopra del quale non sarebbe più possibile fare una determinata cosa. Sarebbe come dire che, chi fa il cuoco per mestiere, quando torna a casa non mangia perché ha già cucinato tutto il giorno e ha bisogno di “staccare”. Assurdo.
Ma in fondo è solo una delle mie mille ossessioni che non hanno giustificazioni reali. Per quanto il termine sia spesso usato male, a sproposito e talvolta risulti persino cacofonico, alla fine un significato ce l’ha. L’ho maturato proprio in questo agosto, quando mi sono concesso qualche giorno di vero riposo.
In questi giorni ho avuto modo di ripensare alle vacanze che facevo da piccolo, che poi non erano molto differenti da quelli che facevano tutti gli altri. “Vacanze”, negli anni ’80, significava andare in qualche posto diverso dal solito o anche semplicemente fare qualcosa di diverso dal solito. Si “staccava”, insomma.
Chi, come me, aveva la fortuna di avere una casetta in campagna, magari anche precaria, passava tutto il tempo a disposizione lì, “al paese”, lontano dalla quotidianità del resto dell’anno. Chi invece non aveva questa fortuna, faceva altro. Per esempio andava al mare sul litorale romano. A Ostia, a Fregene, a Ladispoli. Magari anche tutti i giorni prendendo il treno, con la borsa frigo, il panino con la frittata e l’occorrente per passare la giornata al mare. Tutto ciò bastava per sentirsi in vacanza. Bastava fare qualcosa di diverso dal solito, bastava “staccare”.
Oggi, invece, tutto questo non basta più a definire una vacanza: dal semplice “staccare” siamo passati alla necessità dell’esperienza — meglio se instagrammabile. Se hai la fortuna di vivere in una località di mare o almeno così vicino da poterci andare ogni giorno, non è comunque vacanza, è una sorta di ripiego, la vera vacanza prevede altro.
Prevede l’essere andati in un posto che puoi raccontare, che puoi postare sui social con immagini incredibili e hashtag memorabili. Poi magari c’è anche il mare, ma quello è più un contorno. Una sorta di fase di decompressione dalla vacanza, che è stata a suo modo faticosa. Proprio perché la vacanza non è più legata al riposo, bensì a qualcosa di unico e di irripetibile, a un’esperienza.
D’altronde, alla macchinetta del caffè, non farebbe mai effetto rispondere alla domanda «E tu dove sei andato quest’estate?» con un semplice «a Ladispoli». Suonerebbe come dire “non ho fatto niente”. Molto meglio dire “abbiamo fatto due settimane a New York”, oppure “abbiamo fatto un bel giro del Nord Europa” o ancora “abbiamo fatto una meravigliosa crociera in barca”.
Perché poi, delle vacanze, non conta il risultato pratico, contano le tracce che ne rimarranno su internet, la prova tangibile che hai fatto qualcosa di rivendibile sui social, di socializzabile alla macchinetta del caffè o durante l’aperitivo dopo l’ufficio. Rimarranno i tramonti fotografati col grandangolo, i selfie con la lingua di fuori, i piatti del ristorante (meglio se stellato) fotografati con la macro e quei commenti fintamente distratti o di rivincita sociale tipo “stasera cena in centro a Parigi, perché ce lo siamo meritati” che poi danno il via alle reazioni degli amici “vai, sei grande Ezio!”, “Te lo meriti! Sei una bella persona!” (Ezio è chiaramente un nome di fantasia scelto attentamente per non dar adito a nessuno di pensare “sta parlando di me”. No, tranquilli, non sto parlando di nessuno di voi, parlo in generale).
Anche io, quest’anno, mi sono concesso una vacanza instagrammabile, lo ammetto. È stato bello, soprattutto perché l’ho vissuta con la mia famiglia. L’ho fatta — e ne farò ancora altre finché me lo potrò permettere e finché i ragazzi ci seguiranno — perché so che così ho costruito dei ricordi che sono preziosi oggi e che lo saranno ancora di più quando, in vecchiaia, ripenserò alla mia vita e a quelli che sono stati i momenti più belli.
Le vancanze, da questo punto di vista, sono una bella collezione di ricordi, una album di fotografie che rimangono nella memoria. Mia e, spero, in quella dei miei figli. Spero, insomma, che un giorno potranno parlare dei propri genitori con i propri figli ricordando di quando, in quell’agosto del 2025, sono andati in Francia e provato con mano quanto i francesi abbiano un problema con le toilette.
Però, a essere onesti al 100%, ho apprezzato anche la settimana successiva, passata a casa a fare tutto quello che più mi piace fare e che non riesco quasi mai a fare durante l’anno. Finire un videogioco, cucinare tutti i giorni e mangiare con tutta la famiglia, concedermi il lusso di scendere la mattina a comprare la colazione, bere una birra gelata tutti i giorni senza pensare al fegato dolorante e agli esami del sangue.
