#InsalataLight: Il prezzo troppo alto del low-cost
Un fatto accaduto nel 2023, un viaggio di influencer nelle fabbriche cinesi di Shein, riaccese la discussione sulle multinazionali che fanno affari sul low-cost a spese dei paesi poveri e del pianeta.
A luglio del 2023 accadde qualcosa che fece puntare i riflettori di tutti i media sulle low-cost e sulle aziende della fast fashion. Di colpo, ma soltanto per un paio di settimane o poco più, il mondo si interessò di un fenomeno che ci tocca tutti ogni giorno e di cui però preferiamo non preoccuparci, perché occuparsene significherebbe dover rinunciare a qualcosa che in fondo non ci dispiace.
Il 2023 fu l’anno in cui si consolidò l’impero di Shein e del binomio con TikTok, che ancora oggi è capace di far sentire la propria influenza ben oltre la ristretta cerchia di adolescenti che si pensa essere l’obiettivo privilegiato dal social cinese. Così non è, ce ne siamo accorti una volta di più quando gli Stati Uniti ne hanno minacciato la chiusura o lo smembramento.
In questo lunedì di festa, mi è sembrato utile recuperare questa Insalata che parlava di fast-fashion, di low-cost e del costo per il pianeta e per le popolazioni più povere di un gesto semplice che compiamo ogni giorno: acquistare un capo di abbigliamento per qualche euro senza domandarci come sia possibile arrivare a una cifra così bassa pur provenendo il prodotto dall’altra parte del pianeta.
Preferiamo non saperlo perché la risposta è semplicissima: il nostro risparmio lo paga qualcun altro e quel qualcun altro non se la passa affatto bene. Eccolo qui il costo (troppo alto) del low-cost.
Chissà a cosa penserebbe un qualunque abitante del Bangladesh se scoprisse che, nell’occidente ricco e avanzato, si arriva a spendere 2€ per una maglietta. È chiaro a tutti che l’abbigliamento non può costare così poco, quindi come si è arrivati a cifre così basse proprio nei paesi più ricchi del pianeta?
Shein, per chi non lo conoscesse, è un gigante della fast-fashion. Ovvero di quel settore della moda che produce capi d’abbigliamento (e non solo) alla velocità della luce, chiaramente a prezzi bassissimi, quasi regalati. Come mai recentemente si è parlato proprio di questo marchio e non di altri che sono sulla stessa barca (parliamo di H&M, Primark, Zara, etc.)?
Forse perché Shein è prima di tutto un fenomeno recentissimo, la cui crescita è stata davvero incredibile ed è legata a doppio nodo con un social network che è cresciuto altrettanto velocemente e con cui condivide il paese d’origine: TikTok. Entrambi cinesi, Shein però è stato fondato da Chris Xu, nato negli Stati Uniti ed esperto di SEO, ovvero di posizionamento sui motori di ricerca.
Forse sta proprio qui il segreto del successo di Shein, il cui valore di mercato è passato dai 5 miliardi di dollari nel 2019 ai 100 miliardi(!!!) del 2022, con una crescita che ha letteralmente surclassato marchi più noti. Basti pensare che Zara e H&M, messe insieme, valevano nel 2022 “appena” 30 miliardi di dollari.
Da dove nasce il successo di Shein
Il successo di Shein è da cercare principalmente nella sua attenta strategia comunicativa. Due i principali ingredienti: innanzitutto investire cifre enormi in pubblicità digitale, ma soprattutto arruolare migliaia di influencer e di fashion blogger sui social network, tra cui (ovviamente) spicca TikTok.
D’altronde il target di riferimento di Shein, le generazioni Z e Alpha (ovvero i nati dal 1997 in poi), è lo stesso di TikTok e non stupisce quindi il dato che ci fornisce TikTok stessa, ovvero che “il 44% degli utenti TikTok della GenZ ha comprato un prodotto fashion perché l’ha visto su TikTok”.
Qual è lo scandalo di cui si è parlato tanto?
Ora, inquadrato il fenomeno, veniamo all’attualità. Shein è stata preso di mira prima di tutto come brand che non rispetta i diritti dei propri lavoratori; secondariamente per via dell’inquinamento che produrrebbe. Insomma, l’abbigliamento di Shein sarebbe poco sostenibile non soltanto per i costi troppo bassi, ma anche per ciò che produce in termini di inquinamento, per continuare a creare nuovi prodotti da mettere sul suo e-commerce.
A gennaio di questo anno, il Time scriveva di come l’azienda produca circa 6,3 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. L’Italia, per fare un confronto, nel 2021 ne ha prodotte 328 milioni. Sotto questo profilo, però, Shein non è certo da sola. Sempre l’articolo del Time stima come l’intera industria del fashion pesi per il 10% sulle emissioni di CO2 globali.
