Vendere online è diventato un casino
Capita sempre più spesso che aziende, piccole ditte o persone comuni pensino di aprire un negozio online. Un'operazione che fino a pochi anni fa poteva essere semplice, ma oggi lo è molto meno.
Tempo stimato per la lettura: 12 minuti
La parola di oggi: OSS, ovvero One Stop Shop, il regime col quale si può versare l’IVA per i beni venduti online fuori dall’Italia senza essere costretti ad aprire società in giro per il mondo.
IL MENÚ DI OGGI
La prima domanda da farsi, quando si vuole aprire un negozio online, è se conviene aprire un proprio sito o utilizzare un marketplace, come Amazon;
Amazon è una vetrina con milioni di utenti in tutto il mondo. Apparentemente è facile da usare e conveniente, ma non tutti conoscono la fitta maglia di costi nascosti e facoltativi, ma praticamente necessari, per ottenere visibilità all’interno della piattaforma;
Prima di tutto, prima di qualsiasi decisione, c’è sempre il problema della burocrazia: per vendere fuori dall’Italia e versare l’IVA sui beni, c’è un nuovo regolamento che semplifica il tutto, ma inevitabilmente carica sul negoziante altri costi e obblighi fiscali. Meglio farsi bene i conti, prima di prendere decisioni.
» “E SE MI APRISSI UN NEGOZIO ONLINE?”
Questa settimana ho voluto fare una piccola invasione di campo in quello che è il mio lavoro. Ho deciso di farlo perché mi rendo conto che sempre più persone parlano di vendere online senza sapere cosa effettivamente comporti; mi sembra dunque un tema non solo di grande attualità, ma che possa anche interessare una cerchia più ampia dei soli addetti ai lavori.
Molti di voi si saranno chiesti, credo almeno una volta, cosa comporterebbe vendere qualcosa online, anche solo per hobby. Vendere oggetti fatti in casa magari, oppure corsi o lezioni di lingua. Insomma, dalla pandemia in avanti, tutti abbiamo pensato almeno una volta di spostare la nostra attività o il nostro hobby online e in molti l’hanno fatto, chi con fortuna e chi meno.
Ho voluto quindi fare un compendio, più che altro sugli aspetti negativi e sui rischi. Questo non per spaventare e dissuadere le persone dal tentare la vendita online, piuttosto per mettere in evidenza ciò che spesso viene trascurato quando, presi dal naturale e sano entusiasmo per l’idea di una nuova attività, si fanno i conti senza l’oste. Il consiglio quindi non è di lasciare stare, ma di pianificare nel modo più attento e accurato possibile.
Spero vi sia tutto chiaro e che questa Insalata non vi risulti indigesta. Se avete bisogno di chiarimenti, scrivetemi pure a aquinifranco@gmail.com.
Come sempre, buona lettura.
Franco A.
» LA PANDEMIA CI HA INSEGNATO CHE SUL WEB BISOGNA ESSERCI
La pandemia del 2020 ha portato enormi cambiamenti in ogni settore industriale e nelle nostre vite personali. Uno di questi cambiamenti riguarda di sicuro le nostre abitudini di acquisto. Oggi acquistiamo molto più facilmente online, memori di quel periodo in cui eravamo costretti, e molte più attività sono sbarcate online con un sito o una piattaforma con cui vendono prodotti e/o servizi.
Per motivi professionali, sono stato spesso oggetto di queste richieste: la tal azienda mi chiamava (o mi chiama) per chiedermi come poter vendere online. Una volta la risposta era semplice, ricordo di aver costruito ecommerce anche per attività microscopiche, al limite dell’hobbismo. Oggi rispondere a quella richiesta è diventato molto più complicato. Prima di tutto, bisogna chiedersi una cosa fondamentale: “è meglio aprire un sito che venda online o mettere i prodotti su un marketplace come Amazon?”.
SITO PROPRIO O MARKETPLACE?
Aprire un sito, tecnicamente, è diventato davvero alla portata di tutti. Poi, ovviamente, ci sono mille distinzioni da fare. Chiaramente un sito professionale funzionerà meglio, sarà più veloce, sarà studiato anche e soprattutto sotto il profilo dell’usabilità, per cui faciliterà molto, al potenziale cliente, l’operazione di acquisto. Questo però non significa che i siti “fatti in casa” non funzionino, tutt’altro.
