Cosa sono i Brainrot e perché sono la tendenza del momento
Dai meme scemi alle figurine Panini: il brainrot è ovunque. Ma è solo un gioco o un grido di ribellione nascosto sotto l’assurdo?
Ci sono delle volte in cui sembra che voglia fare polemica per il solo gusto di farla. In queste occasioni, mi viene contestato il fatto di attaccarmi a dettagli che i più reputano marginali, da qui l’idea che io cerchi un pretesto per fare polemica su qualsiasi cosa. Chissà poi da cosa nasce quest’idea (ironia).
Eppure non è così, perché spesso la forma, come mi piace ripetere, è sostanza. Dunque non si può fare sempre di tutta l’erba un fascio e mischiare qualsiasi argomento purché faccia da sponda alle nostre tesi più assurde. Anzi, spesso mi sono attirato le ire delle persone con cui stavo discutendo perché odio quando l’interlocutore mischia temi o problematiche diverse.
Lo so, il terzo paragrafo, per arrivare ad annunciare l’argomento di cui voglio scrivere, è un po’ troppo, me ne rendo conto, però ci voleva una premessa. Tutto questo per dire che mi infervoro spesso sulla questione smartphone e adolescenza, uso di internet e capacità di attenzione e concentrazione.
Chi mi legge, del resto, lo sa bene. Nove volte su dieci, quando si trattano questi argomenti, si mischiano un mucchio di cose diverse, mi è già capitato di dirlo. Internet, social, videogiochi, bullismo, scuola, capacità di concentrazione, depressione. Tutto un miscuglio incomprensibile che mira soltanto ad autoassolversi, a cercare qualcuno o qualcosa responsabile al posto di noi stessi per tutti i mali dei giovani, così da lavarci la coscienza e vivere sereni. E quel colpevole, ovviamente, è quasi sempre lo smartphone.
Oggi parlerò di un particolare fenomeno di internet noto come Brainrot (o brain rot), che è un termine quasi autoironico con cui i ragazzi stessi si riferiscono a contenuti totalmente sballati e frutto di altre abitudini pessime, che però loro stessi criticano, o quantomeno trattano con leggerezza e divertimento. Tant’è che il termine Brainrot è nato da una sorta di slang internettiano che sta per “marciume cerebrale”.
I brainrot sono contenuti uniformati allo standard più basso e greve di qualità tipica dei social network che favoriscono lo scroll ossessivo e sconclusionato. Sono contenuti pazzi, scemi, apparentemente senza senso, che però piacciono e fanno ridere proprio per il loro essere nonsense, quasi una forma di espressione autonoma che mira in qualche modo a diventare artistica.
Brainrot però è molto di più: è, tra le altre cose, il termine scelto dall'Oxford English Dictionary come parola dell'anno per il 2024 e che rappresenta l'idea di un "marciume" che colpisce la mente, influenzando negativamente le facoltà cognitive. È quello che succede a forza di dare in pasto al cervello solo “contenuti spazzatura”.
L’origine dei brainrot, la diffusione mondiale e l’ascesa degli Italian BrainRot
Brainrot quindi è un termine che rappresenta la condizione che colpisce chi fa un uso troppo intenso di contenuti vuoti e di poco valore. Chi passa troppo tempo sui social, chi abusa di doomscrolling1, di infobesity2 o che finisce per farsi una bella infoxication3 (informazione + intossicazione). Troppi neologismi? Forse, ma rendono l’idea di quanto è vasto e complesso il fenomeno. Parlare oggi di eccessivo di internet, di social, di smartphone, è talmente riduttivo da apparire quasi ridicolo.
Tutto quello che potrebbe essere prodotto da un “cervello marcio”, però, ricade anch’esso sotto la definizione di brainrot. Pertanto il termine è diventato anche sinonimo di meme pazzo, delirante, di video folle, rapido e senza senso, che piace ai più giovani proprio perché svuotato di significato.
L’origine dei brainrot — intesi come stile, linguaggio e forma espressiva — va cercata nel cuore pulsante dei social ad alta frequenza: TikTok, gli Shorts di YouTube (che sono la risposta di YouTube proprio a TikTok) e i Reels di Instagram. La genesi è anglofona, com’è normale che sia, ma la diffusione è ormai globale.