Dicevamo che Shein non è sola: secondo un report di stand.earth, sono molti i brand di moda che anziché abbassare le emissioni nel 2022 le hanno addirittura aumentate. Secondo questo report, Nike e Inditex (Zara) hanno toccato le 10 milioni di tonnellate.
Torniamo però alla notizia: per cercare di correggere il tiro, Shein ha invitato un gruppo di influencer presso una delle sue fabbriche a Guangzhou, in China. Cosa è successo durante questo viaggio? Ovviamente quello che succede durante qualsiasi visita in fabbrica organizzata dalle aziende stesse (ve lo dice uno che di questi viaggi ne ha fatti diversi): la fabbrica risplende e i lavoratori felici producono sorridenti a ritmo di Musica. Questo almeno raccontavano i tanti reel caricati su Instagram, alcuni dei quali sono stati poi cancellati.
L’ondata di critiche è piovuta sulle influencer per quello che hanno raccontato a proposito della fabbrica, tra lavoratori felici e prodotti di qualità. Un racconto così lontano dalla realtà raccontata dalle tante inchieste da creare una rivolta contro le influencer stesse.
Dani Carbonari, una di queste influencer, è stata una delle più criticate sul web (con i soliti modi del web, tra minacce di morte e altri commenti simili) e nel giro di poco è stata costretta a cambiare versione, cancellando i video pubblicati e pubblicandone di nuovi in cui ha, di fatto, chiesto scusa.
Ma di cosa ci si stupisce veramente?
A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi: “perché ci si stupisce?”. Se un capo d’abbigliamento arriva a costare un euro, possiamo veramente pensare che l’azienda rispetti le più basilari condizioni di lavoro? No, certo, questo no. Da qui però a chiudere gli occhi su quanto denunciato da Wired nella sua inchiesta (che racconta di condizioni lavorative disumane) o della violazione della stessa legge cinese sul lavoro raccontata dalla svizzera Public Eye, il passo è lungo.
Ha certamente anche ragione chi sostiene che non tutti possono permettersi un abbigliamento che sia realmente “sostenibile”, perché spesso i marchi che adottano questa filosofia producono abbigliamento di lusso. E forse il problema è proprio questo.
Lo spiega bene Alessandro Masala nel suo Breaking Italy: il problema più grosso della fast fashion è che ha definitivamente sdoganato un’idea del costo dell’abbigliamento che è letteralmente insostenibile. Il danno fatto da questa industria però è anche un altro: quello di aver distrutto la fascia media. Dai 2€ per una t-thirt si passa subito alle centinaia (sto estremizzando, ma sono sicuro che avrete capito) per un capo di lusso.
Cosa possiamo fare in concreto?
È la domanda delle domande, ovvero: “ok, ora so che non devo comprare da Shein, ma come faccio a essere certo che quello che compro altrove non arrivi dalle stesse fabbriche dove vengono sfruttate le persone e prodotte tonnellate di CO2?”.
L’industria della moda si sta muovendo, non possiamo dire che non stia facendo nulla. Così come l’Agenzia delle Nazioni Unite, che ha fondato la United Nations Alliance for Sustainable Fashion, che ha messo in piedi una serie di iniziative per raggiungere l’obiettivo di un’industria della moda che sia più sostenibile per le persone e per il pianeta.
La moda sostenibile è un tema di cui si è parlato e si parlerà anche durante laFashion Week milanese, a riprova di come si tratti di un tema assolutamente centrale. Quello che però non mi riesce facile capire è cosa si possa fare nel concreto se, cercando tra i brand di moda sostenibile, mi viene proposto Chloé, che vende una t-shirt in cotone biologico a 290€. Scontata, però, costa “solo” 174€.
Torniamo a quello che diceva Masala prima: non è possibile che si debba passare dai 2€ di Shein ai 174€ di Chloé. Deve esistere un’alternativa sostenibile a una cifra abbordabile che possa essere, ipotizzo, 30€.
I panni sporchi vanno lavati in casa
A questo punto qualcuno potrebbe pensare che questi fatti riguardino soltanto i paesi poveri o l’industria delle moda. E invece no, quando parliamo di diritti calpestati e condizioni di lavoro disumane, dobbiamo guardare anche alla nostra bella Italia.
Mi ha molto colpito l’inchiesta del quotidiano Domani, “La convenienza ha un costo. Ecco il mondo dei senza diritti”, che racconta dei turni massacranti dei lavoratori di Mondo Convenienza, il marchio più importante in Italia dell’arredamento low-cost, quasi tutti stranieri e con paghe da fame (si parla di 6 € lordi l’ora, altro che i 9€ del reddito minimo di cui si parla da qualche tempo).
