Studenti in calo, insegnanti in aumento, classi scoperte. Un’altra meravigliosa storia italiana
Le scuole rimangono spesso senza insegnanti, eppure di insegnanti ce ne sono sempre tanti, anche oggi che gli studenti calano vistosamente. Come mai?
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Nei Pensieri Franchi della scorsa settimana, riflettevo sulla modalità tutta italiana di risolvere i problemi. Nel caso di specie mi lasciava perplesso il ragionamento fatto da una certa dirigenza che, per evitare un ritardo, ha spostato la partenza del treno all’indietro.
Tra le tante storture tutte italiane, che vanno dalla cattiva organizzazione alla pessima concezione di assistenza e rispetto dei clienti, mi sono imbattuto in un altro dato che mi ha lasciato perplesso e che riguarda il numero di insegnanti della scuola italiana.
Se avete dei figli in età scolare, saprete di certo che il percorso di studi è spesso caratterizzato da supplenze, insegnanti temporanei che poi lo sono per quasi tutto un anno, con mancanze croniche di figure che possano ricoprire certe cattedre. Ecco, il dato che mi ha lasciato stupito è quello che in Europa, fatta eccezione per i paesi più piccoli, siamo tra i paesi che hanno il rapporto insegnanti/studenti più basso (inteso come meno studenti per insegnante, dove un numero più basso quindi è un risultato migliore).
Da questo dato sono partito per cercarne altri che sembrano un po’ in contraddizione e in effetti, di contraddizioni, ne ho trovate un bel po’. Da studiare con GPT passiamo dunque a “vorrei studiare ma non ho l’insegnante”. Peccato che gli insegnanti però ci siano, e sono pure tanti.
Quanti insegnati ci sono in Italia
Visto che abbiamo parlato di quanti sono gli insegnanti, cominciamo a dare qualche numero. Non è facile reperire il numero esatto degli insegnanti operanti in Italia, anche perché bisogna distinguere le diverse categorie a cui i docenti appartengono, e vi assicuro che non è affatto facile.
In ogni caso gli insegnanti in Italia, lo dice il Ministero dell’Istruzione, sono poco meno di 900.000, divisi tra 684.583 posti comuni (stabili rispetto al 2023) e 205.253 posti di sostegno (erano 194.400 nel 2023). Un numero abbastanza imponente, che tuttavia ci dice poco, se non rapportato al numero di studenti.
Già a livello di terminologia si fa molta confusione: tra posti “comuni”, posti “in deroga”, “posti di sostegno” e “posti di sostegno in deroga”, è evidente che questi numeri possono essere chiari al 100% soltanto (forse) agli addetti ai lavori. E che questi dati assolutamente poco chiari siano forniti dal Ministero dell’Istruzione, è già tutto dire.
Il sindacato ANIEF (non mi chiedete il significato dell’acronimo, non sono stato capace di trovarlo sul sito che pure conta un sacco di documentazione ufficiale), tramite il suo presidente Marcello Pacifico, ha dichiarato a riguardo:«I numeri del Ministero sono allarmanti, perché vanno aggiunti oltre 200 mila cattedre assegnate ai precari e quella del sostegno, con un docente su due precario, è una condizione tutta italiana che non si può più sopportare».
Se veramente 200.000 cattedre su 900.000 sono precarie, allora già comincia a intravedersi un problema. Ma quello maggiore, forse, è che il numero degli insegnanti continua a rimanere stabilmente alto pure se gli studenti calano. E calano perché la demografia è negativa, è un fatto che ormai conosciamo bene.
Quanti sono gli studenti in Italia?
Questo invece è un dato piuttosto semplice da trovare: nel 2024 in 362.115 classi hanno trovato posto 7.073.587 studenti. L’anno scorso erano invece 7.194.400 in 364.069 classi, circa 120.000 studenti in meno. Tuttavia sono aumentati gli studenti con disabilità, da 311.201 a 331.124 (20.000 studenti con disabilità in più, sarebbe un numero da indagare, anche per l’impatto che provocano sulla necessità di insegnanti di sostegno).
Gli studenti quindi calano e calano in maniera piuttosto consistente. Lo stesso rapporto del Ministero ci mostra anche un grafico con l’andamento della variazione percentuale di studenti, classi e docenti. Il grafico è abbastanza lampante, perché di fronte al crollo della variazione percentuale degli studenti e quello meno accentuato delle classi, gli insegnanti rimangono pressoché stabili.
