Potremmo davvero vivere di turismo? La piaga dell’Overtourism
È un fenomeno in costante crescita quello dell’overtourism, ovvero del turismo eccessivo, spinto dalle piattaforme della new-economy, che sta portando al collasso città e centri storici.
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Quello del “qui in Italia potremmo vivere di turismo” è una specie di mantra che viene recitato spesso da analisti improvvisati e anche poco attenti. Confesso di averlo sostenuto anche io quando, sbarcato nella piccola provincia di Biella ormai vent’anni fa, mi sono reso subito conto dell’enorme potenziale turistico non sfruttato della zona.
L’Italia poi è uno dei paesi più interessanti e presi di mira al mondo per diversi motivi che non è necessario che stia qui a elencare. Nonostante sia un paese dai mille problemi, è pur sempre un concentrato anomalo di unicità storiche e paesaggistiche, e infatti l’Italia attrae sempre una quantità enorme di turisti. Basti pensare che nel 2023 sono stati raggiunti e in molti casi superati i valori pre-Covid, con oltre 134 milioni di arrivi a 451 milioni di presenze.
Dunque il turismo è sempre positivo? È così vero che potremmo vivere di Turismo in Italia? Che percentuale di PIL rappresenta il turismo per l’Italia? Chi ci guadagna veramente?
Cosa significa “turismo”
Per analizzare la situazione bisogna innanzitutto mettersi d’accordo su cos’è il turismo e cosa non lo è. Perché io stesso mi sono stupito quando ho messo nero su bianco quante diverse tipologie di turismo possano portare le persone a viaggiare verso un paese diverso dal proprio.
Senza fare un elenco preciso, basti pensare al turismo culturale, all’ecoturisismo, al turismo enogastronomico, a quello sportivo, a quello religioso per finire con quello medico. Giustamente, c’è chi si sposta e magari soggiorna per settimane in un paese diverso dal proprio semplicemente perché deve affrontare delle cure mediche specialistiche. Così come chi si sposta per seguire una gara o perché ha un ingaggio in una società sportiva e via dicendo. Sono tantissime le ragioni che spingono le persone a spostarsi e a soggiornare in un altro paese per un lasso limitato di tempo, al di là di quello che comunemente pensiamo, cioè le vacanze.
Di tutte le tipologie di turismo, in ogni caso, quello che ci interessa è chiaramente quello che i turisti poi “lasciano a terra”, cioè i soldi, banalmente. Quanto spendono per arrivare, per soggiornare. Quanto poi spendono nei ristoranti e nelle attività sul territorio. Se prendiamo in considerazione questi aspetti, non tutto il turismo è uguale. In Europa, volendo fare una media tagliata con l’accetta, potremmo dire che il turismo pesa per il 10% del PIL. Una percentuale considerevole, seppur non primaria.
Primario il turismo lo è sicuramente per paesi come la Grecia (nel 2008 il turismo pesava per il 18,2% del PIL), mentre in Italia, secondo di dati del World Travel & Tourism Council, il turismo contribuisce al 5,4% del PIL, contro il 6,2% della Francia e il 6,4% della Spagna.
Il turismo pesa, insomma, ma dire che ci si potrebbe vivere è quantomeno esagerato. C’è poi da considerare quale percentuale di questo turismo rappresenti davvero un valore per il territorio e per il paese.
Il turismo enogastronomico, per esempio, sarà più propenso alla spesa nei ristoranti rispetto a quello religioso, anche se quest’ultimo è sicuramente più impegnativo in termini di impatto sulle infrastrutture della città e richiede uno sforzo organizzativo ed economico di gran lunga più grande (lo sa bene il sindaco di Roma, alle prese col Giubileo e con i 4 cantieri chiusi su più di 200).
Il pericolo dell’Overtourism, regalo della new economy
Anche se le tipologie di turismo sono tantissime e molto diverse tra loro, c’è la tendenza a recepire il turismo sempre come una cosa generalmente positiva, che porta ricchezza. È sempre così?