Non bastasse, l’inchiesta racconta anche delle botte subite da uno dei lavoratori al centro della protesta, Rachid, a cui sono stati dati 40 giorni di prognosi per essere stato picchiato (presumibilmente) da uno dei suoi responsabili.
E se il settore del mobile low-cost parla di 6€ l’ora, non va molto meglio ai lavoratori (quasi tutti cinesi, questa volta) del settore dei mobili imbottiti, ovvero i divani. Di questo settore si era occupato Report, con un servizio denominato “Una poltrona per due” che denunciava, anche in questo caso, condizioni di lavoro pessime a paghe orarie indegne per un paese come il nostro.
Report:
Synthetics - Anonymous 2.0 Fashion’s persistent plastic problem
» PENSIERI FRANCHI: Ma che lo usiamo a fare il computer?
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale. O meglio, i miei pensieri in libertà.
Ogni tanto, per trovare l’ispirazione giusta per scrivere l’Insalata, mi rivolgo a Google Trends, il servizio di Google che ci dice quali sono le ultime tendenze nelle ricerche sul motore.
Il risultato di questa consultazione però si rileva sempre abbastanza deludente, le ricerche degli utenti sono sempre più o meno le stesse: sport, spettacolo, gossip. Anche questa volta c’ho provato e mentre consultavo i soliti dati mi è sorto un dubbio tremendo. Ho raccolto i dati per nazione, ho allargato il periodo, ho messo in ordine di volume di ricerca e il dubbio allora è divenuto certezza: le prime dieci ricerche per volumi, sono tutte legate al calcio, tranne due, ovvero “buona pasqua” e “Monte Faito”, luogo della tragedia della funivia.
In pratica, l’80% dell’uso di Google se ne va per cercare partite di calcio. Immagino i risultati o l’orario in cui si gioca. La cosa che mi fa veramente impazzire è che immagino ci siano posti più idonei per cercare informazioni sulle partite, siti specializzati o portali sportivi, ma probabilmente è più comodo sbloccare lo smartphone e scrivere velocemente sul browser il nome delle squadre che si devono scontrare. Ok, se però questo tipo di utilizzo di Google arriva a rappresentare l’80% delle ricerche, allora significa che a noi, fondamentalmente, Google non serve.
Mi sono domandato un’altra cosa: come usiamo lo smartphone e il computer? Anche questa è una domanda a cui sappiamo rispondere, grazie ai report annuali come quello di We Are Social, di cui peraltro abbiamo parlato anche recentemente nell’Insalata sui numeri dell’Italia digitale. Il risultato, in quel caso, è che utilizziamo smartphone e computer principalmente per lo streaming audio/video e per i social network; per comunicare con altri, per avere suggerimenti su cosa acquistare e anche per rimanere informati, si, ma sempre all’interno delle piattaforme social.
Quel mondo che si andava prospettando agli albori di internet - fatto di testate, siti e blog specializzati in un argomento dove sapevi di poter trovare tutto quello che cercavi - non esiste più o è davvero messo malino. Che ci piaccia o meno - lo smartphone, il computer e internet - sono diventati mezzi e piattaforme orientati quasi esclusivamente all’intrattenimento. Almeno nei grandi numeri e per quello che riguarda le masse, ovvio, guai a dire che internet e lo sviluppo degli strumenti tecnologici siano solo questo. Ma per il grosso delle persone che utilizzano quotidianamente un dispositivo connesso a internet è indubbiamente così.
Ora qualcuno potrebbe pensare male degli italiani, lo so. È per questo che ho fatto la stessa ricerca in Germania. Il risultato? Non è cambiato: nelle prime 10 ricerche per volume troviamo calcio, tennis, Pasqua e… maltempo in Italia. D’altronde si sa che i tedeschi vengono a trascorrere le vacanze da noi, quindi non c’è da stupirsi se si preoccupino del tempo che farà dalle nostre parti. In ogni caso, anche in Germania stessa situazione, così come in Francia e Spagna. Cambia qualcosina negli Stati Uniti, ma nemmeno tanto. Lì gli sport seguiti sono un po’ di più, ma sopratutto ci sono altre cose a richiamare l’attenzione, come le sparatorie nelle scuole, i terremoti e i voli nello spazio dei miliardari.
Insomma, con buona pace di Federico Faggin, di John Berners-Lee e di Bill Gates, la tecnologia raggiunge ogni giorno un traguardo nuovo e incredibile e al tempo stesso, ogni giorno, la maggior parte della popolazione mondiale la usa per fare tutto tranne quello per cui visionari scienziati e imprenditori l’hanno immaginata: seguire le partite di calcio, le ultime novità gossippare e l’immancabile porno.
Franco A.
» SFAMA LA FOMO!