Si tratta, come dicevamo, di contenuti “scemi”, tagliati con l’accetta del meme e incollati con la colla della dopamina istantanea. Clip brevissime, montate in modo veloce fino all’assurdo, che replicano pattern visivi e sonori ossessivi: canzoni distorte, sottotitoli sovrapposti con font inguardabili come l’ormai celebre Comic Sans, gameplay di Subway Surfers che scorrono sotto monologhi motivazionali o confessioni tristi. L’elemento fondamentale è che l’utente sa di essere dentro qualcosa di degradato. E ride proprio per quello. In altre parole, è l’utente stesso a prendersi gioco di questa deviazione dell’internet guardando contenuti che estremizzano il concetto.
Anche in Italia il fenomeno ha preso piede in modo massiccio. Anzi, si potrebbe dire che l’Italia, anche questa volta, ha fatto scuola. Tanto che si parla di Italian Brainrot: un sottofilone (culturale?) fatto di doppiaggi in dialetto, remixati con filtri da caricatura, battute da bar travestite da reaction video. L’estetica è povera, ma l’effetto è straniante, l’umorismo è crudo e spesso di una tristezza disarmante. Ma funziona, perché mette in scena — e talvolta in ridicolo — la nostra quotidianità digitale, senza più bisogno di filtri tra reale e rappresentato.
Il caso Skibidi Toilet
Anche se non rientra propriamente nella categoria brainrot (ma l’Università di Oxford invece ce li inserisce di prepotenza), la serie Skibidi Toilet è comunque un fenomeno che rientra nella stessa sfera di assurdità, non ultimo per i numeri che raggiunge, che fanno davvero impressione.
Skibidi Toilet è una webserie surreale nata nel 2023 su YouTube, oggi diventata oggetto di culto e di analisi socioculturale. L’idea di base è tanto semplice quanto assurda: teste umane che spuntano da tazze del gabinetto e cantano una canzone techno russa mentre combattono contro altri personaggi dal corpo umano e con una telecamera al posto della testa.
Un delirio visivo che non ha bisogno di altri commenti. Eppure ha funzionato bene, anzi benissimo. La serie è realizzata dall’utente DaFuq!?Boom! che attualmente conta 46,2 milioni di iscritti. Il video più visto della serie ha più di 200 milioni di visualizzazioni e si calcola che in totale, la serie delle teste che escono dai cessi, abbia totalizzato oltre 2 miliardi di visualizzazioni nel giro di un anno, creando un vero e proprio linguaggio alternativo.
Skibidi Toilet non è solo brainrot, è forse la manifestazione più estrema del brainrot. Una satira inconsapevole di sé stessa, una specie di specchio deformante dell’era del contenuto generato quasi più per l’algoritmo che non per l’essere umano. E come ogni specchio deformante, ci diverte perché ci riconosciamo.
Dentro le coreografie sceme, i suoni distorti e le espressioni vuote di Skibidi Toilet c’è qualcosa che somiglia alla realtà. In un mondo in cui non si capisce più niente, queste giovani menti creative reagiscono così, creando un monumento alla decadenza della società occidentale con una sinfonia di strutture e sovrastrutture folli che in un crescendo di assurdità esplodono in un affresco di visioni allucinanti, modi di dire paradossali e musiche psicopatiche. Non è il prodotto di menti annoiate, al contrario, forse è la risposta creativa (o disperata) a un mondo che è difficile da comprendere anche per chi l’ha fatto diventare così (gli adulti), figuriamoci per chi deve subirlo (i giovani).
Da termine negativo alle figurine di Panini, il passo è breve
Non vi starei parlando di questo argomento se non fosse diventato un fenomeno di costume totale; se non rischiaste di trovarvelo davanti domattina, quando andrete a comprare il giornale (se ancora lo fate) o quando il vostro nipotino di 6 anni vi chiederà di comprargli le figurine delle Brainrot Icons.
