Le tasse
È un argomento quasi tabù in Italia, eppure, se veramente le detestiamo, dovremmo quantomeno conoscerle. Un approfondimento su tasse e bilancio dello stato.
Tempo stimato per la lettura: 26 minuti
Una premessa importante: questa newsletter settimanale nasce, cresce e si concretizza nel giro di qualche ora, rubata al mio tempo libero e alla mia famiglia. A volte capita che abbia il tempo di rileggere tutto a distanza di giorni, altre volte non ho nemmeno il tempo di riguardarla. Se trovi degli errori, piccoli o grandi che siano, porta pazienza. Magari segnalameli, te ne sarò grato.
» PENSIERI FRANCHI: Non è un paese per onesti
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Cinque o sei anni fa, fui vittima dell’ennesima stortura di un sistema fiscale, quello italiano, che è quanto di più iniquo e vessatorio esista tra i paesi occidentali. Sono una partita iva da praticamente tutta la vita lavorativa e negli anni, ahimè, ho collezionato una discreta quantità di questi casi. Io che di natura sarei tutto meno che la persona giusta per gestire il lavoro in proprio, io che se solo mia moglie mi dice “è arrivata una raccomandata” già vado in ansia pensando che sia un’avviso dell’Agenzia delle Entrate che mi contesta chissà cosa.
Io poi sono anche un fiero sostenitore delle tasse. Si, lo dico a rischio di sembrare scemo, ma penso che pagare le tasse (tutte) sia la prima forma di civiltà e di rispetto del prossimo. Inutile che vi stia a dire che non pagarle è in fondo come rubare a chi le paga tutte, che in Italia poi significa dipendenti e pensionati, ma questo è un altro discorso.
Pagare le tasse è in fondo anche una questione di DNA civile. Mi riallaccio alla puntata su Berlino, citando una battuta dello standupper Francesco De Carlo che, parlando dell’Inghilterra, ricorda come il detto “di sicuro nella vita ci sono solo la morte e le tasse” in Italia diventi, guarda caso, “nella vita di sicuro c’è solo la morte”.
Beh, qualche anno fa mi arrivò una raccomandata, ma non da Agenzia delle Entrate, bensì da Agenzia Riscossione, che in pratica è il rebrand dell’odiata Equitalia fatto dopo che Renzi decise di chiudere quest’ultima. In realtà gli cambiò solo nome, ma vabbè. Arrivò questa raccomandata per una rata dell’IVA che saltai e di cui francamente non ricordavo nulla.
Mi fece anche strano il fatto che arrivasse da Agenzia Riscossione perché, lo spiego a chi non è pratico, le fasi con cui lo Stato ti avvisa che devi pagare qualcosa che non hai pagato sono tre: prima ti arriva un avviso “bonario” da Agenzia delle Entrate, che ti ricorda appunto che hai un debito e che ti propone il saldo con interessi e sanzioni calmierati. Poi te ne arriva un altro e solo dopo che sono passati mesi da questi due avvisi, se proprio non ti sei messo in regola, allora il tutto viene passato ad Agenzia Riscossione, che invece ci va giù dura con interessi e sanzioni.
Io, nella mia storia di contribuente, pure quando ho avuto serissime difficoltà (e magari una volta vi racconterò pure questo), non sono mai andato oltre il primo avviso bonario. Quindi mi sembrava molto strano ricevere quella raccomandata da Agenzia Riscossione. L’importo che non avevo pagato era di 2100€ circa. Con gli interessi e le sanzioni si andava a finire a 3200€. Non poco. Andai quindi a chiedere spiegazioni all’Agenzia delle Entrate di Biella, dove l’impiegato mi confermò candidamente che no, non c’entravo nulla con il fatto di aver saltato l’avviso bonario. La colpa era di Poste Italiane che non mi aveva recapitato le raccomandate precedenti e lui ne aveva prova sul suo terminale. “Benissimo!” Ho detto io, “allora posso pagare quanto dovuto senza i 1000€ in più di sanzioni per il ritardo?”. “Assolutamente no! Lei paga e poi si rivale su Posta Italiane per il disguido”. “Scusi, rivale in che senso? Devo fare causa a Poste Italiane?”. “Eh in pratica si”.