Negli ultimi anni abbiamo cominciato a sentir parlare di troppo turismo, con un neologismo che ormai è diventato popolare anche da noi nella sua forma originale: overtourism.
L'overtourism, o sovraffollamento turistico, si riferisce a una situazione in cui il numero di visitatori in una destinazione supera la capacità di carico sostenibile, causando effetti negativi sull'ambiente, sulla cultura locale e sulla qualità della vita dei residenti.
Potrà sembrare un’esagerazione, ma questo fenomeno può portare a diversi effetti negativi sull’economia e sull’ambiente. Può incidere significativamente sul degrado ambientale, per esempio, così come sull’aumento del costo della vita e portare persino alla perdita di autenticità culturale. Come? Per esempio spingendo le attività a reagire al numero di richieste sempre più elevato agendo sulla quantità anziché sulla qualità. Aumentando l’offerta (magari a basso costo) in maniera indiscriminata e offrendo un prodotto più industrializzato e meno autentico (di nuovo, per fare un altro esempio, pensiamo alle specialità enogastronomiche).
D’altronde il sovraffollamento turistico non è nato per caso, ma è frutto diretto di una delle innovazioni più recenti, strettamente collegata alla tecnologia e a internet: la new economy e la sharing economy, che hanno reso sempre più abbordabili i trasporti e gli alloggi.
Oggi chiunque può condividere un appartamento sfitto, una stanza di una casa e persino un divano, grazie alle piattaforme di soggiorno breve. Così come sono nati mille sistemi per viaggiare a basso costo, dalle compagnie aeree cosiddette low-cost (le uniche che se la passano bene, allo stato attuale), per arrivare a autobus super economici e ai viaggi in macchina condivisi.
La semplificazione delle procedure fai-da-te online, unita a un crollo dei costi necessari a viaggiare anche in paesi molto lontani, ha permesso lo sviluppo di una tendenza inedita, quella dei viaggi brevi anche all’estero; dei weekend nelle capitali europee, delle toccate e fuga in posti che distano magari anche un paio d’ore di aereo. Viaggi magari fatti con i panini nello zaino e approfittando di soluzioni di pernottamento molto arrangiate, una volta appannaggio dei ragazzi più intraprendenti e oggi sfruttati anche dalle giovani famiglie che non rinunciano a visitare un paese straniero pur avendo a disposizione budget limitati.
Se tutto ciò potrebbe essere visto positivamente per l’indubbia democratizzazione del turismo (anche culturale), c’è un fatto che non viene considerato, e cioè che ci sono dei limiti alla quantità di persone che un territorio può sopportare. Pensate a Venezia, una delle mete più ambite al mondo, che ha dei limiti strutturali rispetto al numero di persone che possono letteralmente calpestarne i marciapiedi e i pontili.
L’impatto dell’overturismo sul mercato immobiliare
Tra i tanti effetti negativi dell’overtourism c’è quello preoccupante sul mercato immobiliare. La sostanziale deregolamentazione che le piattaforme per l’affitto breve hanno permesso, ha portato un gran numero di proprietari di alloggi nelle grandi città a preferire la riconversione di questi ultimi ad alloggi turistici, di fatto privando il mercato di un grandissimo numero di alloggi per i residenti e per l’affitto a medio-lungo termine.
Da qui è nato il fenomeno della mancanza degli alloggi e al conseguente aumento del costo degli affitti, che ha reso critica la situazione nelle maggiori città, soprattutto per chi non ha altre alternative, come studenti e lavoratori in trasferta.
Gli affitti brevi hanno tolto, in altre parole, una grandissima quantità di alloggi dal mercato immobiliare per metterli in quello del turismo, creando ricchezza prima di tutto per le grandi piattaforme statunitensi (ci arriviamo tra poco) e mettendo invece in crisi il mercato immobiliare interno, che ora vede sfiorare l’affitto medio di un appartamento a Roma i 2000 euro .