Sì, perché che il brainrot fosse destinato a diventare parte del linguaggio ufficiale lo si era capito quando l’Oxford English Dictionary l’ha scelta come parola dell’anno per il 2024. La motivazione è chiara: «Nel 2024, il "marciume del cervello" viene utilizzato per descrivere sia la causa che l'effetto, riferendosi a contenuti di bassa qualità e basso valore trovati sui social media e su Internet, nonché al successivo impatto negativo che il consumo di questo tipo di contenuto può avere su un individuo o una società. È stato anche utilizzato in modo più specifico e coerente in riferimento alla cultura online. Spesso usato in modo umoristico o autoironico dalle comunità online, è fortemente associato a determinati tipi di contenuti, tra cui la serie di video virali Skibidi Toilet del creatore Alexey Gerasimov, con servizi igienici umanoidi e meme "solo in Ohio" generati dagli utenti, che fanno riferimento a bizzarri incidenti nello stato. Questo contenuto ha dato origine a un "linguaggio del marciume del cervello" emergente - come "skibidi", che significa qualcosa di senza senso, e "Ohio", che significa qualcosa di imbarazzante o strano - che riflette una tendenza crescente di parole originarie nella cultura online virale prima di diffondersi offline nel “mondo reale”».
E il salto nel mondo reale arriva quando la Panini — sì, quella delle figurine — ha annunciato una nuova collezione, la “Brainrot Icons”, dedicata ai personaggi più assurdi e virali del web. Dal tizio che balla in pigiama con la maschera da cavallo, all’influencer che mangia spugne fritte per “far ridere il feed”. Sono reali? Sono inventati? Poco importa. Sono diventati comunque “personaggi”.
In questo passaggio — dalla patologia al meme e dal meme al merchandising — c’è tutta la parabola della cultura digitale contemporanea. Ciò che nasce come autocritica ironica o disprezzo diventa prima estetica, poi business. Il brainrot è, in fondo, una reazione autodifensiva al collasso dell’attenzione. Ma è anche un’estetica che rifiuta il giudizio: se tutto è assurdo, nulla può essere brutto. E allora giù di edit sfalsati, gif loopate, remix infiniti. Perché se il contenuto è rotto, almeno che sia rotto in modo riconoscibile, condivisibile, collezionabile. Magari in una bustina da due euro.
Decadenza o protesta codificata?
Non so se è una mia personale ossessione, ma faccio rientrare anche questa dei brainrot in quella lunga sequenza di strumenti con cui le nuove generazioni ci prendono a schiaffi. Ne avevamo già parlato quando scrissi i Pensieri Franchi sul concerto dei FUCKYOURCLIQUE e dell’uso consapevole di parole e temi che per gli adulti sono ancora tabù (le bestemmie, i termini sessualmente espliciti, ecc.) e i brainrot italiani non sono da meno. Il più noto di questi, Tralalero Tralala, è una filastrocca in cui la seconda strofa bestemmia non solo il nostro dio, ma anche un altro (il video che ho inserito qui è opportunamente tagliato). Come dire: per noi l’uno o l’altro non fa differenza.
Ne parleremo ancora nei Pensieri Franchi di questa Insalata, ma non riesco a non far rientrare tutto questo in un filone di ribellione con cui queste nuove generazioni — che cerchiamo di rinchiudere in casa, di controllare con il registro elettronico, di geolocalizzare con il controllo degli smartphone, di ammutolire dandogli degli incapaci, di denigrare dandogli dei fannulloni, di reprimere quando mostrano dissenso verso un modello fallimentare che non hanno creato — cercano di ribellarsi a un mondo che non capiscono e quindi ci sbeffeggiano in un modo che non capiamo. Come se fosse un linguaggio segreto, codificato, che gli adulti — i loro aguzzini — non devono comprendere.
È un po’ come quando in Adolescence il poliziotto che indaga sull’accaduto capisce (in realtà gli viene spiegato dal figlio) che le emoji utilizzate come commento sui social hanno un significato preciso. Un linguaggio in codice che non deve essere decifrato dagli adulti. In pratica è una sorta di lotta all’oppressore, di resistenza partigiana contro chi gli nega la libertà di crescere e di vivere la propria adolescenza come andrebbe vissuta.
Non è un caso se i più giovani definiscano questa corrente come una forma di auto-dissociazione ironica dalla complessità del mondo. Un modo per “sopravvivere” al bombardamento informativo – oppure per rifiutarlo radicalmente.
Scrive l’Oxford English Dictionary sempre a proposito del termine brainrot:«I nostri esperti hanno notato che il "marciume del cervello" ha acquisito nuova importanza quest'anno come termine utilizzato per catturare le preoccupazioni sull'impatto del consumo eccessivo di contenuti online di bassa qualità, specialmente sui social media. Il termine è aumentato in frequenza di utilizzo del 230% tra il 2023 e il 2024.