Fare causa a Poste Italiane è un po’ come dire “attaccati e paga”. Ora, siccome 3000€ non è che te li trovi così, in tasca, sono voluto andare anche alla filiale di Agenzia Riscossione per sentire che possibilità avevo di rateizzare questo importo. Mentre ero in coda scoprì che era periodo di rottamazioni e di saldi e stralci. Davanti a me c’era uno che, grazie a questa regalia del governo del momento , ridusse i 20.000€ di debito con lo stato a 4000€. Arrivato allo sportello l’impiegato mi disse “ah, mi spiace, per pochi giorni non rientra nel saldo e stralcio. Però faccia così, non la paghi questa cartella, vedrà che nell’anno nuovo ne faranno un altro e gliela cancelleranno”. Ignorare una cartella che è già nella fase più avanzata e allarmante che il mio essere contribuente rigoroso può tollerare, è qualcosa che richiede una forza che non avrò mai. Perciò sono uscito sconsolato e ho regalato questi 1000€ in più allo Stato ringraziando Poste Italiane in modi che non posso ripetere.
Ve lo racconto perché mi è tornato in mente questo episodio e mi sono sorti spontanei questi due pensieri (franchi): il primo è che in Italia, pur lamentandoci costantemente di un’evasione che ci toglie letteralmente una bella fetta di soldi dalle casse con cui potremmo fare molto, è il sistema stesso che ti induce a evadere. Un pensiero rafforzato dal mega condono proposto in Senato proprio in questi giorni dai tre partiti di maggioranza. Il sistema da un lato ti vessa, dall’altro ti dice “vabbè ma non pagare, tanto poi arriverà un condono e cancellerà tutto”. Così, in pratica, chi è abituato a evadere o a non pagare, continuerà a non pagare nulla e il povero scemo - leggasi l’onesto contribuente - pagherà più di tutti gli altri. Finché i meno fermi di spirito diranno “senti ma sai che c’è? Non pago più nemmeno io”. A discapito poi di chi questa scelta non può farla.
L’altro pensiero che ho fatto è che spesso chi ha una partita iva si indebita perché, proprio a causa di questa gestione fantasiosa delle tasse, sviluppa un rapporto malsano con il denaro. Mi spiego: A forza di veder transitare sul tuo conto migliaia di euro che poi, con una certa regolarità, scompaiono anche grazie a sorprese inaspettate che da un momento all’altro ti tolgono migliaia di euro così, senza che tu abbia nemmeno capito come, i soldi perdono di valore.
Intontito da questo entra e esci di grandi quantità di denaro, finisci per dirti “massì, le vacanze costano 2000€? Tanto magari domani arriva una raccomandata e me ne tolgono 4000€, facciamolo!”. In altre parole non sei mai padrone dei tuoi soldi come quando hai una busta paga e quello che ti rimane sai che è tuo, che ci puoi fare dei programmi su quei soldi. Da partita iva no, infatti la domanda più complicata a cui un libero professionista deve poter rispondere è “quando guadagni?”. Provateci, nessuno lo saprà realmente se non due anni dopo rispetto al momento in cui glielo chiedete.
Essere una partita iva in Italia, in pratica, ti espone a due comportamenti malsani: il primo è quello di avere un’atteggiamento nei confronti del Fisco estremamente libero: “Massì questa non la pago, tanto alle brutte poi faccio un saldo e stralcio, un condono, il resto rateizzo e poi magari mi cancellano pure quelle”. Il secondo è che non sai mai quello che è veramente tuo e di conseguenza spendi soldi così, pure quando non ce li hai, perché in fondo non sai quali sono realmente tuoi e quali invece devi allo Stato. E in tutto questo, ovviamente, c’è chi se ne approfitta e allarga a dismisura quella voragine che è l’ingiustizia sociale e l’iniquità fiscale, che è uno dei veri mali di questo paese. Forse il più grande in assoluto.
