#InsalataLight: I videogiochi sono una cosa seria
Sono ancora molto diffusi gli stereotipi negativi legati al videogioco. Forse non abbiamo ancora capito quanto il videogioco sia una cosa seria.
#InsalataLight è la versione leggera di Insalata Mista. È una rivisitazione di una vecchia uscita, aggiornata e attualizzata al momento in cui esce. È anche un modo per recuperare puntate col podcast, che è partito quando la newsletter era già intorno alla puntata 50. Un modo per riscoprire e aggiornarsi su un tema interessante del passato, insomma, scoprendo come si è evoluta la questione nel frattempo.
Qualche tempo fa ho dovuto votare a favore o contro il rinnovo di un progetto promosso dai comuni e dagli istituti scolastici tra i quali c’è il comune dove risiedevo e la scuola che frequentano i miei figli (dovrò votare in quanto membro del Consiglio di Istituto). Questo progetto ha prodotto in passato alcuni video sul tema della ludopatia. Un tema serio, per carità, che però è stato interpretato (o frainteso) mettendo al centro del discorso i videogiochi su smartphone.
Questi video, caricati pubblicamente su YouTube, vedono la reiterazione di uno stesso plot: alcuni ragazzi “sani” escono per giocare all’aria aperta, mentre altri, rappresentati completamene anestetizzati come fossero zombie o con qualche forma grave di dipendenza, giocano sempre con lo smartphone. Il tutto è inframezzato da titoli a effetto, caratteri bianchi su sfondo nero, che pongono dilemmi morali tipo «a chi dovrebbero davvero fare attenzione i ragazzi?» (tra le righe: il pericolo più grande non è in strada, ma nello smartphone).
Fa letteralmente accapponare la pelle il fatto che questi video siano stati realizzati da ragazzi coinvolti nel (cito testualmente) “progetto promosso dai Comuni e dagli Istituti comprensivi aderenti all'iniziativa di Avviso Pubblico - Enti locali e Regioni contro mafie e corruzione”. Insomma il videogioco viene accostato a concetti come la ludopatia, la mafia e la corruzione.
Da questo fatto, cioè dal fatto che nel 2023 debba ancora esistere una forma di stereotipata paura per il videogioco, che porta ad associarlo addirittura a forme gravi di dipendenza e di criminalità organizzata (!!!), è nato il desiderio di analizzare lo stato del videogioco in Italia. Come viene percepito? Quante persone ci lavorano? Esiste un’informazione seria e matura sull’argomento? La risposta, vi tranquillizzo subito, è positiva per tutte e tre le domande. Ma nonostante ciò, resistono ancora sacche di (speriamo incosciente) ignoranza sull’argomento che però, a quanto pare, possono fare danni.
Ci tengo poi a sottolineare che in nessun documento ufficiale del Ministero della Salute o dell’Istituto Superiore di Sanità, per quanto sono riuscito a verificare, ho trovato legami tra il concetto di ludopatia e il videogioco. La ludopatia è strettamente legata alla dipendenza e al gioco d’azzardo. Quando si parla di ludopatia, nonostante nel termine stesso sia insito il concetto di gioco (il termine “ludus” viene dal latino e ha diversi significati legati al gioco, allo sport e all’intrattenimento), si intende oggigiorno la dipendenza dal gioco d’azzardo e quindi l’incapacità di smettere di giocare e spendere soldi. Nessuna correlazione esiste con la dipendenza da videogioco che - attenzione - può anche essere preoccupante e sicuramente da gestire nelle fasce di giocatori più giovani, ma non c’entra un bel niente col concetto di ludopatia e con quello che viene messo in scena dai ragazzi nei video oggetto di quel progetto. Un gran pastone tra dipendenza da smartphone, ludopatia, criminalità, mafie, social network e bullismo che non può che rappresentare un mondo - quello degli adulti - che è estremamente confuso a riguardo e che di certo non è in grado di trovare soluzioni a qualcosa che non hanno ancora capito. Figuriamoci fornire ricette o dare consigli a qualcuno.