Cos’è la F.O.M.O.?1
Siti porno, scatta la verifica digitale dell’età: AGCOM approva le regole
AGCOM ha approvato la delibera 96/25/CONS che stabilisce le modalità per verificare la maggiore età degli utenti che accedono a contenuti pornografici online. Entro sei mesi dalla pubblicazione, i siti e le piattaforme interessate dovranno adottare sistemi certificati di identificazione e autenticazione, basati su due passaggi separati per garantire l’anonimato e la tutela dei dati personali. La misura nasce dal “Decreto Caivano” e mira a impedire l’accesso ai minori, come previsto dall’art. 13-bis. La Commissione Europea ha già espresso parere positivo, ma restano da chiarire alcuni dettagli tecnici, come l’identità dei soggetti terzi abilitati alla verifica.
Ci torneremo con un approfondimento non appena l’AGCOM avrà pubblicato la delibera.
Fonte: DDay.it
Telemarketing selvaggio, arriva il filtro anti-spoofing obbligatorio per le telco: AGCOM pronta a deliberare
AGCOM ha sviluppato un filtro anti-spoofing per contrastare le chiamate di telemarketing selvaggio che mascherano il numero chiamante con tecniche fraudolente. Il filtro, reso obbligatorio per tutti gli operatori telefonici, punta a bloccare le chiamate con Caller ID falsificato, spesso utilizzato da call center illegali operanti dall’estero. La delibera è attesa per il 30 aprile 2025, dopodiché gli operatori avranno sei mesi per implementare la nuova tecnologia. L’intervento è frutto di sei mesi di consultazione tecnica e si inserisce nella lotta contro lo spam telefonico promossa dal Ministero delle Imprese.
Fonte: DDay.it
Google colpevole di monopolio nella pubblicità digitale: la sentenza USA impone lo "spezzatino
Il tribunale federale della Virginia ha dichiarato Google colpevole di aver violato le leggi antitrust, monopolizzando i mercati dei server pubblicitari per editori e delle piattaforme d’asta online (ad exchange). Il legame forzato tra DoubleClick for Publishers (DFP) e AdX ha limitato la concorrenza, costringendo editori e inserzionisti a usare gli strumenti Google per accedere a offerte vantaggiose. Il Dipartimento di Giustizia chiede ora lo smantellamento parziale del business pubblicitario dell’azienda. Respinta invece l'accusa di monopolio nelle reti pubblicitarie per inserzionisti. Google presenterà ricorso, ma entro sette giorni dovrà iniziare la discussione sui rimedi strutturali.
Fonte: DDay.it
Horse Powertrain presenta Future Hybrid Concept: il sistema che trasforma le auto elettriche in ibride
Horse Powertrain, joint venture tra Renault e Geely, ha sviluppato un innovativo sistema propulsivo ibrido compatto e modulare pensato per piattaforme nate come 100% elettriche. Il nuovo Future Hybrid Concept consente di installare un motore termico su veicoli BEV esistenti con minime modifiche, riducendo costi produttivi e aumentando la flessibilità. Il sistema integra inverter, convertitori e ricarica rapida da 800 V, è compatibile con vari carburanti (benzina, E85, M100, e-fuel) e potrebbe arrivare sul mercato già nel 2028. Un’alternativa ibrida per rispondere all’evoluzione della domanda in un mercato sempre più incerto sul full electric.
Fonte: DMove.it
Primo test nel traffico italiano per un’auto a guida autonoma: successo sulla Tangenziale di Napoli
Per la prima volta in Italia, un veicolo a guida autonoma ha circolato in un contesto di traffico reale sulla Tangenziale di Napoli. Il test, condotto dal MIT in collaborazione con il Politecnico di Milano, Autostrade per l’Italia e la Polizia di Stato, ha visto l’auto percorrere circa 3 km con un pilota di sicurezza a bordo. In parallelo è stata testata la tecnologia “Dynamic Speed Limit”, sviluppata da Movyon e Università Federico II, che adatta i limiti di velocità in tempo reale grazie alla comunicazione veicolo-infrastruttura. L’iniziativa punta alla certificazione “Smart Road” e apre la strada all’adozione della guida autonoma in Italia.
Fonte: DMove.it
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Buongiorno Franco. Nulla da eccepire alla tua insalata light, lo sappiamo tutti che quando si tratta di low cost ci saranno sempre condizioni disumane di lavoro, ma tanto occhio non vede, cuore non duole. Ci si indigna le rare volte che si scopre la montagna di sporcizia sotto il tappeto, ma tu abbiamo già il pacco pronto da ritirare al Locker di turno. Il problema è che non c'è alternativa, come sottolineavi tu, con prezzi fuori portata per molti. Ma almeno può aiutare essere consapevoli che le nostre azioni hanno sempre un costo, che può pagare qualcun'altro.
Buona Pasquetta 🐣