Ah quanto sarebbe bello se pure le partite iva avessero le tasse trattenute alla fonte. Anni fa, secoli prima della fatturazione elettronica, progettai pure un sistema per farlo, dove chi emetteva la fattura doveva farlo direttamente dal sito dell’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima si faceva anche intermediario per la riscossione trattenendo alla fonte tutte le tasse e girando al creditore soltanto il netto. Un sistema che in un colpo solo velocizzerebbe i pagamenti, garantirebbe più introiti per lo Stato e darebbe la tranquillità alle partite iva che i soldi che ricevono sono puliti, che sono soldi veramente loro, su cui potranno fare progetti perché non arriverà poi una raccomandata a dirgli “mi spiace, quest’anno le vacanze non le fai perché i soldi me li prendo io”.
Sarebbe anche un sistema equo, che metterebbe sullo stesso piano tutti, lavoratori dipendenti e indipendenti. Ma sarebbe anche un sistema enormemente complesso e che coinvolgerebbe troppi soggetti. Per cui mi sa che rimarrà tutto così ancora per tanto: se sei furbo non paghi nulla e il governo di turno farà di tutto per tutelarti. Se sei un cagasotto invece pagarai tutto e anche un pezzetto di quello che avrebbe dovuto pagare quello più furbo di te.
D’altronde ce l’abbiamo nel DNA, in Piemonte si usa dire “fatti furbo”, come se essere furbo fosse un valore assoluto e non qualcosa di cui vergognarsi. In Italia ottenere un vantaggio è qualcosa di positivo anche se questo vantaggio è a discapito di un altro e lo Stato è visto come un ente superiore che ha casse infinte da cui attingere più che si può. Ma lo stesso vale per i lavoratori di un’azienda, che spesso pretendono dall’azienda qualsiasi cosa perché più riesci a ottenere e meglio è, mors tua vita mea.
Forse, ritornando ancora una volta a Berlino, a mancare è l’abitudine di pensare alla cosa pubblica come a qualcosa di tutti, e non a qualcosa di qualcuno a cui dobbiamo cercare di estorcere il più possibile. E l’emanazione di tutto ciò è una classe politica che poi, quando siede al posto di chi deve decidere, non può che ragionare come ha sempre fatto, favorendo ancora di più questo sistema tossico di gestione dello Stato che riempie la burocrazia e la fiscalità di regole e regolette che fanno impazzire il lavoratore onesto e che invece aprono un ventaglio di possibili scappatoie a chi è abbastanza scaltro da poterle sfruttare senza alcuno scrupolo o mal di pancia.
L’Italia, in fondo, non è un paese per onesti.
Buona lettura.
Franco A.
» LE TASSE, QUANTE NE PAGHIAMO E DOVE FINISCONO
In fondo non è un argomento così banale. Io stesso ho scoperto, dopo diversi anni di partita iva, come funziona realmente il discorso delle tasse, che in Italia è davvero complesso. Questo è uno dei problemi principali del nostro paese: non è quello che le tasse sono troppo alte, è che non si capiscono. E anche che sono troppo differenti da categoria e categoria. E soprattutto che le paghiamo veramente in pochi. Ecco, forse allora i problemi sono tre.
Da qui sono partito per fare una puntata di Insalata Mista che è di nuovo di servizio pubblico. E direte voi: ma che c’entra questo con la tecnologia, l’intrattenimento e l’attualità (i temi che vi avevo promesso avrebbe trattato questa newsletter)? Niente, ma oggi mi sono svegliato così.
Cos’è il PIL, il debito e il deficit.
Sono tre concetti semplici, ma siccome il diavolo sta sempre nei dettagli, andiamo a vedere alcune storture che vengono utilizzate spesso da informazioni ufficiale governativa e non ufficiale (la stampa) per prenderci per i fondelli.
Il PIL è il Prodotto Interno Lordo, ovvero quanto l’Italia produce, quanto “fattura” direbbe il Milanese Imbruttito. Nel 2023 è stato di 2.085.376 milioni a prezzi di mercato, in aumento del 6,2% rispetto al 2022. Però la crescita del PIL è stata “solo” dello 0,9%, come mai se il valore è cresciuto invece del 6,2%, ovvero da 1.909 a 2.085 miliardi? La differenza sta tutta in quel “prezzi di mercato”.
La definizione “ai prezzi di mercato” si riferisce al valore di beni e servizi prodotti all’interno di un’economia, misurato al loro prezzo corrente sul mercato. Questo significa che il PIL ai prezzi di mercato considera il valore di beni e servizi incluse le tasse indirette (come l’IVA), mentre esclude i sussidi erogati dallo stato.