Si noti che si tratta di un grafico che rappresenta non il numero di studenti totali, ma appunto la variazione percentuale. Il grafico degli studenti infatti mostra come nell’anno scolastico 2018/19 erano l’1% in meno rispetto all’anno precedente, mentre nel 2024/25 sono il 9% in meno.
Il dato però che più fa riflettere non è tanto il numero di studenti, ma delle classi. Infatti è razionale immaginare che il numero di docenti sia legato alle classi. Se calano gli studenti, ma non le classi, sarà impossibile pensare di ridurre gli insegnanti. Non è che se ho 10 classi da 20 alunni che poi diventano 15 l’anno successivo, posso pensare di togliere l’insegnante di storia, per capirci. Se però le classi diventano 8 anziché 10, allora si che possiamo pensare di aver meno bisogno di insegnanti. E invece no, pur calando il numero di classi, il numero di insegnanti rimane stabile.
Non è un caso quindi che - e arriviamo quindi al dato che avevo dato in apertura - il rapporto insegnanti/studenti in Italia sia uno dei più alti in Europa (o meglio quello col rapporto più basso), se si considerano i grandi paesi. In Italia ci sono infatti 10,4 studenti per ogni insegnante. In Spagna 11,3, in Germania 13,3, in Francia 15 e nei Paesi Bassi addirittura 16.
Sotto di noi, con un rapporto più basso e dunque con meno studenti per insegnante, ci sono soltanto paesi più piccoli come Grecia (8,3), Lussemburgo (8,5), Malta (8,7), ecc.
Abbiamo davvero scuole piene di insegnanti?
A questo punto uno dovrebbe pensare che le scuole abbondino di docenti e che nessuna classe rimanga mai senza. E invece non è così. Le classi delle nostre scuole sono spesso scoperte da un insegnante. Insegnanti che arrivano dopo l’inizio dell’anno scolastico, oppure che cambiano anche più volte all’anno nella stessa materia.
A febbraio 2024 il sito orizzontescuola.it fotografava una situazione drammatica in questo senso, con quasi 10.000 supplenze in più, il 7% in più tra gli insegnanti di sostegno e +16,87% nella scuola dell’infanzia.
Cito dal sito:«Nel complesso il totale delle supplenze per l’anno scolastico terminato (il 2022/23) è stato di 234.576, a fronte di 224,958 dell’anno precedente. Nel complesso la differenza è di 9,618 supplenze in più nel 2022/23, con una percentuale di variazione del 4.28%».
Lo stipendio degli insegnanti è troppo basso, forse perché ce ne sono troppi?
Una riflessione sul numero di insegnanti va fatta anche e soprattutto alla luce degli stipendi medi, da sempre ritenuti troppo bassi, anche considerando il tipo di lavoro che può essere indubbiamente logorante.
Gli stupendi, in Italia, sono un problema grave e annoso ormai noto a tutti. Non crescono da decenni e questo fatto rappresenta un problema enorme per la crescita dell’intero paese a cui non fanno certo eccezione gli insegnanti.
A questo proposito, il Sole24Ore ha realizzato dei grafici molto utili suddivisi per ciclo scolastico, dove si scopre che la posizione dell’Italia rispetto agli altri paesi dell’OCSE è sempre nella metà bassa della classifica. Se prendiamo ad esempio le scuole superiori, lo stipendio medio si aggira sui 36.383$ l'anno (non è un errore, il rapporto dell’OCSE è espresso in dollari).
Sotto l’Italia ci sono paesi come Cile, Polonia, Grecia, Repubblica Ceca, Brasile, Estonia e via dicendo. Sopra invece c’è solo l’imbarazzo della scelta con un primo posto assegnato all’Olanda, in cui gli insegnanti delle superiori portano a casa mediamente 66.617$.
Benissimo, all’uomo semplice (quale sono) verrebbe da pensare: basta diminuirne il numero di insegnanti per avere dei compensi più in linea con quelli degli altri paesi europei. Prima però di arrivare a queste conclusioni c’è ancora un dato da analizzare.
Se confrontiamo i compensi annuali con gli altri paesi, non possiamo non tener conto anche dell’altro dato che abbiamo visto prima, ovvero il rapporto tra insegnanti e studenti, perché questo inevitabilmente si riflette sul numero di ore lavorare.
Un altro articolo del Sole24Ore infatti analizza proprio il numero di ore lavorate dagli insegnanti italiani confrontato con quello degli altri paesi. Purtroppo l’articolo del Sole24Ore è relativo a un vecchio rapporto dell’OCSE, in cui risultava che il totale delle ore annuali di insegnamento degli insegnanti Italiani è appena sotto la media europea e ben al di sotto della media dell’OCSE.