Il primo uso registrato del "marciume cerebrale" è stato trovato nel 1854 nel libro Walden di Henry David Thoreau, che riporta le sue esperienze di vivere uno stile di vita semplice nel mondo naturale. Come parte delle sue conclusioni, Thoreau critica la tendenza della società a svalutare le idee complesse, o quelle che possono essere interpretate in più modi, a favore di quelle semplici, e lo vede come indicativo di un declino generale dello sforzo mentale e intellettuale: "Mentre l'Inghilterra si sforza di curare la putrefazione della patata, riuscirà a curare la putrefazione cerebrale - che prevale molto più ampiamente e fatalmente?».
Pensieri Franchi: Il coraggio del dissenso
Ha fatto molto discutere il gesto di alcuni giovani studenti maturandi di fare scena muta all’esame orale di maturità. Lì per lì, il fatto mi è scivolato addosso. Poi, quando la polemica è cresciuta, fino a stimolare la risposta (che non si fa mai attendere troppo) del Ministro dell’Istruzione e del Merito, ho cominciato ad osservarla con più interesse.
In particolare, mi ha incuriosito andare a leggere i commenti alla notizia sui social. Un’operazione che faccio piuttosto spesso, quella di “saggiare” il sentimento popolare tramite delle micro indagini personali. Faccio quello che viene chiamato lurker, ovvero quel tipo di utente che si nutre delle informazioni che trova sui social senza quasi mai partecipare alla discussione. Il parassita delle opinioni altrui, in sostanza.
Ebbene, nei commenti ho trovato tanto biasimo nei confronti di quello che ormai potremmo chiamare “un movimento”. Biasimo che si sostanzia in due accuse principali: la prima è “ai miei tempi non gliel’avrebbero permesso”, che richiama un po’ la passione verso un ordine e una disciplina la cui nostalgia è probabilmente tanto più forte in questi tempi quanto in realtà senza alcun reale richiamo storico. In altre parole: ma quando mai? Chi parla sui social oggi, se va bene, ha messo a ferro e fuoco le strade durante il 68.
La seconda è invece più o meno questa:”facile protestare quando hai ormai la promozione in tasca” e si riferisce al fatto che gli studenti in questione, per come è pensato il sistema di punteggio dell’esame di maturità, avevano ormai totalizzato i 40 punti di crediti ottenuti nel triennio e i 20 punti dell’esame scritto. In sostanza, anche prendendo zero all’esame orale, avrebbero comunque ottenuto la sufficienza e quindi la promozione.
Ci ho pensato a lungo, perché purtroppo anche dentro di me, in quanto adulto ormai sulla soglia della mezza età, alberga quel pregiudizio secondo cui i giovani d’oggi sono un po’ fannulloni e viziati. Pregiudizio inconscio, s’intende, che infatti poi contrasto con la ragione, ma che credo faccia proprio parte del DNA dell’adulto medio che ha superato una certa età. Ebbene, mi sono chiesto: “qual è lo scopo della scuola?”. E poi “perché la chiamiamo maturità?”.
Se quell’esame deve sancire il passaggio definitivo di un giovane verso l’età adulta, allora, forse, la cosa migliore che possiamo aspettarci è che quel giovane abbia sviluppato la capacità di crearsi un’opinione propria. Di analizzare i fatti, sviluppare un pensiero critico, giudicare quello che gli succede attorno e infine, se abbiamo fatto il nostro dovere, mettere in atto una forma di protesta civile, che non lede i diritti altrui.
In sintesi, è proprio quello che hanno fatto questi ragazzi. Hanno mostrato la capacità di analizzare la situazione scolastica, astraendosi dalla loro condizione personale (tredici anni in un sistema fatto in certo modo, creerebbe assuefazione a chiunque) e ritenendo che quel sistema non sia adatto a un sistema scolastico moderno, che deve formare giovani adulti che devono poter vivere in un mondo che è cambiato totalmente soltanto negli ultimi cinque anni e che, tuttavia, li giudica oggi allo stesso modo di come faceva nel 1923, quando venne istituito.
Pensate: per più di un secolo abbiamo ritenuto che, nonostante il mondo vedesse il succedersi di guerre mondiali, l’arrivo dei computer, di internet, della globalizzazione e oggi dell’intelligenza artificiale, non dovesse cambiare di una virgola il sistema con cui formiamo e verifichiamo la “maturità” dei giovani.