Ecco, per dovere di cronaca, ci tengo a sottolineare una cosa: potrei mettervi qui il link di uno di questi video, sono su YouTube, ma preferisco non farlo. Nonostante siano stati pubblicati senza restrizioni - e non dubito che chi li ha pubblicati avrà avuto tutte le autorizzazioni del caso per pubblicare video con protagonisti dei minori - ho le ferma convinzione che questi ragazzi in futuro potrebbero pentirsi di aver partecipato a qualcosa che è profondamente sbagliato, proprio nei termini, non solo nel concetto.
Cos’è il videogioco oggi: da svago a forma d’arte
La cosa più assurda di tutta la faccenda è che venga buttato tutto in vacca, facendo del videogioco un tutt’uno con la dipendenza dallo smartphone e, perché no, mettendoci in mezzo anche i social network. La verità è che il videogioco - chi lo tratta per mestiere lo sa - è ormai un mezzo maturo caratterizzato da una serie di sfaccettature che lo portano a essere tante cose simili tra di loro, ma anche profondamente diverse.
Il videogioco per piattaforme mobili è spesso un gioco mordi e fuggi, fatto di gameplay semplici e ripetitivi. Anche in questo caso ci sono eccezioni, ma se guardiamo ai titoli di richiamo, troviamo giochi che fanno della progressione all’interno di schermi semplici il loro forte. Pensiamo a Candy Crush, per fare un esempio, dove si uniscono caramelle per farle esplodere, o Subway Surfer, dove si corre all’infinito schivando ostacoli.
Poi ci sono, sempre su smartphone, una serie di esperienze multiplayer ambientate in mondi aperti, come Minecraft, Roblox e Genshin Impact. I primi due sono particolarmente interessanti perché funzionano a loro volta da piattaforme per permettere al giocatore di creare mondi e avventure. Torneremo in futuro su questo concetto perché è interessante.
C’è poi tutto il mondo dei giochi per console domestiche - Playstation, Xbox e Switch -, che comprendono le esperienze più mature e curate. Parliamo dei titoli che attraggono più investimenti e che impegnano gli studi di sviluppo più grandi e importanti. Sulle console sono usciti alcuni dei titoli più importanti della storia dei videogiochi, quelli che hanno segnato e contaminato anche altri settori culturali e dell’intrattenimento. Ne citiamo giusto un paio tra i più rappresentativi nel mio immaginario: The Last of Us e Super Mario Bros, entrambi arrivati anche su altri schermi (serie TV per il primo e cinema per il secondo) di recente.
Infine ci sono i PC, che sono in parte sovrapponibili al discorso fatto per le console, ma che sono molto più focalizzati sul multiplayer e sui negozi digitali di videogiochi multipiattaforma come Steam, che su console non esistono. Con i giochi che richiedono l’uso di periferiche di precisione (mouse e tastiera) e con le produzioni indipendenti che spopolano su Steam, i PC si sono ricavati una fetta molto precisa di videogiochi che raramente arrivano su console o su piattaforme mobili.
Il videogioco può essere quindi una forma di svago, una partita rilassante per scaricare un po’ di tensione a fine giornata o, perché no, in una pausa di lavoro. Oppure può essere un’esperienza di tutt’altro spessore, come quelle che si possono vivere con le produzioni più importanti che raccolgono i migliori artisti disponibili sul mercato, dando vita a vere opere d’arte che miscelano una sceneggiatura cinematografica, le arti visive, l’animazione e gli effetti speciali, la fotografia (anche questa mutuata dal cinema) e infine le colonne sonore di autori contemporanei. Non sono sicuramente il primo a dire che il videogioco, sotto questi punti di vista, rappresenti una forma d’arte contemporanea fatta e finita, forse una delle più complete.
Parola ai dati: chi sono i videogiocatori in Italia?
Fatta questa doverosa premessa, a sostegno di tutto questo discorso ci sono sicuramente i dati. In particolare quelli pubblicati da IIDEA, che è l'Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia.