Insomma, alla fine, anche se non avrei mai detto di poterlo pensare, è stato bello “staccare”. Anche se difficilmente lo potrò raccontare alla macchinetta del caffè, anche se difficilmente potrò postare qualcosa sui social, è stato bello evadere semplicemente dalla quotidianità facendo cose che durante l’anno non avrei potuto fare. Alla fine, avevano ragione i miei genitori: vacanza è ovunque tu possa concederti ciò che ti piace, quando ti va. E non importa il posto, importa piuttosto con chi sei.
Franco A.
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
Buongiorno Franco,
Questo è un argomento interessante e molto dibattuto tra gli amici!
Oltre a quello che scrivi tu, credo che ci sia dell'altro.
Personalmente, penso che sia un qualcosa di molto profondo e radicato nel nostro DNA, legato alla "fisicità" e alla manualità, all'abitudine di avere a che fare con meccanismi magari più o meno complessi, ma comprensibili, e ad avere qualcosa da toccare, spingere o schiacciare.
Perché leggo un libro anziché le stesse parole su un Kindle? Perché ascolto i dischi in vinile sul giradischi e non da Spotify? Perché in molti preferiscono ancora un'auto con il cambio meccanico anziché automatico? Perché in molti godono delle vibrazioni delle loro vecchie moto, del rumore degli scarichi di un'auto sportiva o dell'odore della benzina bruciata?
Io ho 58 anni, e quando ero adolescente smontavo e rimontavo i motorini con gli amici. Cambiavamo il pignone, la puleggia, il carburatore, la marmitta... Siamo cresciuti nell'analogico e ora dobbiamo diventare digitali.
Ho una band rock con gli amici e quando il chitarrista che suona con noi è passato dai pedalini analogici (meravigliosi) con l'amplificatore a valvole (meraviglioso) a un sistema completamente digitale, noi siamo rimasti piuttosto perplessi. Eppure il suono — non dovremmo pensare solo al suono? — era, anzi, è migliore, indubbiamente migliore, ma manca qualcosa. Forse manca l'artigianalità di costruirsi il suono da soli attraverso l'utilizzo di manopole e potenziometri, manca l'odore delle valvole che si scaldano, manca quel rumore di fondo che faceva percepire la musica come "vera".
Sono sicuro che capisci esattamente quello che sto dicendo e credo che tutto questo influenzi molto la scelta dell'auto, soprattutto per le persone della mia generazione. Io, pur avendo l'iPhone da anni, rimpiango ancora la tastiera del BlackBerry...
Detto questo, direi che ci sono ancora un paio di cosette da aggiungere.
Da quando le automobili hanno una centralina elettronica che ormai governa tutto, sappiamo bene quanto costa farla sistemare quando non funziona più e, di conseguenza, guardiamo ancora all'elettronica dell'auto con grande diffidenza.
Certamente, i cinesi stanno facendo progressi enormi nel campo delle auto elettriche, ma non abbiamo ancora una casistica legata ai guasti e ai costi di riparazione. È difficile spendere 30-40 mila euro per un'auto magari bellissima e con funzioni pazzesche senza sapere quali potrebbero essere le problematiche e i costi per risolverle, quindi andiamo cauti. Molto cauti.
Grazie come sempre della tua newsletter del lunedì che io non vedo l'ora di leggere.
Ciao
Ivano
Hai visto anche tu no? Il problema più grande delle auto elettriche è politico. È vista come una scelta dettata da altri, non noi stessi, come invece non erano i primi TV LCD (che erano davvero osceni) e i primi Smartphone. Aggiungi a questo il fatto che le auto hanno raggiunto prezzi astronomici (mi si è rotta l'auto appena comprata l'anno scorso e sto piangendo perché devo comprarne un'altra) è facile che venga additata come il male. Ma non c'è nessuna ragione concreta dietro l'astio. Piccola aggiunta, ma ovviamente imho: negli ultimi anni quanti guasti alle auto dovuti ai sistemi elettronici oramai onnipresenti? Elettronico=elettrico=problemi (e quindi costi).
Pensieri Franchi: staccare invece è una parola che amo perché è vera, ed è quello che ti fa fare la (vera) vacanza. Staccare dalle abitudini quotidiane, staccare dalle brutte persone che ti circondano, staccare dal rumore infinito dell'informazione, che ci arricchisce ma costa molta fatica scremare. Le mie vacanze sono quello. Una settimana, magari dieci giorni con la mia famiglia a parlare, giocare e leggere. Stare insieme. Strano come una cosa così banale oggi sia quasi rivoluzionaria, non trovi? Buona settimana a tutti