Sono andato a cercare la versione aggiornata di questo rapporto, quella del 2024, dove i dati risultano leggermente differenti. Ora infatti, come si può vedere dalla tabella qui sotto, il totale delle ore lavorate dagli insegnanti italiani è leggermente sopra la media sia Europea sia della Germania, ma ancora ben al di sotto di quella dei paesi OCSE.
Numeri assurdi, ma normali in Italia
Dopo tutti questi numeri e dati, proviamo a tirare le somme: In Italia gli studenti calano ogni anno di centinaia di migliaia, anche le classi diminuiscono, ma il numero di insegnanti aumenta (aumentano quelli precari, ma aumentano). Già questo basterebbe a farsi delle domande: come può rimanere stabile il numero di insegnanti se gli studenti sono di meno? Cosa fanno?
Il numero di studenti per insegnante è molto basso, uno dei più bassi tra i grandi paesi europei. Sono 10,4 quando in Francia sono ben 15. Ciononostante, il numero di supplenze cresce, e qui il dubbio diventa ancora più grosso, perché se abbiamo un numero di insegnanti stabile al crollare del numero di studenti e per giunta aumentano anche le supplenze, non si capisce dove e come siano impiegati gli insegnanti.
Se questi numeri stupirebbero ovunque, non stupiscono invece in Italia, dove il problema della produttività e dell’efficienza è forse uno dei problemi più importanti. Anche se il numero di ore lavorate ogni anno non è altissimo, di certo questo fatto non basta a giustificare uno stipendio che è obiettivamente molto basso, tra i più bassi dei paesi OCSE.
In tutto questo lungo elenco di numeri c’è però una grande assente, che è la qualità. Sappiamo infatti che quello dell’insegnante non è un mestiere qualsiasi. Non si può fare come ripiego, come scappatoia. Fare l’insegnante richiede dedizione, vocazione, predisposizione. Se gonfiamo la scuola di insegnanti sottopagati e non adeguatamente formati, il risultato non può che essere una popolazione studentesca formata molto male e infatti - questa volta faccio finta di essere stupito - i risultati delle prove INVALSI vedono di nuovo il nostro paese produrre risultati inferiori alla media dei paesi europei e persino in calo anno su anno.
La scuola, in altre parole, ha un grosso problema. Un problema che nei numeri è comune ad altri settori fondamentali del paese, ma nei fatti è forse più grave e urgente. Forse analogo soltanto a quello della sanità, ma sai che consolazione. Da qui, dalla scuola e dalla qualità e quantità degli insegnanti, dipende il futuro del nostro paese e se tanto mi dà tanto, mi sa che non si prospetta un futuro così radioso.
» PENSIERI FRANCHI: A noi internet non serve
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Nell’accingermi ad affrontare il quotidiano rito di ascolto della rassegna stampa del Post, stamattina ho scoperto un dato che mi ha lasciato un po’ stupito ma che poi, come spesso succede, dopo averci pensato su un minuto, ho pensato che fosse completamente comprensibile e anzi intuibile.
Da giovane nerd ho sempre seguito attentamente la diffusione dell’internet a banda larga in Italia e anzi sono stato tra i primi ad adottare la BBB di Telecom Italia, ovvero la Broad Band Box, primo esperimento di internet a banda larga in Italia (allora un’ADSL da 256 Kbit/s, oggi la considereremmo altro che banda larga, banda ristrettissima).
Per cui monitoro frequentemente la diffusione della fibra e devo dire anche con soddisfazione, tanto che recentemente - qualcuno di voi l’avrà già letto - mi sono spostato in un appartamento di Biella coperto da fibra a 2,5 Gb/s, che è stato come fare un passo nel futuro.
Ebbene, la scoperta di stamattina riguarda il fatto che, come paese, abbiamo effettivamente fatto passi da gigante negli ultimi anni, avvicinandoci tantissimo alla media europea di diffusione della fibra. Tuttavia, qui sta la notizia, non la utilizziamo. Non sottoscriviamo contratti in fibra, la lasciamo lì a prendere umidità nei corrugati, forse perché la riteniamo qualcosa di superfluo e non necessario.
Due dati prima di tutto: secondo sostariffe.it, a settembre 2023 erano collegate in fibra diretta (quella vera, che ti entra in casa con il cavo in fibra e non in rame, chiamata FTTH) 15,5 milioni di abitazioni contro le 14 del settembre 2022. Il totale raggiunto rappresenta il 59% del mercato, contro una media europea del 69,9%. Il problema è che se in Europa il tasso medio di adozione è del 49,6%, in Italia lo è del 26,9%.