In questa Insalata Light ho aggiornato i dati dell’edizione 2021 con quelli dell’ultima edizione disponibile, che oggi è quella del 2023. In più aggiungo altri documenti che mi sembrano molto utili per questa Insalata, che sono
Il Manifesto di Videogameseurope con le richieste all’Europa per il quinquennio 2024-2029
Il report di IIDEA e Deloitte sul mercato degli esports in Italia nel 2024
In più ne lascio uno dell’Insalata originale, molto importante, che è uno studio fatto in collaborazione col Censis sul valore economico e sociale dei videogiochi in Italia.
Cominciamo a delineare i tratti generali di questo mercato con una prima infografica. In Italia i videogiochi generano un giro d’affari totale di 2.308 milioni di Euro (erano 2.254 nel precedente report). Parliamo quindi di un settore industriale tutt’altro che trascurabile. Tanto che, finalmente, anche il governo si è deciso a muovere i primi (timidi) passi per supportare questo mercato che conta circa 160 studi di sviluppo.
Sono circa 13 milioni i giocatori (erano 15,5 milioni)1, ovvero il 31% della popolazione italiana. Volete sapere quali sono le fasce di età più attive? 15-24 e 45-64 anni, rispettivamente con 3,2 e 3,1 milioni di giocatori. L’età media per i giocatori maschi è di 30 anni, mentre per le donne 31, alla faccia dell’emergenza “ludopatia” tra gli adolescenti. Le fasce che invece, secondo i video di cui parlavamo prima, sarebbero interessate dal problema “ludopatia”, ovvero 6-10 e 11-14 anni, sono quelle che contano meno giocatori in assoluto: 1,2 milioni la prima e 1,5 la seconda. Non pochi, certo, ma comunque le meno popolate.
Un altro dato interessante, sempre riprendendo il tema dei video ludopatici, sono i giochi più venduti in Italia. Tra i giochi presi di mira da chi sostiene che questi possano generare dipendenza, non c’è nemmeno un titolo in classifica (nel precedente c’erano i soliti Fortnite e Among Us).
Sapete quanti giochi di questi ci sono tra i primi 10 più venduti? Zero. Sul podio ci sono infatti due FC (quello che era Fifa e, ahimè, siamo in Italia, il calcio ha la sua importanza) e un titolo di Harry Potter. C’è poi una sequenza di altri titoli di quelli che prima avevo definito “piu maturi e curati”, da The Legend Of Zelda all’immancabile GTA5, da Super Mario Bros Wonder a Red Dead Redemption 2.
Purtroppo non è disponibile, nel report 2023, la stessa tabella di dati che avevo trovato nel report 2021 sul tempo di gioco suddiviso per piattaforma, vi lascio quindi lo screenshot originale accompagnato dall’immagine qui sopra che fornisce dati sintetici su quanti giocatori giocano almeno una volta a settimana, al mese o all’anno.
I dati parlano di 8,7 ore di gioco in media a settimana tra tutte le piattaforme. 5,2 delle quali su smartphone o tablet. Direi che si può tranquillamente dire, in base a questi dati, che non c’è nessuna emergenza, né alcun rischio dipendenza (se non in casi sporadici e individuali, ma insomma sono sicuro che ci saranno altrettanti casi di dipendenza sporadica da altre attività, tipo il calcio o altre attività sportive che invece vengono incentivate a prescindere). E comunque, con 5,2 ore spalmate su sette giorni, direi che rimane un bel po’ di tempo per studiare, uscire con gli amici e giocare all’aperto che, viva Dio, una cosa non ha mai escluso l’altra.
Un’espressione rara di un’arte individuale
Voglio tornare un attimo sulle riflessioni personali per farne una sullo sviluppo dei videogiochi e sulla creatività. Sono rimaste ormai pochissime le forme d’arte e di espressione creativa individuale. Il videogioco sta perdendo questa sua dimensione individuale, è vero, però in parte c’è ancora ed è bene preservarla.
Ai tempi dell’Atari 2600, infatti, il videogioco era il frutto dell’elaborato di una sola persona che, chiuso in una stanza, creava una storia, disegnava i personaggi, scriveva le musiche e infine traduceva tutto in codice. Ci vedo una dimensione fantastica e artistica in tutto questo. Un po’ come immaginare Beethoven scrivere la sua nona sinfonia senza nemmeno l’uso del pianoforte (era sordo), soltanto sentendola nella sua testa.
