Chi sono i VIP: Very Invisible People
Hanno milioni di follower ma sono sconosciuti al di fuori del ristretto gruppo di seguaci. Sono i nuovi VIP, personaggi con un seguito incredibile e al tempo stesso completamente sconosciuti.
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Ho partecipato la scorsa settimana a questa fiera che si tiene a Milano, la Milan Games Week, che è in sostanza la versione milanese dei vari [nome di città] Comics, con in più l’aggiunta dei videogiochi. Ho partecipato per un interesse diretto, ma anche per accompagnare i figli e quindi mi sono beccato anche una buona quantità di attività che mi sarei evitato volentieri, come la coda per un autografo dagli onnipresenti streamers.
Gli streamers sono quelli che una volta chiamavamo youtubers e che poi, con l’arrivo delle altre piattaforme, sono diventati appunto streamers perché fanno streaming su diverse piattaforme, di cui forse la più nota è Twitch. Qualcuno li chiama anche influencer, ma il termine non è sempre corretto, perché identifica qualcos’altro, ovvero una persona che acquista un suo seguito che poi utilizza per promuovere altre cose. Non tutti gli streamers sono anche influencer.
Lo streamer più spesso “strimma”, cioè trasmette delle cose in diretta. Gioca ai videogiochi, per esempio. Per anni mi sono chiesto perché i ragazzi preferissero guardare uno che gioca ai giochi piuttosto che giocarli direttamente. La risposta l’ho trovata poi tempo dopo, capendo che questi ragazzi raccolgono un loro seguito perché sono capaci di trasformare il gioco in un’avventura personale, in una storia tutta loro.
Insomma fanno quello che facevamo noi quando giocavamo con i giocattoli, inventandoci storie sempre nuove. Facendo questo lavoro intrattengono usando il linguaggio che è quello proprio della nuova generazione. Quello che noi, da genitori, non capiamo ed è giusto così, perché forse questa è rimasta l’unica piccola riserva di libertà che gli abbiamo lasciato (mi collego ai Pensieri Franchi, chi ascolta in podcast capirà quando usciranno giovedì). E poi abbiamo anche il coraggio di lamentarci del tempo che passano appiccicati allo smartphone o al tablet.
Detto questo, la riflessione che la Milan Games Week mi ha fatto nascere è un’altra: mi sono infatti trovato in più di un’occasione a osservare gruppi di ragazzini urlare e strapparsi i capelli per uno streamer che il gruppo di ragazzini a fianco ignorava del tutto. Lo stesso è capitato a parti invecrse quando invece è apparso lo streamer che aspettava il gruppo fino a quel momento silente, impazzito improvvisamente. Dalla parte dove ero io, invece, silenzio totale.
Uno di questi, addirittura, rimasto orfano dello stand della propria agenzia perché non presente in fiera, si aggirava completamente ignorato tra gli stand. L’anno prima, al contrario, difeso dalle transenne dello stand dell’agenzia, aveva anche lui firmato autografi e fatto selfie con plotoni di ragazzini.
Mi ha colpito questa celebrità a compartimenti stagni. Questa nuova capacità di essere super famosi, tanto da firmare autografi a ragazzini in lacrime, ed essere invece totalmente sconosciuti per altri. Un fenomeno tutto nuovo per noi, che siamo invece abituati al concetto di VIP universale.
Puoi anche non amare un cantante, per esempio, ma se lo vedi per strada lo riconosci, ti fa un certo effetto e magari gli strappi comunque un selfie per dire “hai visto chi ho incontrato?”. E invece con gli streamer non succede. Chissà quanti ne incontriamo tutti i giorni, che magari hanno milioni di follower e che non sappiamo nemmeno chi siano e cosa facciano. Tanto che si potrebbe coniare un nuovo acronimo: VIP, Very Invisible Person.
Ho voluto un po’ indagare il fenomeno andando a fondo sul fenomeno streamer, influencer e youtuber.
Chi sono, quanti sono, milioni di fiorini
Ieri sera, a tavola con la famiglia, ho provato a leggere una classifica degli streamers più popolari in Italia. A ogni nome c’era uno di noi che esclamava «ah si lo conosco!» e gli altri che commentavano «e chi è?». A ogni nome ognuno di noi cambiava ruolo, ognuno di noi ne conosceva alcuni e ne ignorava altri. Eppure stavo citando persone che hanno milioni di follower.
Ci pensate cosa significa avere uno o più milioni di persone che hanno deciso di seguirti e di vedere ogni cosa che pubblichi? Chi è che nel mondo reale può contare su un seguito del genere? Ve lo dico io: nessuno. Nemmeno più i quotidiani hanno milioni di persone che scelgono ogni giorno di leggerli.