L’aumento del 6,2% rispetto all’anno precedente è dovuto principalmente a variazioni dei prezzi e all’inflazione. Quindi, questo aumento non riflette una crescita reale della produzione, ma include l’aumento dei prezzi dovuti all’inflazione.
Il calcolo della variazione del PIL si fa invece sulla “crescita in volume”. Quando si parla di crescita del PIL “in volume”, ci si riferisce alla variazione reale della quantità di beni e servizi prodotti, senza considerare l’effetto dell’inflazione. Quindi si considera l’effettiva crescita economica al netto dell’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione.
Quindi, nel 2023, l’economia italiana è cresciuta in volume dello 0,9%, che è una crescita molto più modesta rispetto al 6,2% in termini nominali, perché tiene conto solo dell’incremento reale della produzione di beni e servizi, escludendo l’inflazione.
E quanto abbiamo speso?
Anche in questo caso, stando al dato freddo, non sarebbe andata così male. Infatti la spesa nel 2023 si è attestata al 54,4% del PIL, mentre nel 2022 era al 54,6% del PIL, quindi anche in leggerissimo calo. «Benissimo!» direte voi (l’ho detto pure io), «quindi ci sono rimasti in tasca un sacco di soldi!». Eh no, perché poi ci sono gli interessi sull’enorme debito che negli anni abbiamo accumulato. E siccome continuiamo a spendere più di quello che entra, la differenza viene colmata chiedendo altri soldi in prestito, il che va ad ampliare la quantità di soldi che poi dobbiamo restituire ogni anno.
La spesa pubblica italiana rappresenta il 54,5% del PIL, e questo include tutte le principali aree in cui lo Stato destina le risorse, ma la spesa eccede comunque le entrate a causa del deficit che deve essere coperto con l’indebitamento. E qui c’è l’altro termine che merita di essere spiegato: il deficit. Anche detto “disavanzo”.
Il deficit è la differenza negativa tra le entrate e le spese di uno Stato in un determinato periodo (di solito un anno). In altre parole, si verifica un deficit quando lo Stato spende più di quanto riesce a raccogliere tramite le sue entrate, principalmente provenienti da tasse e imposte.
Quando le spese superano le entrate, lo Stato ha un disavanzo o deficit. Per coprire questo deficit, lo Stato si finanzia ricorrendo all’indebitamento, emettendo titoli di Stato (come i BTP) che devono essere rimborsati con gli interessi.
In pratica, se guadagnate 2000€ al mese e ne spendete 2500€, ogni mese dovrete procurarvi quei 500€ chiedendo dei prestiti, la cui somma da restituire però si accumula anno dopo anno e va a concorrere nel DEBITO PUBBLICO, quella roba monstre che oggi ammonta a ben 2.946,6 miliardi di euro, ovvero ben 50.000€ a cranio (dato di luglio 2024).
Quali sono le entrate dello stato?
Finora abbiamo parlato di PIL, che è un indicatore complessivo del valore dell’economia. Ma nel PIL ci sono un sacco di cose che non rappresentano un’entrata per lo Stato (tra cui, banalmente, i soldi che rimangono in tasca alle persone).
Il valore delle entrate nel 2023 è stato di 996 miliardi, una cifra che deriva principalmente da 4 capitoli di entrate:
Imposte: le imposte sono la fonte principale di entrate per lo Stato e sono divise in:
IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche): un’imposta diretta che grava sui redditi delle persone fisiche;
IRES (Imposta sul Reddito delle Società): un’imposta che grava invece sui redditi delle società;
IVA (Imposta sul Valore Aggiunto): un’imposta indiretta sui consumi, applicata a beni e servizi;
Accise: imposte indirette su specifici beni di consumo, come carburanti, tabacco e alcol.
Contributi sociali: Pagati da lavoratori e datori di lavoro, questi contributi finanziano il sistema di previdenza sociale, come le pensioni e le prestazioni assistenziali (INPS, INAIL, ecc.).