Lo so, qualcuno storcerà il naso leggendo questo accostamento (e altri grideranno allo scandalo ma, ehi, avete accostato la ludopatia ai videogiochi, chi è che ha cominciato prima?), ma se ci pensate è un parallelo molto più concreto di quello che potrebbe sembrare. E in ogni caso, non si può negare che il videogioco, soprattutto quando creato da una sola persona, sia una delle espressioni più belle e artistiche di una creatività che non potrebbe trovare sfogo in nessun altro modo.
L’informazione seria e matura sul videogioco
Se il videogioco è una cosa seria, addirittura una forma di arte e di espressione creativa da rispettare, perché non esiste un’informazione seria e matura? E chi l’ha detto che non c’è?
In Italia le testate giornalistiche di un certo livello che si dedicano ai videogiochi sono poche, si contano sulle dita di una mano. Di sicuro non abbiamo testate di inchiesta e approfondimento come ce ne sono all’estero.
A margine delle testate, però, c’è un’informazione veramente di qualità rappresentata dalle newsletter e dai podcast, che sono il vero territorio dove si fa oggigiorno approfondimento giornalistico serio. Allora non posso che citare la newsletter dell’amico e collega Massimiliano di Marco, Insert Coin, che è anche un podcast al quale saltuariamente partecipo (nella rubrica “Chiacchiere”).
Insert Coin non posso citarla e basta, devo dedicarle per forza qualche parola in più. L’ho seguita da quando era solo un’idea e l’ho vista crescere nel tempo. L’ho sostenuta e alla fine mi ha dato la forza per creare Insalata Mista, che senza Insert Coin non sarebbe mai nata.
Massimiliano per anni ha cercato di fare un’informazione sui videogiochi matura, seria, basata sui dati, sulle interviste ai protagonisti del mercato. Un’informazione che parlasse anche del mercato stesso, che indagasse quello che succede nelle aziende, come si lavora dentro gli studi di sviluppo, cosa porta a realizzare alcuni videogiochi e perché. Insomma, è vero giornalismo “tripla A” applicato al videogioco.
E poi perché non citare Console Generation, il podcast più longevo sulla scena, a cui tutti dobbiamo qualcosa, ma anche Manettini, che è la newsletter di videogiochi de Il Post, che sappiamo essere una delle testate di informazione più serie e importanti in Italia. Ma ce ne sono molte altre di cui ormai sono dipendente, a cominciare da Giochetti di Stefano Besi, caro amico pure lui, che fa dei preziosissimi paralleli tra videogiochi e arte in un modo mai troppo pomposo e cattedratico.
Come non citare poi Atariteca, un progetto incredibilmente curato e studiato di Simone Guidi (aka l’Omone nonché aka Dottor Gonzo) sul mondo Atari. Ma voglio citare anche il loquace e titanico Indieca di Leonardo Tedeschi, un podcast in cui “le dimensioni non contano”, chiaramente dedicato al mondo del videogioco indipendente.
Infine non posso non citare i progetti di Mattia Ravanelli, ovvero “Le parole dei videogiochi”, che si interroga settimanalmente su altri aspetti non comuni legati ai videogiochi e il suo incredibile progetto DayOne, che ogni giorno ripercorre la storia dei videogiochi più importanti della storia usciti proprio in quel giorno. Un progetto che è una newsletter, ma anche un podcast condotto insieme a Alessandro Zampini.
Insomma, se cercate in Italia un’informazione sui videogiochi che non sia soltanto notizie e recensioni, ma che sia opera di vero giornalismo, la potete trovare senza problemi. È vero, si tratta perlopiù di iniziative singole, private. Non c’è un kotaku.com in Italia, quello ancora no, ma chissà. Certamente potrà nascere nel momento in cui ci decideremo a staccare la spina a certi stereotipi profondamente sbagliati.