È evidente che quando raccogli così tanta gente poi arrivi qualche forma di business. E infatti oggi, nonostante alcuni di noi si ostinino a sbeffeggiarli e a deriderli («sarà mica un lavoro stare davanti la telecamera a giocare?»), il segmento degli streamer ha completamente rivoluzionato un sacco di settori lavorativi.
L’informazione, per esempio, passa in larga parte da loro. Per non parlare della comunicazione e del marketing, che ormai riservano a questa voce di spesa porzioni del budget pubblicitario sempre più rilevanti. Tanto che sono ormai diventate tantissime le metriche per misurarne la visibilità e il potere di influenzare opinioni e consumi. Su questa cosa delle metriche ci torneremo più tardi perché è un discorso molto complesso e interessante.
Torniamo allo scopo di questo paragrafo. Quanti siano gli streamers in Italia? Dieci? Cento? Mille? Secondo il magazine online webboh.it, la classifica dei 100 youtubers italiani più famosi, vanno dal primo, Panda Boi (lo conoscete? no eh?) con 51,1 milioni di iscritti, all’ultimo, il centesimo, Feinxy (di nuovo, lo conoscete? No eh?) con 2 milioni di iscritti.
Questi sono i primi 100, ma poi ci sono i 100 con più di un milione di follower, i 100 con più di 900.000 e via dicendo. Insomma cono migliaia di persone questi streamer. Migliaia di persone che camminano per le strade, ignorati dalla maggior parte di noi, ma quando si siedono davanti alla loro webcam, nell’intimità della loro cameretta, parlano a più persone di quante basterebbero per farli eleggere all’Europarlamento, per dire. Ci pensate?
C’è da dire che nella classifica di Webboh ci sono finiti anche i canali di aziende e quelli di cantanti e persone note anche fuori dalla sfera degli streamers, ma non è importante per quello che stiamo analizzando. Ah, a proposito, per chi si fosse chiesto cos’è webboh, è un magazine molto popolare tra i giovanissimi. È una roba un po’ scandalistica e un po’ gossippara. Per i più vecchi, una specie di Cioè dei giorni nostri. Solo che è di Mondadori Media, per dire.
Fare lo streamer è una cosa seria
Mi ha molto colpito l’articolo del giornalista Francesco Marino sul suo sito digitalic.it dove ha analizzato chi sono i miglior influencer italiani del momento secondo i parametri e le metriche che vengono utilizzate a questo scopo. Se per noi comuni mortali infatti sono importanti gli iscritti e le visualizzazioni, nel mondo della comunicazione e del marketing sono ben altri i numeri che contano e Marino li spiega molto bene.
C’è per esempio l’Influencing Value, ovvero il numero reale di persone che uno streamer riesce a raggiungere e influenzare. Viene calcolato facendo una media degli ultimi giorni e degli ultimi mesi di quello che viene postato e al numero di visualizzazioni, like e commenti che ottiene.
Poi c’è l’Engagement rate, che è il rapporto tra l’engagement medio (somma di commenti, di like, ecc) e il numero di follower. È qualcosa di analogo al CTR insomma - mi sto rivolgendo ai più addentro alle questioni del marketing digitale, mi scusino tutti gli altri - in chiave follower però. Un valore pari o superiore al 10% in questo caso denota uno streamer dall’eccezionale valore intrattenitivo.
Infine c’è l’Earn Media Value, ovvero il costo che avrebbe raggiungere un’audience simile se si volesse fare pubblicità sugli stessi canali pubblicitari digitali. Si calcola andando ad analizzare i dati socio-demografici dell’audience dello streamer in questione, il suo Influencing value e poi si moltiplica tutto per il CPM della piattaforma sulla quale lavora lo streamer. Si lo so, sto parlando un po’ troppo ai markettari, che spero non siano troppi tra i miei lettori, ma sappiate che il CPM e il costo che viene sostenuto su una determinata piattaforma social per ottenere mille visualizzazioni (detta grossolanamente). Questo è un parametro particolarmente importante perché dà l’idea di quanto convenga pagare uno streamer piuttosto che fare pubblicità sulla stessa piattaforma.
Non dimentichiamoci poi l’Efficiency, che si ottiene mettendo in rapporto il numero di persone raggiunte con il numero di followers. Se questa percentuale è superiore al 100%, significa che il contenuto proproposto dallo streamer ha raggiunto più persone di quante lo seguono e dunque il suo contenuto è “andato virale”, come si dice in gergo. Più uno streamer è capace di ottenere questo risultato, maggiore è la sua capacità di avere visibilità ben oltre la cerchia dei suoi follower.