La crisi degli alloggi nelle grandi città ha portato anche a misure estreme, come quella annunciata dal sindaco di Barcellona, che ha dichiarato l’intenzione di non rinnovare più le licenze di oltre 10 mila appartamenti dedicati agli affitti brevi, nell’ottica di una guerra al fenomeno che, secondo il sindaco, è il più grande problema della città, cioè i prezzi proibiltivi degli affitti, che negli ultimi dieci anni sarebbero aumentati del 68%.
Dove finiscono i soldi dei turisti
Se abbiamo detto che il turismo ha un impatto considerevole sul PIL dei paesi europei, seppur non imprescindibile, c’è un altro aspetto che va considerato, cioè dove i soldi finiscono realmente.
Se siete lettori fedeli di Insalata Mista (e lo siete, vero?), avrete sicuramente appreso da quella sulle tasse, come il PIL alla fine sia il valore complessivo di quello che viene prodotto in Italia, ovvero il suo “fatturato”, per dirla semplice.
Il fatto che il turismo pesi per il 5,4% del PIL, non significa che quella cifra rimanga poi tutta in Italia. E infatti, come ben sappiamo, le principali piattaforme che gestiscono la prenotazione di voli e alloggi sono, sai che novità, americane.
Volendo fare un puro esercizio di calcolo di quale percentuale del turismo italiano finisce nelle tasche delle grandi aziende statunitensi, visto che non esistono dati precisi a riguardo, potremmo ipotizzare che, se nel 2021 il valore complessivo del mercato digitale del turismo italiano valeva 11 miliardi e se è vero che le piattaforme come Booking.com, Expedia e Airbnb rappresentano una quota significativa delle prenotazioni online, facciamo il 50%, possiamo calcolare che circa 5 miliardi o poco più transitino attraverso le piattaforme di prenotazione statunitensi.
Le commissioni applicate da queste piattaforme si aggirano in media intorno al 15%, quindi se ne deduce che nel 2021, dei circa 11 miliardi di fatturato complessivo del mercato digitale del turismo italiano, circa un miliardo, ovvero il 10%, è finito oltreoceano.
Vogliamo dedurne quindi che, per incapacità o semplicemente per un ritardo cronico tipicamente italiano (o europeo) nell’anticipare o nell’intercettare i trend tecnologici, regaliamo una fetta importante del PIL derivante del turismo - peraltro generando ripercussioni negative sia sul territorio che sul mercato interno - a paesi che hanno fatto l’unico sforzo (considerevole, per carità) di mettere a disposizione una piattaforma? E deduciamolo va.
Cosa c’entra l’IA?
Riassumendo, possiamo dire quindi che il turismo è per l’Italia una fonte economica importante ma non primaria e che l’aumento indiscriminato, come quello a cui stiamo assistendo, del turismo in genere e soprattutto di quello “economico”, spinto dalle piattaforme digitali, non solo non fa bene, ma può mettere seriamente in crisi le località più esposte, nonché il mercato immobiliare interno. Aggiungiamoci poi che questo tipo di turismo lascia una parte importante dei guadagni in mano a chi gestisce le piattaforme, e il gioco è fatto.
Ora, se come sempre un primo treno tecnologico l’abbiamo perso, cioè quello delle piattaforme di gestione delle prenotazioni turistiche, qualcosa possiamo fare invece col secondo treno, che pure abbiamo perso, cioè quello dell’intelligenza artificiale, e che però possiamo ancora sfruttare a nostro vantaggio.
Se avete letto la precedente Insalata Mista sull’uso di ChatGPT Search, saprete che ora la chat più popolare del momento può fare anche ricerche sul web, in particolar modo anche a scopo turistico (nella newsletter facevo proprio l’esempio di programmazione delle mie prossime vacanze).