Gli stereotipi e le “desuete caricature”
E per chiudere questo numero di Insalata Mista, voglio citare interamente il paragrafo “Desuete caricature” preso dall’analisi che IIDEA ha realizzato insieme al CENSIS. Un testo scritto decisamente meglio di come potrei mai fare io e che pertanto voglio riportare integralmente:
“Le macro-componenti del valore sociale del gaming impongono di spazzare via ogni stereotipo, esito di una cattiva narrazione che la realtà ormai si è incaricata di smentire. Uno degli epicentri degli stereotipi riguarda le attuali generazioni di giovani, di cui sono caricaturizzati molti comportamenti che li connotano e differenziano rispetto alle altre generazioni.
Una sorta di stigma generazionale portato all’estremo e che coinvolge anche il rapporto con il gaming. È stato creato un link, di pura fantasia mai verificato fattualmente e nei numeri, tra devianze giovanili, autolesionismi e utilizzo delle nuove tecnologie, inclusi i videogiochi.
Si è creata una sterminata pubblicistica che si è auto confermata, senza mai sfidarsi su prove scientifiche o dati fattuali. La verità è che lo stigma reiterato senza verifiche è indotto dalle difficoltà delle generazioni di attuali genitori e nonni ad accettare lo scarto digitale con i più giovani, certificato dal quasi naturale rapporto delle nuove generazioni con il digitale.
L’indimostrata minaccia sanitaria di alcuni device e di alcune pratiche digitali è in realtà il sintomo peggiore della mancata capacità di interpretare il presente dei nativi digitali da parte dei non nativi digitali. Il digitale genera culture, modelli di apprendimento, forme artistiche e di comunicazione originali diverse da quelle preesistenti e nel suo installarsi nelle attività individuali e sociali rivoluziona l’arte, la cultura, il lavoro, la formazione, la fruizione del tempo libero ecc.
Ecco allora che, di fronte al nuovo inafferrabile, scatta lo stigma e la retorica che associa rischi a smartphone e videogiochi, con una meccanica che ricorda quella che in passato colpì i fumetti, o la musica rock e pop, o i capelli troppo lunghi, o, ancora più di recente, i tatuaggi.
È lo stigma generazionale verso i comportamenti dei più giovani che più marca il passaggio generazionale e che, oltre che mal compresi, rende tali comportamenti oggetto di rifiuto, critica, stigma da parte delle generazioni precedenti.
La verità è che gli stereotipi impediscono la valutazione concreta e attendibile dei benefici dei videogiochi nei vari ambiti, incluso quello della salute. L’esito è una pericolosa deriva moralistica che a tratti si tinge di un neoluddismo saccente e di un rimpianto sistematico di un mitico tempo in cui i giovani si dedicavano ad attività meritorie.
Il rapporto con i videogiochi è una pratica sociale di massa, di giovani e meno giovani, fortemente soggettiva, incastonata nel fluire quotidiano della vita, capace di investire e migliorare le attività di una molteplicità di ambiti: ecco il reale punto di partenza per capire che il gaming genera benefici significativi nel nostro presente e nel nostro futuro prossimo.”
Se sei arrivato fino a qui, innanzitutto ti ringrazio.
Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
Se hai apprezzato la newsletter Insalata Mista ti chiedo un favore: lascia un commento, una recensione, condividi la newsletter e più in generale parlane. Per me sarà la più grande ricompensa, oltre al fatto di sapere che hai gradito quello che ho scritto.
Franco Aquini
Su questo dati, 13 migliori di videogiocatori nel 2023 contro i 15,5 del 2021, torneremo sopra. Difficile pensare che in due anni si siano persi per strada 2,5 milioni di giocatori, anche se il primo valore dovesse essere frutto di un momento “drogato” come quello della pandemia.
Peró scusa non ho capito un punto. Che senso ha far notare che Fortnite Among Us e Roblox non sono tea i giochi più venduti nel 2023? Sono gratuiti, non potrebbero essere in questa classifica neanche volendo. Mi è sembrata una contraddizione. Comunque volevo aggiungere che fai un lavoro fantastico quando parli sempre dell’educazione dei più piccoli e dell’importanza della tecnologia in tutte le sue sfaccettature nella loro crescita. Ci vorrebbero più persona che portano avanti questo argomento, soprattutto in politica dove siamo davvero troppo troppo arretrati.
Grazie Fra’ per avermi messo tra tutti quei mostri sacri!