Entrate non tributarie: sono tutte le entrate extra-tasse, ovvero i proventi di attività economiche come la gestione del patrimonio pubblico, le multe e sanzioni, e altre fonti di guadagno derivanti da monopoli statali (ad esempio, i proventi derivanti dalle concessioni statali per il gioco d’azzardo o le lotterie).
Debito pubblico: lo dicevamo prima, quando serve (cioè sempre), lo Stato emette titoli di Stato (BTP, CCT, BOT, etc.) per finanziarsi attraverso il debito, che sarà poi rimborsato con gli interessi.
Tra parentesi, le accise nel 2023 hanno pesato per circa 35 miliardi, praticamente una manovra finanziaria. Vi ricordo che ben due membri dell’attuale governo hanno fatto campagna elettorale promettendo un taglio delle accise, anche in modo simpatico e goliardico. Secondo voi lo Stato può fare a meno di 35 miliardi, stando così i conti? Ecco, so che vi siete risposti da soli.
E quindi? Come li spendiamo nel dettaglio questi soldi?
Se sono entrati 996 miliardi, quanti ne saranno usciti? Circa 1.146 miliardi di euro. Di questi, 78,6 miliardi sono stati spesi per pagare gli interessi sul debito pubblico. Attenzione che qui arriva un altro termine tecnico: la spesa primaria, ovvero quella al netto degli interessi sul debito, è stata di circa 1.067 miliardi di euro. Come la metti la metti, abbiamo speso ben 150 miliardi in più di quello che è entrato. Molto bene.
Per avere un dettaglio di come spendiamo i soldi che entrano, bisogna prendere in considerazione i dati previsionali del 2024 di Pagella Politica, che ha pubblicato questa tabella molto chiara:
In pratica, la prima volta di spesa, circa un terzo del totale, è proprio il rimborso del debito pubblico per un totale di 327,2 miliardi (prima abbiamo visto che 78,6 miliardi sono gli interessi, ma poi c’è anche la quota capitale). Poi ci sono, in rapida successione, le “relazioni finanziarie con le autonomie territoriali", pari a 147 miliardi di euro. Con questi soldi lo Stato finanzia gli enti pubblici e la pubblica amministrazione, per esempio aiuta le varie regioni a sostenere la loro spesa sanitaria.
Poi ci sono i fondi per le politiche previdenziali (135 miliardi), ovvero le pensioni, e quelli per le politiche economico-finanziarie (119 miliardi), che comprendono la gestione delle risorse economiche dello Stato.
Insomma, poco meno della metà della spesa pubblica viene assorbita dai debiti e dalle pensioni. Un bel problema, perché spendendo ogni anno di più ed essendo l’Italia un paese a demografia negativa, cioè un paese in cui l’età media avanza sempre di più e ci sono più decessi che nascite, la situazione peggiorerà sempre di più.
Come se ne esce? Sulla seconda potrei dirvi che la soluzione è una sola, ma so che molti di voi non vogliono sentirselo dire e allora non scriverò “immigrazione”. Per la prima voce però, il debito, qualcosa si potrebbe fare, se solo fosse meno iniquo il sistema tributario nei confronti delle varie categorie di lavoratori e soprattutto se fosse più ampia la platea di chi paga le tasse. Anche qui in molti non gradiranno la parola che dovrei dire e quindi non dirò “evasione”.
Quanto si paga di tasse in Italia? E quanti le pagano?
In Italia le tasse sono progressive. Sembra una frase fatta, di quelle che si ripetono come un mantra, ma un sacco di gente non l’ha ancora capito (io stesso l’ho capito solo qualche anno fa). Progressiva non significa che, visto che le tasse si pagano in percentuale sui redditi, allora aumentano all’aumentare dei redditi. Progressiva significa che aumenta l’aliquota, cioè la percentuale di tasse pagate, al crescere del reddito.
Ora, quando parliamo di tasse, parliamo principalmente di tasse dirette (quindi non IVA e accise) sulle persone fisiche, ovvero di l’IRPEF. Poi c’è pure quella sulle società, ma qui stiamo parlando delle tasse dirette sulle persone.
Le aliquote erano quattro fino a quest’anno, quando le prime due aliquote sono state accorpate in una sola. Quanto si paga? Ecco:
23% per i redditi fino a 28.000 euro;
35% per i redditi da 28.001 a 50.000 euro;
43% per i redditi superiori a 50.000 euro.