Chi sono i veri influencer italiani?
Presa coscienza di quanti sono i parametri che vengono analizzati quando si “pesa” uno streamer, dovrebbe essere chiaro quale può essere la reale portata di un post o di un video pubblicato da alcuni di questi. Si va ben oltre il numero di iscritti, follower o visualizzazioni.
Stando a questi parametri, sempre riprendendo l’articolo di Francesco Marino su digitalic.it, scopriamo che ai primi tre posti in Italia, in base all’Influencing value, ci sono Alessia Lanza, Daniele Cabras (che infatti abbiamo ritrovato all’ultima edizione di Sanremo) e i The Jackal.
I primi tre per Engagement invece sono di nuovo Alessia Lanza, Daniele Cabras e Giuseppe Ninno, conosciuto come @mandrake1984_. Questi tre sono al tempo stesso anche i primi tre per Efficiency, con una percentuale che per la prima, Alessia Lanza, tocca il 176%. In altre parole, la media dei suoi video raggiunge il 76% in più del totale dei suoi followers (che per la cronaca sono 1,7 milioni).
Per trovare un VIP vero, ovvero qualcuno che sia famoso anche oltre la cerchia degli influencer, bisogna andare al sedicesimo posto, dove troviamo Gianluca Gazzoli, popolare speaker radiofonico e autore del Podcast “Passa dal BSMT”. E poi due posti più in basso troviamo Eleonora Riso, vincitrice della scorsa edizione di Masterchef.
Marino si avventura anche in una stima che so essere piuttosto interessante per chi ama mettere le mani nei portafogli altrui. Quanto può guadagnare un influencer così popolare? Secondo il parametro dell’Earn Media Value, Alessia Lanza potrebbe chiedere 39.000€ per un singolo post, Daniele Cabras 23.000 e i The Jackal 20.000.
Guadagnare giocando
Prendetevi cinque minuti per riprendervi, poi altri cinque per pensare le solite cose tipo “io guadagno in un anno quello che loro guadagnano con un post” e poi prendete atto del fatto che avere un seguito ha un valore, sempre e comunque e che ottenere un seguito di questa portata non è facile. Non esistono formule, non esiste “essere fortunati”. Ci vuole capacità e costanza.
Fare l’influencer non è ovviamente un gioco. Non è semplice, non significa guadagnare un sacco di soldi giocando. Non è un mestiere per nullafacenti fortunati, tutt’altro. Provate a pensare se ogni giorno doveste mettervi davanti alla webcam e inventarvi modi sempre nuovi per intrattenere migliaia se non milioni di persone. Provate poi a pensare che tutto questo va ripetuto ogni giorno per mesi, se non anni. Voi ne sareste capaci?
E al di là della capacità, c’è poi la questione del talento che regna sovrana su tutti gli altri discorsi. Al di là della voglia e della capacità di produrre ogni giorno qualcosa di nuovo, c’è quella cosa insondabile e non analizzabile che decreta il successo di un influencer e di un altro no. C’è da poco da fare, non esiste la ricetta perfetta, c’è il solito allineamento di pianeti che fa si che anche se cercate la ricetta per costruire un influencer perfetto, non vi riuscirà mai. Quindi mettetevi l’anima in pace e liberate vostro figlio dalle catene con cui l’avete legato alla poltrona da gaming davanti al computer, non funziona così.
Nonostante tutto questo, però, nonostante i milioni di follower, ognuno di questi influencer parla a delle fette molto precise di utenti. Queste audience sono estremamente verticali, a differenza della notorietà conquistata su un media di larga diffusione come la TV, che manda lo stesso messaggio lo stesso giorno e la stessa ora a tutte le persone.
I VIP di YouTube o Twitch sono spesso completamente invisibili al grande pubblico. Questo perché se in questo momento apriamo YouTube in cinque, ognuno di noi vedrà cose completamente diverse in base ai propri gusti e alle proprie abitudini. Manca l’effetto corale, insomma. Manca il fatto di poter parlare alla macchinetta del caffè il giorno dopo di quello che si è visto la sera prima. Cosa che invece resiste ancora per fenomeni molto popolari, come la partita di calcio o il programma di ampissima diffusione come il festival della canzone italiana.
Spiegatevela come volete, ma se uno fa una cosa particolare sul palco di Sanremo, il giorno dopo tutti conosceranno il suo nome. Se la stessa cosa la fa uno streamer da milioni di follower, la maggior parte delle persone continuerà a chiedervi “chi?” quando lo citate. C’è poco da fare, è il moderno fenomeno dei VIP, Very Invisible Persons.