Ci sono perfino soluzioni come Shopify, che permettono all’utente finale di costruirsi un ecommerce con poche decine di euro al mese di spesa. Uno strumento che però può scalare fino a diventare una piattaforma Enterprise. Ciò nonostante, rimane un problema enorme (che approfondiremo più avanti): “come porto gente al sito?”.
Già perché una vetrina online ha un enorme vantaggio e un conseguente enorme svantaggio: è come un negozio, ma anziché poter ambire alla popolazione e al passeggio della zona, può ambire teoricamente a tutta la popolazione mondiale. Il problema, però, è che anche la concorrenza è altrettanto ampia. Come faccio ad arrivare alle persone a cui voglio vendere?
È qui che solitamente viene in mente Amazon o piattaforme analoghe. Se sbarco su un marketplace, non ho i costi iniziali di costruzione dell’ecommerce e arrivo istantaneamente a tutti i clienti del marketplace, potendo vendere in tutto il mondo. Ovviamente è una possibilità, ma va vagliata attentamente. I costi possono non essere banali e il problema della visibilità potrebbe essere lo stesso del caso in cui si venda sul proprio sito (vedremo nel prossimo paragrafo perché).
In ultimo rimane il fatto che, se la piattaforma sulla quale siamo sbarcati decidesse improvvisamente di cambiare le condizioni di vendita, avremmo le mani bloccate, essendo tutti i nostri clienti e la nostra storia su quella piattaforma. In altre parole: una volta che entri su una piattaforma come Amazon, se decidi di uscirne, cosa ti rimane in mano? Niente.
Questo non significa che Amazon non possa essere un’ottima opportunità per iniziare o per costruire un business di successo, ci mancherebbe. Bisogna però sapere bene come funziona
COME FUNZIONA AMAZON?
Amazon spiega molto bene come funziona la vendita tramite il suo Marketplace, ma questo non significa che sia facilissimo capire quanto costi, alla fine, tutto il giochino. Proviamo a spiegarlo:
I piani per vendere sono due: quello individuale e quello professionale. Entrambi prevedono delle commissioni sulla vendita, ma quello che cambia è che nel primo caso non abbiamo costi fissi, nel secondo si. Nel primo caso, però, ci viene addebitato un costo fisso a vendita (più le commissioni, ovviamente) di 0,99€ + iva (c’è anche un limite di 40 articoli al mese). Nel secondo caso invece pagheremo 39€ + iva al mese per vendere tutti i prodotti che vogliamo.
C’è poi la commissione di vendita, che Amazon chiama “commissione per segnalazione”, perché il messaggio che deve passare è che è una sorta di commissione per la visibilità. Questa percentuale varia in base alla categoria e ha sempre un minimo sotto al quale non si può andare. Una nota importante: la commissione viene calcolata sul prezzo di vendita totale, che include quindi anche i costi di spedizione o imballaggio.
Le commissioni sono variabili e vanno da un 7,21% per i prodotti informatici o elettronica, al 46,35% degli accessori per prodotti Amazon. Quindi, se vendi custodie per Kindle, il lettore di ebook prodotto da Amazon, pagherai alla stessa Amazon il 46,35% di quello che pagherà l’utente.
Questo è quello che costa vendere se a spedire il pacchetto sei tu, ma una delle domande più frequenti che mi vengono fatte è: “come si rientra nel programma Prime?”. Anche qui esistono due modi: affidarsi alla logistica di Amazon, oppure qualificarsi col programma “Prime gestito dal venditore”, che consiste nel superare una serie di verifiche da parte di Amazon per certificare che il proprio magazzino rispetti alcune (parecchie) caratteristiche.
Nel primo caso, ovvero affidare la propria logistica ad Amazon, significa questo in termini economici: una tariffa per la spedizione + una tariffa per lo stoccaggio + una tariffa per i servizi opzionali. Ora, siccome l’incrocio di tutte le casistiche non è affatto facile, vi consiglio caldamente di dare uno sguardo a questo documento.
Detto questo, tanto per fare un esempio, una busta piccola e leggera costerebbe 2,73€ per la tariffa di spedizione, a cui vanno aggiunti i 30,60€ al mese per la gestione (42,37€ da ottobre a dicembre) più i costi vari per la gestione di resi o di altre casistiche specifiche.
Poi però, fatto (e pagato) tutto questo, chi inizia a vendere su Amazon scoprirà che il suo prodotto esce in quarantesima pagina nella ricerca, e allora si farà un’altra domanda:”come faccio a vendere su Amazon se il mio prodotto non è visibile?”. Facilissimo: si fa pubblicità su Amazon. L’avrete visti i prodotti con scritto sotto “sponsorizzato”, no? Ecco, quei venditori stanno pagando Amazon esattamente come si paga Meta o Google per mettere un annuncio sui loro motori di ricerca o pagine social.