Dunque possiamo sfruttare l’intelligenza artificiale per ottenere consigli, spunti, recensioni, valutazioni e persino programmi sull’organizzazione delle vacanze in maniera completamente autonoma, lasciando fuori soltanto il passo finale, ovvero la prenotazione, che possiamo fare poi direttamente con la struttura.
Ok, lo so che il vantaggio delle piattaforme è quello di concentrare tutto in un posto solo e che offrono tanti vantaggi, dai programmi fedeltà e gli sconti alla facilità di disdire o interagire in maniera semplificata, ma i cambiamenti richiedono pur sempre un piccolo sforzo di adattamento.
In ogni caso, al di là delle IA, ci sono anche piattaforme di prenotazione italiane o europee. Vi faccio qualche esempio:
ItalyXP - https://italyxp.com/it
Specializzata nel turismo in Italia, ItalyXP offre esperienze di viaggio e pacchetti completi per scoprire il paese. Questa piattaforma è rivolta a chi cerca un’immersione autentica nella cultura italiana, combinando alloggi, tour e attività.
Italianway - https://www.italianway.house
Fondata a Milano, Italianway è una piattaforma dedicata ai turisti stranieri che gestisce e promuove alloggi per soggiorni brevi in tutta Italia. La piattaforma si rivolge a turisti e viaggiatori business che cercano un’alternativa agli affitti turistici tradizionali.
Wonderful Italy - https://wonderfulitaly.eu/it/
Questa piattaforma si concentra sulle esperienze locali e sugli alloggi in diverse regioni italiane, come la Sicilia e la Puglia. Wonderful Italy lavora anche con guide locali per offrire attività ed esperienze autentiche.
Agriturismo.it - https://www.agriturismo.it/
Dedicata agli agriturismi e alle strutture rurali, Agriturismo.it è la piattaforma di riferimento per chi vuole esplorare l’Italia in modo sostenibile, godendo della natura e della cultura locale.
Per un’esperienza più simil Booking c’è invece la tedesca Halidu, che permette di prenotare hotel, case vacanza e B&B in tutto il mondo, con un’interfaccia praticamente identica alla popolare applicazione americana.
Il turismo è bene finché non diventa male
Sarà stato per le limitazioni imposte durante la pandemia, sarà per il crescente predominio delle piattaforme digitali, sta di fatto che il turismo è un trend che non ha soltanto recuperato i valori pre pandemia, ma che continua a crescere, in alcuni casi in maniera preoccupante.
Il turismo, come abbiamo visto, non è sempre un bene, non porta sempre ricchezza, ma può invece mettere seriamente in crisi il mercato immobiliare e dunque incidere sulle dinamiche sociali di un paese, per esempio costringendo una buona quantità di studenti ad abbandonare l’idea di studiare in una città dove ha sede un’università o una facoltà particolarmente ambita.
Si tratta certamente di dinamiche a cui si potrebbe rispondere in maniera adeguata con norme che regolino il settore, ma questo richiederebbe una classe politica attenta ai fenomeni attuali e pronta a legiferare pensando agli effetti sul lungo termine anziché a quello che poterà voti alle elezioni di domani. Ma, ehi, c’è proprio bisogna che scriva il perché questa ipotesi è completamente da scartare?
Quindi, sia che sia un bene, sia che sia un male, che overtourism sia.
» PENSIERI FRANCHI: Quando eravamo liberi di dire quello che volevamo
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Da leggere ascoltando:
Capita a volte, se si ha la possibilità di lasciare libera la mente, di farle fare dei percorsi assurdi, che partono da un punto e poi ne raggiungo un altro distantissimo, passando per luoghi, ricordi, immagini che nulla hanno a che fare né con la partenza, né tantomeno con l’arrivo.