» PENSIERI FRANCHI: Da genitori “amici” ad aguzzini, il passo è breve
→ “Pensieri Franchi” è il mio editoriale, i miei pensieri in libertà. Se stai cercando l’approfondimento che dà il titolo a questa Insalata, prosegui un po’ più in giù.
Mi sono trovato ad ascoltare i discorsi di genitori di compagni di scuola dei miei figli, qualche mattina fa. Avevano partecipato a un incontro di orientamento sulla scuola da scegliere. Avevano partecipato loro, i genitori intendo, mica i figli. Io mi sono rifiutato di partecipare all’incontro e infatti sono stato indirettamente ripreso dagli insegnanti, a cui però non ho risposto né direttamente né indirettamente.
Mi trovo a fare spesso delle battaglie personali, a volte intestardendomi su questioni che i più reputano pretestuose, banali, superflue e persino un po’ esagerate. Eppure, non riesco a capire come gli altri genitori non vedano quello che stiamo diventando e come abbiamo trasformato la vita e la crescita dei nostri figli adolescenti in una prigione.
Li controlliamo costantemente, li monitoriamo in tutto quello che fanno, li geolocalizziamo col GPS degli smartphone, gli scriviamo in ogni momento della giornata, persino quando sono a scuola. Li consigliamo su quello che devono fare nella vita fino a partecipare al posto loro alle giornate di orientamento scolastico. Scegliamo per loro gli impegni extra scolastici, lo sport che devono praticare, quello per cui sono più o meno portati, magari in base alle nostre preferenze perché in fondo “è mio figlio e non può che essere come ero io alla sua età”.
Così stiamo allevando una generazione di ragazzi la cui vita è sostanzialmente una prigione fatta di scelte prese da altre persone. Non sono liberi di scegliersi lo svago, lo sport, la scuola da fare. Ma soprattutto non sono liberi di fare quello che tutti noi abbiamo fatto alla loro età e che ci ha insegnato a vivere: saltare di nascosto un giorno di scuola, per esempio, evadere dalla quotidianità senza che i nostri genitori lo sapessero, per prenderci un po’ di quell’indipendenza che è fondamentale per diventare adulti.
Oggi loro, sorvegliati da un registro elettronico e da un grande fratello che li tiene sempre sotto controllo, non posso saltare un giorno di scuola, non possono allontanarsi dal luogo dove gli abbiamo permesso di andare, come fossero dei cani lasciati liberi di “sgambare” in un recinto con altri cani.
E in tutto questo, ovviamente, ci permettiamo anche di deriderli per via del fatto che non crescono mai, che non si prendono le loro responsabilità, che vanno via di casa troppo tardi o che stanno sempre appiccicati allo smartphone. Li prendiamo anche in giro, gli diamo dei fannulloni, dei perditempo, li accusiamo di non avere una spina dorsale. “Io all’età loro già lavoravo!”.
Ne avevo già parlato qualche puntata fa, quando ho scoperto che, secondo diversi specialisti, i problemi di questa generazione - come la crescente depressione che si di sta diffondendo tra gli adolescenti di tutte le latitudini - che con troppa semplicità attribuiamo a internet, ai social network e allo smartphone, sono in realtà dovuti al fatto che i ragazzi di oggi non sono liberi di vivere, di crescere in libertà e di fare quelle esperienze che gli permetterebbero di diventare adulti e di conoscere il mondo.
Pensateci: loro sono la prima generazione che si confronta con questa iper-presenza genitoriale; con questa nuova forma di genitore-amico che ti sta sempre addosso, che vuole sapere tutto di quello che sei, di quello che provi, degli amici che hai e persino scegliere al posto tuo quello che sei, che provi e che diventerai. Ancora di più, sono la prima generazione monitorata costantemente, attraverso messaggi a cui non puoi non rispondere perché “ho visto che hai letto”. Mettiamoci anche il carico da novanta della pandemia, che li ha privati addirittura della libertà di uscire di casa.
Forse non sono smartphone e social a rovinare la crescita dei nostri ragazzi. Forse siamo noi genitori, che stiamo inconsapevolmente rubando la loro adolescenza e la stiamo sacrificando sull’altare di una presunta sicurezza su cui dobbiamo vigilare, senza accorgerci che il pericolo più grande siamo proprio noi, con la nostra iper presenza e con la nostra invadenza.