Ancora una volta, la mia visione del mondo è stata fortemente influenzata dal mio modo di vedere le cose e dal mio contesto sociale. Mi immaginavo che chiunque, come me, compulsasse quotidianamente i siti che mappano la copertura in fibra ottica delle strade per scoprire quando sarebbe stato raggiunto anche il proprio domicilio e invece no, mi sono dovuto scontrare con una realtà fatta di persone che della fibra, semplicemente, se ne fregano.
Il perché è facile da capire e si può ricavare da questo rapporto di Istat e dal Digital 2023 di datareportal.com: per gli italiani, la connessione a internet fissa (fibra o adsl non fa differenza), semplicemente non serve. Riporto qui alcuni titoli del rapporto Istat: “Aumenta l’uso di Internet ma il 41,6% degli internauti ha competenze digitali basse”, infatti risulta che solo il 29,1% degli utilizzatori di internet tra i 16 e i 74 anni ha competenze digitali elevate. “Più di una famiglia su due non ha Internet perché non sa utilizzarlo”, cioè “La maggior parte delle famiglie senza accesso a Internet da casa indica come principale motivo la mancanza di capacità (56,4%) e il 25,5% non considera Internet uno strumento utile e interessante”.
Infine c’è il dato di datareportal.com, sul quale torneremo sicuramente con un approfondimento perché troppo ricco di dati interessanti, che dice che in Italia ci sono 78,19 milioni di connessioni cellulari su 58,96 milioni di abitanti, ovvero il 132,6%. Significa che mediamente ogni abitante ha quasi uno smartphone e mezzo connesso.
Ecco qui dunque la vera ragione del disinteresse verso la fibra: utilizziamo solo lo smartphone e ci facciamo bastare quello. Di più, probabilmente ci informiamo solo sui social, che sono le app che hanno reso così popolari gli smartphone, facendone l’unico vero centro di accesso a internet della nostra vita. Dunque non usiamo il computer fisso, non “lavoriamo” con internet, ma la usiamo principalmente per lo svago.
Capite quindi che la fibra è interessante fino a un certo punto: se tanto abbiamo la connessione sullo smartphone, perché fare un altro abbonamento? Però tutto questo è indice anche di una scarsissima alfabetizzazione informatica e digitale (che del resto è riscontrabile nella quotidianità). Dicevamo che senza accesso a banda larga il nostro paese sarebbe rimasto indietro e ora che l’accesso c’è, scopriamo che rimarremo lo stesso indietro, ma non per mancanza di mezzi, bensì perché siamo fondamentalmente dei primitivi digitali. Di questa grande opportunità di comunicazione e conoscenza che è la rete delle reti, prendiamo soltanto il lato ludico: compriamo su internet e condividiamo sui social. Ma così, alle porte della rivoluzione epocale dell’intelligenza artificiale, stiamo scavando tra noi e il resto del mondo un solco profondissimo.
Parlo soprattutto di quello che consideriamo il terzo mondo, che invece sta galoppando, sviluppando competenze tecnologiche e informatiche invidiabili (penso al sudest asiatico, ma anche all’Africa). Noi europei, invece, peggio ancora noi italiani, usiamo internet per divertirci, per mettere un like o condividere una storia e nel frattempo il mondo va avanti lasciandoci indietro, finché in quel solco che abbiamo scavato ci seppelliranno.
E così, ce lo insegna Darwin, un grande cambiamento epocale avrà di nuovo fatto la sua selezione naturale, lasciando sopravvivere soltanto chi ha i mezzi e le caratteristiche per sopravvivere e lasciando estinguere chi invece non aveva l’attitudine per sopravvivere nel nuovo mondo.
Franco A.
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La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Aggiungo un bit di informazione sulle classi. Esiste un numero minimo di studenti per classe, ma esiste anche la deroga a quel numero per: comunità montane, piccoli comuni con difficoltà di collegamenti con scuole più grandi, aree depresse, aree speciali. Quindi ci sono molti insegnanti perché ci sono classi di 28 studenti (le mie nella popolosa Lombardia) e classi di 12 studenti (sezione unica di una scuola media inferiore dell’entroterra ligure con un collegamento alla prima area urbana disagevole per ragazzini così piccoli). La geografia fa la storia, e fa anche la politica, che pur di mantenere un plesso aperto fa acrobazie. Non sempre a torto, perché se chiudiamo scuole elementari dove ci sono paesi di 1500 abitanti e pochi bambini abbiamo costretto 1500 persone a spostarsi in area urbana, con conseguenti difficoltà