Questi ragazzi, tra le altre cose, mettono in atto la forma più equa, onesta e civile delle proteste, ovvero quella che colpisce solo loro stessi e non persone terze a caso. Non blocca strade, non ferma i servizi pubblici. No, l’unico effetto che avrà è quello di pregiudicare il loro futuro scolastico con un voto appena sufficiente.
Se ci pensate, per aver conseguito il massimo dei voti nella prova scritta e ottenuto il massimo dei crediti disponibili, probabilmente non si tratta di studenti comuni. Probabilmente avrebbero con facilità potuto ottenere un voto finale eccellente. Eppure, nonostante ciò, ci hanno rinunciato, anteponendo la necessità di gridare agli adulti che no, questo sistema non gli sta più bene. Hanno sacrificato la loro soddisfazione personale, al termine di un ciclo di studi piuttosto lungo e — aggiungo io, immaginandolo — sofferto, per poter sostenere un principio secondo cui l’esame di maturità, per come è pensato oggi, cioè da oltre un secolo, non va più bene.
Come risponde il mondo delle istituzioni, nella sua più alta incarnazione in questo caso? Con la repressione, ovviamente. Con la negazione del pensiero individuale, con il soffocamento dell’iniziativa personale e della protesta civile. Dall’anno prossimo, dice il Ministro, chi si rifiuterà di sostenere l’esame orale volontariamente (quindi sono salvi tutti quelli che faranno scena muta per impreparazione) verrà bocciato. Tradotto: chi non è preparato passa, chi lo è ma intende provare di essere un adulto che pensa, che ha il coraggio di portare avanti le sue tesi anche a scapito del proprio tornaconto, quello no, non è accettabile.
Che poi, se ci pensate, è una sintesi perfetta dei tempi che viviamo. Se volete, è anche una sintesi perfetta della politica in genere, di questo esecutivo e di quelli passati, senza distinzioni. Gente spesso impreparata, ma che ha una caratteristica fondamentale: è pronta a mettere il proprio tornaconto prima del bene comune. È pronta a sostenere la tesi di partito prima del bene dell’intera nazione.
Ecco perché, se intravediamo il pericolo di una nuova generazione di studenti che intende fare il contrario, protestare e cercare di scardinare un sistema vecchio e inadeguato sacrificando soltanto il proprio risultato finale, allora bisogna cercare di contrastarla con tutte le forze. Con la repressione, se necessario, facendogli ripetere l’anno finché non avranno imparato a ubbidire, a stare zitti e a fare quello che gli viene chiesto.
Tutto questo mentre vedranno invece andare avanti i loro compagni impreparati, perché tra una scena muta fatta di dissenso e una fatta invece di impreparazione, sempre meglio preferire quest’ultima. D’altronde si sa, l’ignoranza si può plasmare, addomesticare. L’istinto al pensiero critico invece no. Quello va domato, represso, contrastato.
Franco Aquini
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
Il termine doomscrolling indica l’abitudine compulsiva di scorrere notizie negative, spesso tragiche o allarmanti, su social network e siti di informazione, anche quando questo genera ansia, stress o malessere emotivo.
Infobesity (o obesità informativa) indica la condizione di sovraccarico cognitivo causata da un eccesso di informazioni disponibili, spesso non filtrate, non necessarie o poco rilevanti. Chi ne soffre fatica a concentrarsi, prendere decisioni, e distingue sempre meno ciò che è utile da ciò che è rumore di fondo.
Infoxication è la combinazione di “information” (informazione) e “intoxication” (intossicazione), e indica lo stato di confusione mentale, stress o disorientamento causato da un eccesso di informazioni, spesso contraddittorie, superflue o non verificate.
Permettimi una riflessione: "l’uso consapevole di parole e temi che per gli adulti sono ancora tabù (le bestemmie, i termini sessualmente espliciti, ecc.) " però non è esploso con fenomeni recenti, ma è sempre stato il filo conduttore di molti proto-meme italiani, dal mitologico Magnotta e da Mosconi fino ai doppiaggi di film e telefilm fatti dai Prophilax (tipo "Beverly Holes") o a certe sbroccate sul palco di buonanima Richard Benson.
Nei brainrot fanno impressione perchè sono (sembrano?) esplicitamente rivolti ai minori (mentre gli esempi di prima i minorenni li diffondevano ma davano anche loro per scontato fossero da adulti), ma sembrano davvero essere il filo conduttore se non il motivo del successo di quello che in Italia è virale.