Non starò qui a farvi un corso di Amazon Ads, è davvero complesso il discorso, sappiate che Amazon stessa, sulla pagina dedicata al sevizio, dice che “bastano 10$ al giorno per aumentare le vendite”. Ecco, fatevi i conti da soli.
In coda a tutto questo ci sono da menzionare i costi che non sono espliciti, ma che sono nascosti tra le righe dei contratti. Amazon per esempio garantisce la restituzione del prodotto entro certi limiti. Saprete tutti che se vi arriva qualcosa, potete facilmente sballarla e poi rimandarla indietro, no? Ecco, provate a mettervi dal lato del venditore: vendete una macchina fotografica sulla quale avete il 10% di ricarico. Amazon prende il 7,21% + vari costi fissi. La vendete, arriva all’utente, ci fa due scatti, la rimette in brutto modo nella scatola e ve la rimanda. Amazon vi addebiterà il 20% delle commissioni per la segnalazione, con un massimo di 5€ e voi vi ritroverete un oggetto usato che non potrete più vendere come nuovo, sulla cui vendita avete pure speso dei soldi in pubblicità.
D’altronde la visibilità, ovvero il farsi conoscere, ha sempre un costo. Ma come si fa?
COME SI FA A FARSI CONOSCERE
Già, perché se anche non passi da un marketplace, ma decidi di sbarcare su internet per fatti tuoi, devi comunque affrontare il problema numero uno: come mi faccio conoscere?
Tendenzialmente si potrebbe rispondere: con la pubblicità, ma non sarebbe una risposta esaustiva. Esistono infatti mille modi per ottenere visibilità senza dare per forza dei soldi alle piattaforme. Ci si può creare una community, per esempio.
Oggi esistono tanti modi: un gruppo su Telegram o su Facebook, una Newsletter con tanti iscritti, o semplicemente un profilo Instagram con tanti follower. In tutti questi casi, sarà facile vendere alla propria community senza spendere in pubblicità. Ma questa community bisogna costruirsela e farlo senza spendere soldi può essere molto complicato, e soprattutto può richiedere molto tempo.
Non starò qui a farvi un decalogo di tutti i sistemi di pubblicità che esistono, sappiate che oltre a tutti i mezzi digitali (Google, Facebook/Instagram, TikTok, LinkedIn, etc.) ci sono anche i media classici (stampa, tv, etc, cartellonistica) che ancora funzionano tremendamente bene, soprattutto in certi contesti. Se scegliere l’uno o l’altro però è mestiere di una figura ben precisa che si chiama, in campo digitale, digital strategist (che poi è quello che faccio per vivere).
Quando entri in un’agenzia di comunicazione e/o marketing (un giorno sarebbe bello farci un’Insalata su cosa significa un termine e cosa significa l’altro), ti viene chiesto “cosa vuoi fare?” e uno strategist (classico o digitale, a seconda dei casi) ti suggerisce, valutate prospettive e disponibilità di budget, su quali canali ti converrebbe investire.
Sappiate comunque che durante la pandemia, quando tutti si sono buttati sul digitale, i costi della pubblicità online sono lievitati tantissimo. Questo perché tutte le piattaforme digitali funzionano con un meccanismo ad asta. Quindi più sono le offerte, più sale il costo.
Oggi ricavarsi visibilità online a pagamento costa. Non voglio dire che è diventata appannaggio delle aziende più grandi, sarebbe sbagliato perché il tutto dipende da una serie di parametri, ma oggi vendere online costa comunque molto di più rispetto a 5 anni fa. Ovviamente ci sono dei calcoli approssimativi con i quali ci si può fare un’idea di quanto potrebbe costare vendere online.
LA FORMULA PER CAPIRE SE MI CONVIENE VENDERE ONLINE
Vi faccio un esempio banale (facendo una semplificazione enorme, vi prego di non prenderlo come un calcolo preciso che vale per tutte le piattaforme, tutte le categorie di prodotto e tutti i periodi dell’anno): se ottenere 100 clic sul proprio sito tramite pubblicità a pagamento costa 50€, e sappiamo che ogni 100 clic ottengo 5 vendite, con un importo medio di 50€ a vendita, saprò che quei 50€ hanno reso mediamente 250€ (e sono già in una situazione più che ottimale).