Mi è successo qualche giorno fa, guardando Il Divo, film di Paolo Sorrentino sulla vita di Giulio Andreotti, in cui il regista ha utilizzato sapientemente un brano musicale tra i più coinvolgenti della musica del 900, cioè la Pavane di Gabriel Fauré. Purtroppo per me, quella melodia mi si impianta in testa non appena ne ascolto malauguratamente le poche note dell’inizio.
Quindi, come mi capita in questi casi, non ho potuto far altro che mettermi a cercarne diverse esecuzioni su YouTube, il quale ha fatto un grande errore, quello di propormi un’altra di queste maledette melodie che ti si attaccano alla testa come dei parassiti. Che poi, guarda caso, è un’altra Pavane, di Ravel in questo caso, ed è anche questa collegata a Faurè, perché Ravel di Faurè è stato allievo in conservatorio.
Quella di Ravel si chiama “Pavane pour une infante défunte” e a leggerne il titolo ho pensato tra me e me “guarda come eravamo liberi un tempo di chiamare le cose come ci pareva, lontani dalle logiche di marketing e di opportunità. Chi, oggi, chiamerebbe una canzone “Canzone per un bambino morto” se non un pazzo che vuole condannarla all’oblio delle classifiche? Oggi le canzoni devono parlare di altro, magari anche di temi profondi e drammatici, ma non si può utilizzare un titolo così esplicitamente negativo, lo dicono le più basilari regole della comunicazione.
E allora mi sono domandato come avesse fatto Ravel, che comunque è un autore del secolo scorso, a pensare di chiamare in questo modo una melodia poi così lieve e dolce. Allora ho indagato un po’ e ho scoperto delle cose, alcune delle quali assurde e un po’ paradossali.
Ravel è innanzitutto uno dei più grandi compositori romantici del 900. Qualcuno si offenderà se lo chiamo romantico, perché i libri lo vogliono “impressionista” come Debussy, ma impressionista non lo fu mai davvero. Ravel è stato comunque uno dei più abili creatori di melodie e orchestratori della storia della musica e la sua Pavane, che scrisse ad appena ventiquattro anni, non fa eccezione.
Nata per pianoforte solo nel 1899, Ravel scrisse questo pezzo dedicandolo alla sua amica Winnaretta Singer principessa di Polignac, figlia di quel Singer che fondò l’azienda storica di macchine da cucire e di Isabelle Boyer che fu con tutta probabilità la modella che posò per la statua della libertà. La famiglia di Winnaretta si spostò presto in Francia, dove la giovane sposò, pur essendosi pubblicamente dichiarata omesessuale, prima il principe Louis de Scey-Montbéliard e poi il principe Edmond de Polignac, anch’esso omosessuale, che era pure lui compositore musicale.
Lasciate da parte questa serie incredibile di stravaganze e coincidenze, rimane una melodia struggente, orchestrata dallo stesso Ravel e presentata a Parigi il 25 dicembre 1911 (si, a Natale).
Ora, Ravel (vedi dove sta il genio?), avrebbe potuto affidare la melodia principale a uno strumento tipicamente solista come il violino o il flauto e invece che fa (mannaggia a lui)? Lo affida al corno, che è uno strumento fatto per squillare e urlare e che invece quando sussurra genera delle frequenze così basse che ti fanno vibrare lo stomaco e ti fanno sentire come se allo stomaco ti ci avessero dato un pugno. E non ne esci vivo dall’ascolto di questa Pavane, se non altro non ne esci con gli occhi asciutti. D’altronde parla di bambini morti, no?
No. Perché le cose incredibili non sono finite ancora. Quel “…pour une infante défunte” infatti non sta per “… per un bambino defunto”, no. Bensì sta per “principessa defunta”. E chi era questa principessa? Aspettate perché la storia non è ancora finita.
La “Pavana” è una forma musicale che si ispira alle danze di corte, dall’andamento composto e solenne, molto utilizzata nel XVI e XVII secolo, di origine non certa, ma quasi certamente spagnola o italiana. La parola “Infante” è il titolo che veniva dato ai figli del Re di Spagna, da qui l’accostamento con la principessa.