Dovevamo essere una generazione di genitori più presenti, più consapevoli, più attenti, più vicini al loro bisogno di essere ascoltati e invece, forse, siamo diventati i loro aguzzini.
Franco A.
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Non ci siamo presentati: mi chiamo Franco Aquini e da anni scrivo di tecnologia e lavoro nel marketing e nella comunicazione.
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Franco Aquini
La F.O.M.O., un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, è la deriva moderna del tam tam dei social network unita all’enorme disponibilità di strumenti di informazione e di intrattenimento. In pratica, è la paura di perdersi qualcosa e di non essere sempre al passo con i tempi. Con questa rubrica rispondiamo a queste paure, riassumendo in breve le notizie più significative della settimana, pescate dal mondo della tecnologia, dell’entertainment e del lifestyle.
Sono stato tra i primi ad avere Facebook e anche Whatsapp che mi'aveva fatto scaricare un amico di New York così potevamo chattare anzichè riempirci di email, ma per quasi due anni era l'unico contatto Whatsappa che avevo in rubrica perchè qui in Italia sembrava che non lo conoscesse nessuno.
Poi sono arrivati gli altri social e tutto il resto, mi piaceva Twitter ma quando è diventato X mi sono cancellato e ho Instagram che uso molto.
Questo per dire che mi sono sempre piaciute le nuove tecnologie e anche oggi che ho quasi 58 anni mi piace tenermi informato su tutte le novità tecnologiche ma nonostante questo credo di vivere benissimo nell'ignoranza più totale su chi siano gli influencer gli streamers o gli youtuber ma soprattutto sono certo di non averne bisogno, né per il mio lavoro né per i miei hobbies.
Comunque è interessante sapere che esitano ;-)
Il discorso dei ragazzi invece mi tocca più da vicino.
Vivo da quasi 6 anni con la compagna che recentemente ho sposato la quale ha un figlio che frequenta la 4a superiore.
Molto spesso ci ritroviamo a cena parlare della mancanza di libertà della sua generazione; gli racconto di quando facevo manca a scuola, del doppio libretto scolastico che avevo (ne rubavo qualcuno dall'armadietto del Preside quindi ne avevo uno per i miei genitori e uno che tenevo nascosto dai loro sguardi) e altre cose non troppo gravi che gli posso raccontare.
Lui ride ai miei racconti (la mamma un po' meno) ed è "invidioso" di tutto quello che potevamo fare noi perchè lui non è affatto libero e anche se non ha l'app di controllo sul telefono ha comunque il telefono e i genitori magari con la scusa di una telefonata di piacere lo possono sempre controllare, anche cosa e dove spende con la Revolut (essendo minorenne la App è monitorata da un genitore).
Stava meglio con la pandemia, quando era chiuso a casa ma almeno non era sorvegliato dalla scuola con il registro elettronico delle presenze o peggio dalla delirante chat Whatsapp dei genitori (ma sua mamma e suo papà si sono tolti) in cui i genitori - con la scusa del controllo e della sicurezza - non si fanno gli affari loro.
Il controllo crea una società meno libera e una società meno libera è meno democratica perchè crea cittadini assertivi fin da bambini e poi chi protesta viene visto come un matto e viene escluso (se non peggio).
Senza vergogna dico che ho plaudito a Fleximan, quello che tagliava i pali degli autovelox qui in Veneto (come migliaia di altri miei corregionali) e che io toglierei le telecamere di videosorveglianza dalle città.
Alla sicurezza preferisco la libertà (con il ,limite del buon senso) ma capisco che in un'epoca in cui vale solo la sicurezza il mio non possa essere un pensiero troppo condivisibile...
Grazie della tua newsletter sempre interessante.
Pungi sempre sul vivo Franco. I litigo spesso con mia moglie (anche se per essere onesto litigo con la sua ansia) per sta cosa del controllare sempre nostra figlia preadolescente. E, credo di avertelo già scritto, ma non sono sicuro, l'anno scorso ne ho scritto nel gruppo di genitori di cui sono amministratore. Coro di dissenso (ma qualche assenso che mi ripaga degli sforzi fatti), ma alla fine sti ragazzi hanno bisogno della loro autonomia per poter diventare adulti. Noto sempre più la tendenza a prendere decisioni al posto loro, e non INSIEME a loro, cosa che dovrebbe essere il nostro ruolo principale, ovvero di insegnare e, soprattutto, supportare le loro decisioni, ricordando sempre che per ogni scelta ci sarà sempre una reazione e un rimpianto, ma che fa parte della vita.
Ah, anche stavolta proporrò la lettura dell'articolo nel gruppo rappresentanti 👍