Tutto questo viene sintetizzato con un parametro, una metrica fondamentale per gli esperti di pubblicità online, che si chiama ROAS (sta per Return On Advertising Spend, ritorno sulla spesa pubblicitaria). Nel nostro caso, per calcolare il ROAS, si farebbe 250/50 (il ricavato diviso la spesa pubblicitaria) e si otterrebbe 5€, ovvero per ogni euro investito ho ottenuto 5€ di ricavo. Molte persone usano esprimere questo parametro in percentuale, che in questo caso sarebbe del 500%.
A questo punto il ragionamento è: se da quei 250€ tolgo il costo del prodotto, il costo della spedizione, dell’imballo e della gestione dell’ordine, ho il margine sufficiente per pagare i 50€ di pubblicità e in più tenere qualcosa per me?
Ecco, spero di avervi chiarito almeno un pochino il meccanismo. Se vi sembra complicato, sappiate che fino ad ora abbiamo pensato a vendere in Italia, ma se pensate di vendere fuori dall’Italia, anche solo in Europa, la cosa si complica ancora un po’.
VENDERE IN ITALIA O ALL’ESTERO
In molti si chiederanno: “ma vendere in Italia o in Francia non è la stessa cosa?”. E infatti, quando chiedo a un nuovo potenziale cliente in quali paesi vorrebbe vendere, la risposta solitamente è:”mmm… non so, mah si, facciamo in tutto il mondo”. Come se una cosa valesse l’altra.
Vendere fuori dall’Italia non comporta soltanto costi di spedizione più alti, ma anche burocrazia e adempimenti fiscali più complessi. Qualche esempio:
C’è innanzitutto la questione delle politiche di reso. Vendere online obbliga il venditore a garantire il diritto di recesso fino a 14 giorni, che può avvenire per un semplice cambio d’idea e non comporta il dover fornire giustificazioni. Questo diritto è garantito in tutti i paesi dell’Unione Europea, il che significa rimborsare anche le spese di spedizione, ovunque sia avvenuto l’acquisto. Se tutto questo avviene, per dire, in Norvegia, vi assicuro che il solo costo della spedizione può non essere banale.
Poi c’è una questione fiscale molto più delicata e che molti ignorano perché è di recente adozione: la questione dell’IVA. Dovrò entrare un po’ nel tecnico, ma spero di riuscire a farlo nel modo più semplice possibile. Ogni Stato ha una diversa aliquota IVA, che è un’imposta (e non una tassa, così faccio contenti i fiscalisti) sul valore aggiunto dei beni. In pratica, è una percentuale che si paga proprio sull’acquisto del bene, pertanto riguarda ogni singolo oggetto venduto.
L’IVA va versata nel paese in cui il bene viene venduto, perché sono soldi che deve riscuotere il paese che ha “permesso” quella vendita. E qui nasce il problema: come faccio io, con il mio commerce, a variare l’IVA in base al paese in cui vendo? E soprattutto: come faccio a versare l’IVA al paese in cui sto vendendo?
Se vendete a titolari di partita IVA il tutto è molto semplice: basterà vendere con IVA a 0 e l’acquirente verserà l’IVA nel suo paese. Problema risolto.
Se vendete a privati, invece, cambia tutto. Ecco, proprio per questo esiste la regola secondo cui, se il giro d’affari fuori dall’Italia supera i 10.000€ l’anno, allora bisogna avere un rappresentante fiscale (praticamente aprire una partita IVA) in ogni paese dove si vende. Già, praticamente bisogna avere una società in ogni paese europeo in cui si vende. Vi sembra impossibile? Invece non lo è, ma per fortuna esiste una scappatoia, che si chiama Regime “OSS”, che sta per One Stop Shop e che è parte del Digital Single Market Strategy, ovvero uno dei pilastri della riforma globale dell’IVA presentata dalla Commissione europea nel VAT Action Plan del 2016.
Con l’OSS (che prima si chiamava MOSS) si può accedere a uno sportello unico (in Italia presso l’Agenzia delle Entrate) tramite il quale si può dichiarare e dunque pagare l’IVA dovuta per la cessione di beni e prestazioni nei 26 Stati membri dell’Unione. Una bella semplificazione che però, come intuirete, comporta altra burocrazia e di conseguenza altri costi.