Ma in ogni caso, c’è chi sostiene che Ravel scrisse questa Pavane per la morte della principessa fanciulla, figlia di Edmond de Polignac, marito della sua amica Winnaretta Singer di cui parlavamo prima. Tuttavia, Ravel ebbe poi a dichiarare che il nome di questa Pavane aveva tutt’altra origine, precisando «Pour moi, je n’ai songé en assemblant le mots qui composent ce titre qu’au plaisir de faire une alliteration» (Per me, nel mettere insieme le parole che compongono questo titolo, ho pensato solo al piacere di fare un’allitterazione). In altre parole aveva messo insieme quelle due parole per il loro suono, per fare un’allitterazione, perché anche il titolo di un suo pezzo doveva suonare come diceva lui.
Se fate una ricerca sulle principali piattaforme di musica, troverete che questo pezzo viene utilizzato per dischi e raccolte contro la guerra. Ne ho trovato persino uno realizzato proprio contro la guerra e per i bambini che ne rimangono vittime. I bambini morti, però, non c’entrano niente. Alla fine non c’entra nemmeno la principessa morta. E non c’entra nemmeno l’assenza di regole della comunicazione o del marketing, che certamente avrebbero consigliato di evitare un titolo così lugubre. No, c’entrava solo il fatto che a lui piaceva così, che gli piaceva come suonavano quelle parole e c’entra il fatto che Ravel era libero di usarle come voleva.
Perché a volte, la vera libertà passa anche dal poter sovrascrivere le proprie regole morali, le costrizioni e le imposizioni delle regole sociali. Ravel intitolò un suo bravo dolce e struggente a un bambino morto. Una bambina forse figlia di un principe o forse no, forse esistita o forse no. Ma alla fine, la cosa che più importa è che lo fece perché gli piaceva come suonavano le parole.
E a noi non può che piacere il suono di quella libertà.
Franco A.
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[Fonte: Dmove.it]
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Concordo con la tua analisi. Aggiungo un punto: l'overtourism ha come effetto secondario l'aumento del divario tra località turistiche prese d'assalto (come in Italia possono essere Venezia, Roma, Firenze) e la miriade di località meno conosciute ma dal potenziale turistico ancora inesplorato (penso a tutte quelle zone ricche di siti di interesse culturale o naturalistico, ma senza un vero e proprio brand da spingere). In un mondo ideale bisognerebbe trovare un bilanciamento per spostare parte dei flussi, ma ovviamente è più facile a dirsi che a farsi.
PS: ho lavorato in ItalyXp quando era in fase di startup, circa dieci anni fa. All'epoca fu un sito pioniere, tra i primi in Italia a proporre una piattaforma che aggregava esperienze turistiche di vario tipo, in competizione con i colossi stranieri del settore. Ho un buon ricordo di quell'esperienza, e mi ha fatto piacere vedere che lo hai citato in questa insalata :)
Abito vicino a Venezia e conosco benissimo cosa significhi overtourism. Dico una cosa banale che sembra stupida ma non lo è affatto.
Anni fa il Sindaco fece una proposta per bandire i trolley dalla città (nel 2024 devono ancora fare delle ruote per i trolley che non siano in plastica dura) perchè di notte soprattutto il loro rumore sulla pavimentazione sconnessa di Venezia era - ed E' - fastidiosissimo (ma uno con il trolley non sente il rumore che fa in un vicolo di una città silenziosa?) e dava fastidio ai (pochi) residenti.
Ovviamente tutti (tranne i veneziani) presero in giro il Sindaco e la cosa non passò perchè i soldi dei turisti prevealgono su ogni cosa; anche sul buon senso.
P.S. Uno dei brani più famosi dei Deep Purple si chiama Black Night e non ha alcun significato, però le parole messe assieme suonavano bene ;-)