Un’altra cosa importante che va saputo è che se produci reddito per 51.000 euro non pagherai il 43% su tutti e 51.000€, bensì sulla parte che eccede la soglia di quella aliquota. Quindi, nel caso dell’esempio, sui 1000€ che eccedono i 50.000. Mentre si pagherà il 23% fino ai 28.000 euro e il 35% fino ai 50.000 euro. Capito il perché del termine “progressiva”?
Questa progressività è stata completamente buttata all’ortiche quando uno dei peggiori politici della storia ottenne un contentino da parte del governo di turno che gli fece passare l’abominio della cosiddetta flat tax, ovvero la tassa piatta, che perde quindi il carattere di progressività.
Che poi, in realtà, non è per niente una tassa piatta, è semplicemente un’altra aliquota che vale soltanto per chi aderisce a un regime particolare, detto forfettario, che contempla delle semplificazioni nella gestione contabile sia da parte del contribuente che da parte dello Stato.
Ora, lo scopo di questo regime era quello di semplificare la vita alle finte partite iva, ovvero a quei lavori con redditi molto bassi, il più delle volte dei dipendenti occulti a cui il datore di lavoro ha fatto aprire la partita iva anziché proporgli un regolare contratto di lavoro dipendente. Si parlava inizialmente di redditi attorno ai 30.000 euro, quindi redditi molto bassi a cui un’aliquota più bassa poteva equilibrare una situazione di disequilibrio delle tutele del lavoratore piuttosto importanti (mancanza di ferie e malattie retribuite, eccetera).
Quando divenne la bandiera di questa fazione politica, che la sfruttò per raccattare quattro voti, divenne di fatto la più grande violazione del patto tra Stato e cittadini lavoratori (dipendenti, in particolar modo), perché oggi si può giovare della flat tax fino a 85.000 euro di reddito. Che non è certo un reddito da ricchi, ma è sufficiente comunque a creare una voragine di ingiustizia nei confronti dei lavoratori dipendenti che non hanno un’opportunità analoga.
Ovviamente non c’è solo l’IRPEF, ci sono anche le imposte indirette come l’IVA e poi la quota da versare all’Istituto di previdenza sociale, INPS o casse private che siano, che di solito può essere una parte piuttosto consistente dell’esborso annuale e che è anch’esso proporzionale al reddito.
Ora, per sfatare un ultimo mito, quello del “io pago [inserire una percentuale senza senso a caso] di tasse!”, facciamo una simulazione su tre scaglioni di reddito:
Con 50.000€ di reddito, si paga:
IRPEF: 14.140€
Contributi INPS (da partita iva non forfettario): 12.247€
Totale imposte e contributi: 26.387€
Con 100.000€ di reddito, si paga:
IRPEF: 35.640€
Contributi INPS (quota dipendente): 24.487,43€
Il totale di imposte e contributi sarebbe quindi di 60.127,43€ (la vedete la progressività? Reddito doppio, tasse più che doppie)
Con 200.000€ di reddito, si paga:
IRPEF: 78.640€
Contributi INPS (quota dipendente): 27.797,134€
Totale imposte e contributi: 106.437€
Questa simulazione, oltretutto, demolisce anche un altro luogo comune, cioè che l’evasione sarebbe in qualche modo stimolata dal fatto che al superare una certa soglia di reddito la tassazione cresce troppo e si finisce per lasciare tutto nelle mani dello stato.
La teoria sarebbe quindi che il contribuente è invogliato a rimanere entro certi limiti evadendo tutto il reddito eccedente. Tolto il fatto che non ci sarebbe nulla di male al fatto che chi percepisce un reddito molto alto contribuisca di più, che poi è un criterio assoluto di redistribuzione della ricchezza che dovrebbe essere alla base dello stato sociale, non è assolutamente vero, anzi, è vero l’esatto contrario.
Noterete infatti come chi produce 200.000€ di reddito paga un totale di IRPEF + INPS che non è più che doppio rispetto a chi produce 100.000€ di reddito. Questo perché l’INPS non è progressiva e ha anzi un massimale contributivo che per il 2024 è fissato intorno a 113.520€, oltre i quali non si paga più.