VABBÈ MI HAI CONVINTO, LASCIO STARE
Ecco non vorrei che, detto tutto questo, vi passasse la voglia di vendere online. Non era questo lo scopo. Lo scopo è solo quello di evitare a qualcuno di sperperare dei soldi senza sapere come funziona effettivamente la vendita online. Una volta usavo dire che un negozio online costa come un negozio fisico: c’è da comprare o affittare le mura, arredarlo, fare magazzino, assumere personale e in ultima analisi farsi pubblicità.
Online non cambia nulla, non si può gestire un negozio nei ritagli di tempo, così come non si può costruire un negozio con un investimento banale, seppure la realizzazione dello strumento a volte possa costare come una pizza.
Diffidate da chiunque vi racconti che invece si possono guadagnare un sacco di soldi sorseggiando Campari su una sdraio in piscina. Non è così, non esiste formula che garantisce guadagni rapidi online investendo poco. Vendere online costa e costerà sempre di più. Questo però non significa che, se avete un buon prodotto e una strategia chiara, non si possa fare. Tutt’altro.
L’importante, come sempre, è prendere delle decisioni con i dati davanti.
» COSE MOLTO UTILINK
Questa settimana inauguro questa nuova rubrica in cui vi suggerisco articoli e link utility che ho trovato sul web. Prendete e godetene tutti, sono anche senza alcun tipo di affiliazione.
Ho trovato questo articolo di ThePit.com molto interessante. È una classifica delle band che hanno venduto più biglietti di Taylor Swift e Beyoncé messe insieme. Non si direbbe, ma ci sono un sacco di band Metal, come i Metallica, che hanno venduto in totale 19,468 milioni di biglietti contro il Rolling Stones, che sono i primi in classifica, che di biglietti ne hanno venduti 22,137 milioni.
A quanto pare, i possessori di iPhone 14 Pro possono ottenere una durata della batteria enormemente superiore semplicemente selezionando un’opzione sul refresh del display. La trovate in questo articolo su bgr.com.
Secondo un articolo apparso su ScienceAlert, le palline da ping pong sarebbe molto efficaci per combattere l’inquinamento acustico delle città. Una soluzione, tra l’altro, a bassissimo costo.
» CONSIGLI PER L’ASCOLTO
La settimana scorsa vi ho consigliato Chiacchiere #10, con una settimana di ritardo. Questa invece vi segnalo il nuovo episodio, il numero 11, in cui io e Massimiliano Di Marco - che è il fondatore del progetto Insert Coin, ovvero l’informazione videoludica di qualità - discutiamo di cosa vuole fare Apple con i videogiochi e dei giochi troppo lunghi.
Per chi vuole, il podcast è disponibile su tutte le piattaforme:
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
Sony ha svelato il suo “restyling” della PS5, quella che una volta avremmo chiamato “Slim”. Il restyling invece è tutto concentrato sull’ottimizzazione produttiva, seppure si presenti più piccola e leggera. I due modelli, una classica con lettore Blu-ray e l’altra digital, saranno di fatto identici, essendo il lettore blu-ray diventato sostanzialmente un accessorio plug&play già compreso nella versione classica. I prezzi rimarranno gli stessi: 450€ per la versione digital e 550€ per l’altra, ma c’è un grandissimo “però”: il piedistallo per tenere PS5 in verticale sarà venduto a parte a 29,90€. Quindi, per avere PS5 con disco e supporto verticale (ma chi la tiene in orizzontale?), quella che è oggi è acquistabile a 550€, bisognerà tirare fuori di fatto 580€. E tutto questo dopo che Sony avrà ottimizzato i processi produttivi, con una ipotizzabile riduzione dei costi di produzione. Se ci puntavate la pistola facevate prima…
Thierry Breton, commissario Europeo per il mercato interno, ha scritto una lettera a Elon Musk, accusando sostanzialmente Twitter (che ora vorrebbe chiamarsi X) di diffondere contenuti illegali e disinformazione in merito all’attacco di Hamas contro Israele. Il contesto è quello del Digital Services Art, che si applica alle grandi piattaforme online e che obbliga le stesse ad applicare una moderazione dei contenuti, pena la condanna a pagare multe che possono arrivare al 6% dei ricavi annuali. Ora ho capito perché Twitter continua a perdere fatturato…
Netflix aprirà una catena di negozi ufficiali chiamati Netflix House, al cui interno si potrà mangiare, comprare abbigliamento e merchandise e partecipare a esperienze legate alle sue popolari serie. Si partirà dagli Stati Uniti, ma poi si procederà (se avranno successo, ovviamente) con il resto del mondo. Ah, ecco a cosa servono i continui aumenti…
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.