ENORME P.S.: non sono un fiscalista, prendete le cifre con le pinze, quello che mi interessava era il concetto generale. Dai, avete capito.
In quanti le paghiamo ‘ste benedette tasse?
Secondo le dichiarazioni del 2022 (le ultime disponibili) relative ai redditi 2021, in Italia hanno presentato una dichiarazione dei redditi circa 41 milioni di italiani su 59. Di questi, il 26% ha dichiarato redditi fino a 15.000€, quindi dentro la no-tax area oppure con sgravi fiscali importanti. Questo 26%, che corrisponde a poco più di 10 milioni di persone, ha versato complessivamente il 3,6% dell’IRPEF complessiva.
Sopra i 70.000€ di reddito c’è soltanto il 4% dei lavoratori, che da soli sostengono un terzo dell’IRPEF nazionale versando il 31% del totale. Stiamo parlando di 1,64 milioni di persone che alimentano il 31% delle tasse di un paese di quasi 60 milioni di persone e se qualcuno si azzarda a chiamarli “paperoni” giuro che trasformo questa Insalata in “Insalata Avvelenata”.
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» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
» La NATO pensa a un cavo tra Stati Uniti ed Europa per la sicurezza energetica
Un ambizioso progetto prevede la posa di un cavo elettrico sottomarino lungo 3.500 km tra Stati Uniti ed Europa, denominato NATO-L. Questo collegamento energetico, capace di trasportare fino a 6 gigawatt, garantirà la sicurezza energetica tra i Paesi membri della NATO. Il progetto, guidato dall'Irlanda, richiederà dai 20 ai 40 miliardi di euro e circa 15 anni per essere realizzato. Se completato, sarà il primo ponte elettrico tra Nord America e Europa.
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[Fonte: DDAY.it]
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Microsoft ha rilasciato Windows App, un'applicazione che permette di accedere a Windows da dispositivi come iPhone, iPad, Mac e Android, oltre che tramite browser web. Attraverso servizi come Windows 365 e Azure Virtual Desktop, è possibile gestire sistemi Windows da remoto, con supporto per più monitor e dispositivi USB. Tuttavia, l'app è disponibile solo per utenti aziendali o scolastici e non supporta la connessione a Windows 11 Home. L'app è disponibile su Microsoft Store e App Store, con un'anteprima per Android.
[Fonte: DDAY.it]
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Factorial, in collaborazione con Mercedes-Benz, ha annunciato lo sviluppo della batteria Solstice, una batteria allo stato solido con una densità energetica di 450 Wh/kg, che aumenta l'autonomia delle auto elettriche fino all'80% rispetto alle attuali batterie NMC. Questa batteria è realizzata con un elettrolita solido a base di solfuri, sicuro e stabile, e utilizza un processo produttivo più sostenibile. Mercedes prevede di introdurre la tecnologia nelle sue auto entro la fine del decennio, puntando su questa innovazione per diventare leader nel settore delle batterie.
[Fonte: Dmove.it]
» Dopo Parigi, anche Madrid ferma i monopattini a noleggio
A partire da ottobre 2024, Madrid sospenderà il servizio di monopattini a noleggio, revocando le licenze alle tre aziende che gestiscono circa 6.000 mezzi in città. La decisione del sindaco José Luis Martínez Almeida è stata presa per motivi di sicurezza, in seguito a segnalazioni sull'uso improprio dei monopattini, che mettono a rischio i pedoni, specialmente quelli anziani. Rimarrà invece attivo e potenziato il servizio di noleggio di bici elettriche, con l’obiettivo di coprire tutta la città.
[Fonte: Dmove.it]
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Ottima insalata! Mi hai aiutato molto a capirne di più, io che sono un babbuino per certe cose. Anche se rimango dell'idea che il capitalismo sia la forma moderna e scientifica della monarchia assoluta: non ti dicono "vivi e muori lavorando per me perché sono il figlio di Dio" ma "vivi e muori lavorando per me perché un sistema inventato per scambiarsi pane e formaggio è stato applicato a valori e concetti come giustizia e salute da persone migliori di te".
👑😜 Sorry, stamattina sono polemico
90 minuti di applausi 👏🏻